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Sopravvissuti - Recensione: il corpo vivo della migrazione

In uscita al cinema da giovedì 21 marzo, distribuito da No.Mad Entertainment, Sopravvissuti è il film d'esordio del regista francese Guillaume Renusson che affronta il tema della migrazione da un punto di vista inedito 

Sopravvissuti di Guillaume Renusson arriverà nelle sale italiane il 21 marzo 2024, distribuito dalla società indipendente No.Mad Entertainment.

 

Il film del giovane regista francese, alla sua prima prova con un lungometraggio, ha vinto la XXI edizione del Rome Indipendent Film Festival.  

I due protagonisti, Samuel e Chehreh, sono interpretati da Denis Ménochet e Zahra Amir Ebrahimi, affiancati da Victoire Du Bois, Oscar Copp e Luca Terracciano.

 

A metà tra il genere drammatico e il thriller, Sopravvissuti racconta la migrazione al confine tra le Alpi italiane e quelle francesi.

 

[Il trailer ufficiale di Sopravvissuti]

 

 

La produzione di Sopravvissuti ha avuto una gestazione molto lunga: iniziata nel 2020, si è interrotta a causa della pandemia ed è ripresa solo nel 2021. 

 

La storia si svolge praticamente tutta in esterna, sulle vette innevate delle montagne alpine. 

Il regista Renusson ha raccontato delle difficoltà logistiche di girare in condizioni meteorologiche avverse, con la neve fino alle ginocchia e soprattutto dovendo fare attenzione a non lasciare orme sulle distese bianche da parte della troupe, per evitare di ricorrere troppo alla post-produzione. 

 

Anche per questo motivo, a fianco alle vedute dall'alto che regalano un colpo d'occhio di neve vergine attorno ai passi dei protagonisti, la macchina da presa spesso stringe sui primi piani, dirigendo il focus sull'intensità degli sguardi piuttosto che sullo sfondo del paesaggio. 

Renusson ha inoltre spiegato la tecnica utilizzata dai cameramen per le riprese in movimento: l'operatore saliva su uno skateboard con la macchina da presa e poi veniva trascinato con una corda.  

 

La fatica fisica di Sopravvissuti, nella realizzazione e nella trama, è uno degli elementi principali attraverso cui viene rappresentato lo sforzo di chi, in mezzo al silenzio bianco della neve, macina chilometri in cerca della salvezza. 

 

 

[Sopravvissuti: Samuel (Denis Ménochet) e Chehreh (Zahra Amir Ebrahimi) sulle montagne al confine tra Italia e Francia]

 

 

Dopo aver perso la moglie in un incidente stradale Samuel chiede al fratello di badare alla figlia e si mette in viaggio per recarsi allo chalet di montagna sulle Alpi italiane, dove erano soliti trascorrere tutti insieme le vacanze invernali. 

 

Il suo stato d'animo è dilaniato dal dolore, come paralizzato in una condizione di stasi che gli impedisce di andare avanti con la propria esistenza; durante la notte sente dei rumori e scopre che una donna è entrata nella sua baita, ferita e quasi congelata dal freddo. 

Si tratta di Chereh, una giovane profuga afghana in fuga dai talebani che sta cercando di arrivare in Francia attraverso le impervie montagne senza farsi prendere dalla polizia. Samuel conosce i segreti di quei luoghi, i passaggi migliori e quelli più pericolosi, ma inizialmente sembra non voglia lasciarsi coinvolgere dal viaggio disperato di una sconosciuta.

 

Dopo un primo tentennamento, però, decide di aiutarla, trasformando la traversata insieme in una sorta di rito catartico, una missione per cui sentirsi di nuovo utile per qualcuno.

 

Inzia così la loro fuga non solo dalla polizia di frontiera, ma anche e soprattutto dai cossiddetti “cacciatori di immigrati clandestini”, un trio italo-francese composto da Stefano (Luca Terracciano), vecchia conoscenza di Samuel, Justine (Victoire Du Bois) e Victor (Oscar Copp).  

 

 

[Sopravvissuti: Victor (Oscar Copp), Stefano (Luca Terracciano) e Justine (Victoire Du Bois)]

 

 

In Sopravvissuti Renusson sceglie di parlare del fenomeno migratorio da un punto di vista inedito, che è quello sociale, prima che politico. 

