close

NUOVO LIVELLO

COMPLIMENTI !

nuovo livello

Hai raggiunto il livello:

livello

#CineFacts. Curiosità, recensioni, news sul cinema e serie tv

#articoli

La leggenda del pianista sull'oceano - Novecento come simbolo della natura umana

A 25 anni di distanza dall’uscita del film di Giuseppe Tornatore La leggenda del pianista sull’oceano parla ancora di noi

La leggenda del pianista sull’oceano è il primo film diretto da Giuseppe Tornatore in lingua inglese, impreziosito dalle musiche di Ennio Morricone e dalla prova attoriale di Tim Roth: uscito nelle sale italiane il 28 ottobre 1998, è tratto dal monologo teatrale Novecento di Alessandro Baricco, pubblicato da Feltrinelli quattro anni prima.

 

Il film ha vinto 5 Nastri d'Argento e un Golden Globe per la Migliore Colonna Sonora Originale e al box office in Italia ha incassato l’equivalente di 4,2 milioni di euro.

 

 

[Il trailer de La leggenda del pianista sull’oceano di Giuseppe Tornatore]

 

 

Partire da un esile monologo teatrale dal sapore intimistico e arrivare ad un’opera cinematografica monumentale di 2 ore e 45 minuti dimostra la capacità di linguaggio visivo di Tornatore, a cui Baricco lascia carta bianca nella sceneggiatura.

 

A cambiare non è solo il medium, libro-film, ma anche l’impianto, più sontuoso. 

 

Non sei fregato veramente finché hai da parte una buona storia e qualcuno a cui raccontarla” dice in apertura Max Tonney (Pruitt Taylor Vince), trombettista che per anni ha lavorato su un transatlantico, lo storico Virginian.

La frase aggancia subito l’attenzione dello spettatore e disvela il concetto alla base di tutte le arti: il racconto come testimonianza. L’esigenza dell’atto comunicativo in questo caso non è solo funzionale al dispiegamento della trama, ma diventa anche documento di un pezzo di storia del ‘900.

 

Personale e universale si abbracciano, rinvigoriti l’uno dalla stretta dell’altro.

 

La narrazione comincia nel 1963 e riavvolge subito il nastro fino all’inizio del secolo.

Il Virginian fornisce servizio di linea dall’Europa agli Stati Uniti, è un non-luogo tra due mondi cullato dalle acque dell’Oceano Atlantico. A bordo entrano i sogni di tutti, ma ben divisi per classi: quelli dei migranti italiani poveri che vanno a cercare fortuna in America e quelli dei più ricchi in viaggio per affari o divertimento.

 

La disparità socio-economica è rappresentata plasticamente dall’abbigliamento dei passeggeri e dalla divisione degli accessi ad alcuni spazi della nave, anche se non intacca l’umore sostenuto dalla speranza trasversale di un futuro a portata di mano. 

 

 

[La leggenda del pianista sull’oceano: i passeggeri del Virginian che attendono di scorgere l'America all'orizzonte]

 

 

Ancora più in basso, negli inferi della scala sociale e, fisicamente, della nave, ci sono i macchinisti, per lo più operai neri che alimentano la pancia del transatlantico tra sudore e fuoco.

 

La divisione dei livelli è il riflesso della società, ma nella rappresentazione scenica tutto appare funzionale e armonico, come un concerto.

 

Il 1° gennaio del 1900 uno tra i macchinisti, il fuochista Danny Boodmann (Bill Nunn), trova un neonato abbandonato in un cesto di limoni.

Boodmann è sorpreso, ma anche grato per quello che interpreta come un dono indirizzato proprio a lui e decide, tra le risate bonarie dei colleghi, di adottare il bambino affidandogli un nomen omen: Danny Boodman T. D. - la sigla incisa sul cesto - Lemon Novecento.

 

Bill Nunn regala agli spettatori un personaggio allegro e vivace, contraddistinto da una tenerezza franca. 

 

 

[Danny Boodman (Bill Nunn) con in braccio il piccolo Novecento ne La leggenda del pianista sull’oceano]

 

 

Novecento cresce così nel mondo-di-sotto, diventando la mascotte segreta dell’equipaggio della nave.

 

Il secolo nel nome, pensato per indicare le aspettative di un avvenire appena cominciato, diventa sul piano simbolico la sintesi di un’epoca piena di stravolgimenti.

 

Il cosiddetto “secolo breve”, quel periodo storico che inizia con la Prima Guerra Mondiale, attraversa la Seconda e si conclude con la fine della Guerra Fredda, rappresenta un blocco coerente per morte, cambiamenti e traumi collettivi. La crisi d’identità, il disorientamento e la paura per gli eventi che non si possono dominare risuonano nell’esistenza stessa del protagonista, claustrofobica perché trascorsa tutta sulla nave, ma paradossalmente emblema dello stato d’animo di un’intera generazione.  

 

Novecento bambino incontra per la prima volta la sofferenza alla morte di suo padre adottivo Danny, tutto quello che impara da quel momento in poi sulle cose del mondo deriva per via indiretta dal personale di bordo e per via diretta dalla osservazione dei passeggeri, un ventaglio di variegata umanità a cui attingere ogni giorno.

 

Da adulto Novecento (Tim Roth) scopre di avere un talento straordinario per la musica.

È una rivelazione istintuale, così come la nave è la latitudine del suo intero vissuto, il pianoforte è la casa attraverso cui esplorare la sua profondità. Inizia così a suonare ogni sera nella enorme sala da ballo insieme all’orchestra e a quello che è diventato il suo migliore amico e confidente Max Tonney, voce narrante del film. 

 

“Suonavamo perché l'Oceano è grande, e fa paura, suonavamo perché la gente non sentisse passare il tempo, e si dimenticasse dov'era e chi era.

Suonavamo per farli ballare, perché se balli non puoi morire, e ti senti Dio.” 

 

 

[La leggenda del pianista sull’oceano: la sala da ballo dove Novecento (Tim Roth) suona il pianoforte ogni sera]

 

 

Il suono, del pianoforte nella narrazione e della colonna sonora di Morricone nell’estetica, è il centro nevralgico dell’intera pellicola.

 

È un linguaggio comunicativo e solitario al contempo, un mezzo per leggere le persone a seconda di come reagiscono a una melodia piuttosto che a un’altra, le mani di Novecento scorrono sugli 88 tasti del pianoforte mosse dai desideri e dalle malinconie di chi lo ascolta. 

 

L’interpretazione di Tim Roth vede uno dei suoi momenti più alti nella lunga sequenza del duello musicale, carica di tensione registica. La fama di questo pianista sconosciuto strabiliante che allieta le serate dei passeggeri infatti arriva fino a terra e raggiunge Jelli Roll Morton (Clarence Williams III), il più grande pianista jazz, che decide di salire a bordo per sfidare Novecento.

La musica-cultura jazz è da sempre metafora della improvvisazione esistenziale, del carattere stratificato e imprevedibile della vita, e Roth al pianoforte se ne fa strumento, mostrando ingenuità, mistero, fragilità e potenza.

 

A 25 anni di distanza dall’uscita del film forse vi starete ancora chiedendo se fosse proprio lui a suonare il pianoforte: qui trovate 8 cose che fino ad oggi non sapevate su La leggenda del pianista sull’oceano, compresa quella.

 

 

[La scena de La leggenda del pianista sull’oceano in cui Novecento e Jelli Roll Morton (Clarence Williams lll) si sfidano al pianoforte]

 

 

A mio avviso il film non è di certo privo di sbavature, troppo lungo nel minutaggio e in alcuni dialoghi, a volte sfiora la retorica ma poi riesce abilmente a schivarla grazie al senso di concretezza che dà forma alla storia.

 

Nonostante sia una vicenda surreale infatti, la vita di Novecento ci sembra familiare. Ci somiglia, per esempio, quando uno sprazzo d’amore - una ragazza veneta bionda come l’oro (Mélanie Thierry) - fa vacillare le convinzioni del protagonista: è solo per lei che Novecento scenderebbe dal transatlantico. E lo fa, si sente pronto, un passo alla volta fino a metà della scaletta.

Poi alza gli occhi, vede i grattacieli di New York, altissimi fino a perdere lo sguardo. Si ferma.

 

Torna indietro.

 

 

[La leggenda del pianista sull’oceano: Novecento si ferma a metà scaletta indeciso se scendere sulla terraferma o tornare a bordo]

 

 

Molti anni dopo il Virginian deve essere demolito.

 

L’amico Max Tonney, che nel frattempo era sceso dalla nave, blocca le operazioni e si precipita a cercare Novecento a bordo del relitto.

Qui si compie l’atto finale che rafforza un’ultima volta la rappresentazione del protagonista non solo come l’uomo del ‘900 ma anche come l’essere umano in senso universale.

 

 

[La scena finale de La leggenda del pianista sull’oceano: Novecento decide di non scendere dalla nave lasciandosi così morire insieme al Virginian]

 

 

Novecento desidera il mondo sulla terraferma, ne è richiamato e attratto, ma al tempo stesso si sente rassicurato solo da ciò che conosce fin dalla nascita: le città viste attraverso le onde dell’oceano appaiono senza fine, dense di infinite possibilità.

 

La gamma di scelte è sicuramente un parametro di libertà, ma quando sovrasta e paralizza il limite sembra l’unica via di fuga.

 

In un contesto iper-stimolato come quello attuale, La leggenda del pianista sull’oceano sembra dirci ancora qualcosa sul peso del libero arbitrio, sulla fatica di disciplinare la volontà in mezzo a una foresta di opzioni, sulla natura umana che si ripete uguale, secolo dopo secolo, nelle sue più ancestrali paure.

 

[articolo a cura di Giulia Berillo]

 

Become a Patron!

 

Vi rispettiamo: crediamo che amare il Cinema significhi anche amare la giusta diffusione del Cinema. 

Se vuoi che le nostre battaglie diventino anche un po' tue, entra a far parte de Gli Amici di CineFacts.it!

Chi lo ha scritto

TI POTREBBERO INTERESSARE ANCHE

Lascia un commento



close

LIVELLO

NOME LIVELLO

livello
  • Ecco cosa puoi fare:
  • levelCommentare gli articoli
  • levelScegliere un'immagine per il tuo profilo
  • levelMettere "like" alle recensioni