 

Sulla scorta della sua esperienza personale in diverse associazioni in supporto dei migranti, il regista ha voluto prediligere il racconto della reazione della società civile ai flussi migratori, il modo in cui le persone del posto si organizzano per controllare i propri territori e assicurarsi che nessuno varchi la frontiera. 

I tre, infatti, si sostituiscono al ruolo degli organi istituzionali preposti, mettendo in atto spontaneamente delle ronde di vigilanza con metodi minatori e violenti. 

Nella narrativa del film i tre ragazzi rappresentano senza dubbio gli antagonisti che ostacolano il viaggio degli eroi, anche se sembra mancare una caratterizzazione più approfondita che aiuti lo spettatore a indagare le ragioni di un razzismo patriottico così feroce. 

 

 

Si intuisce la propaganda di cui sono imbevuti, ma non la radice che permette loro di agire impunentemente, padroni di circolare con droni e armi nel cuore delle montagne, cariche di un odio viscerale. 

Se la divisione tra "buoni" e "cattivi" è netta, la configurazione del personaggio di Samuel che prende la decisione di aiutare qualcun altro mettendo a rischio la sua stessa incolumità appare più tridimensionale. 

 

Del suo background politico, infatti, non sappiamo nulla, come non conosciamo la sua estrazione sociale, il suo lavoro, i suoi ideali. 

 

Come Renusson stesso ha confermato, l'omissione di dettagli così rilevanti in Sopravvissuti è stata frutto di una scelta consapevole per evitare di scivolare in stereotipi che avrebbero potuto banalizzare o, ancora di più, polarizzare il dibattito su un tema già molto strumentalizzato dalla propaganda politica. 

Il rischio era quello di incasellare il comportamento di Samuel nell'equazione "uomo di sinistra = buono e solidale", "uomo di destra = razzista che cambia idea solo quando si trova di fronte una bella ragazza straniera da salvare". 

 

Il regista francese ha scelto invece di dare voce a un atto di solidarietà che ha le sue ragioni personali e umane, che afferiscono a un livello più alto rispetto a quello delle fazioni partitiche. 

 

 

[Sopravvissuti: Samuel (Denis Ménochet) e Chehreh (Zahra Amir Ebrahimi) feriti mentre provano a superare il confine tra Italia e Francia]

 

 

Sopravvissuti è un film che lavora in sottrazione, riducendo all'osso i dialoghi per dare spazio soprattutto al corpo. 

 

La sofferenza provocata dall'abbandono forzato della propria patria, dal senso di solitudine di chi si mette in viaggio per sopravvivere e, ciononostante, viene considerato fuori legge, passa tutta attraverso la materialità del corpo. 

Camminare, ferirsi, congelare, svenire, camminare ancora.

Muoversi affidandosi solo alle proprie gambe infiammate dal freddo, al respiro corto, alle scarpe sbagliate, in una dimensione in cui elemento naturale ed elemento umano sono respingenti e inospitali.

 

La corporeità è il centro nevralgico, il tempio a cui affidare la propria preghiera di futuro.  

 

Il minimalismo di Sopravvissuti rende la visione poco "comoda", a volte la concentrazione dello spettatore potrebbe sfumare tra le scene dilatate e rarefatte, in attesa di uno svolgimento che indugia piuttosto lentamente.

Al netto di questa sensazione, però, l'approccio originale rispetto al tema della migrazione resta un fattore attrattivo che a mio avviso rende il film molto valido.

 

La singola storia di Chehreh diventa paradigma di un racconto collettivo che impone una riflessione corale su quanto un mondo che si professa globalizzato respinga il diritto di spostarsi da luoghi non più vivibili in cerca di un'esistenza migliore o - ancora più spesso - tentando semplicemente di non morire. 

 

 

[Samuel (Denis Ménochet) in Sopravvissuti]

 

Gran parte della riuscita di Sopravvissuti deriva secondo me dall'interpretazione degli attori principali, che danno vita a una prova perturbante, priva di ogni forma di retorica, vivida nella sua autenticità. 

 

Il regista Renusson ha raccontato che durante l'interruzione delle riprese a causa della pandemia, Denis Ménochet continuava a studiare il suo personaggio, suggerendogli modifiche e inviandogli file in cui ricostruiva il vissuto di Samuel per essere in grado di calarsi ancora più a fondo nel ruolo.

 

Con la sua opera prima Guillaume Renusson si inserisce dunque a pieno titolo nel Cinema indipendente impegnato, veicolando un messaggio di forte impatto attraverso una forma che sa mantenersi in equilibrio. 

 

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