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Enea - Recensione: la forma del cinismo - Venezia 2023

Enea di Pietro Castellitto mostra la vacuità del mondo che circonda il protagonista attraverso una regia che vive di soluzioni visive fine a sé stesse: il perfetto ritratto di ciò che mette in scena

Enea di Pietro Castellitto è l’opera seconda di un regista che a soli 31 anni si è guadagnato il concorso principale alla Mostra del Cinema di Venezia.

 

Dopo il premio per la Miglior Sceneggiatura vinta nella sezione Orizzonti nel 2020 e il David di Donatello per il Miglior Regista Esordiente grazie a I predatori, la curiosità per il nuovo film era molta e il risultato finale è destinato a dividere pubblico e critica.

 

[Il trailer di Enea]

 

 

La smania stilistica del lungometraggio d’esordio in Enea viene elevata al quadrato, con un tripudio di soluzioni formali (tagli dall’alto, piani sequenza dinamici, angoli di ripresa estremi) che potrebbero sembrare un vacuo manifesto di idee registiche fine a sé stesse.

 

Il punto d’interesse del film è proprio questo: raccontare la desolazione umana del nuovo millennio attraverso l’eccentricità inutile delle immagini che ci circondano.

C’è un piano sequenza, in particolare, dove la macchina da presa segue il protagonista all’interno di un bar, salvo poi perdere di vista il soggetto della scena traghettando lo spettatore verso il nulla. 

 

Non c’è un reale interesse oggi in ciò che vediamo - Castellitto si rivela essere un cinico consapevole del suo essere borghese - perché tutto è apparenza, una pura formalità. La storia che viene raccontata in Enea è quella di un uomo di poco più di trent'anni che spaccia cocaina.

Non lo fa per soldi, la sua è una famiglia benestante con il padre terapeuta e la madre conduttrice di un talk show, ma per provare qualcosa che lo estranei dal vuoto della contemporaneità, da una Roma che vista dall'alto sembra un campo di concentramento.

 

Con l’avvento dei social network, la generazione di Pietro Castellitto è stata la prima a essere coinvolta, il contatto tra ciò che vediamo e ciò che viviamo si è improvvisamente dilatato.

Non è un caso che tra i prodotti più visti sulle piattaforme streaming ci siano le docuserie true crime, perché l’iper-mediatizzazione del reale ha causato una passione per l’indignazione da parte del pubblico. I salotti borghesi di tanti programmi di infotainment sono figli di questa esigenza derivata - usando le parole dello stesso regista - da “Un mondo saturo di guerre raccontate e attentati soltanto visti”.

 

Enea non ha paura di spacciare trenta chili di cocaina o di ammazzare, proprio perché è disilluso avendo già visto ogni cosa in televisione.

 

 

[In Enea Sergio Castellitto recita diretto dal figlio]

 

Le stesse conversazioni all’interno del film sono sciocche, inutili.

 

I personaggi parlano per aforismi, come se citassero continuamente frasi di libri che hanno letto o di cui hanno sentito parlare.

Non importa quindi neanche ascoltare, Enea ha sempre degli auricolari nelle orecchie, perché ciò che viene detto è sempre apparenza, una cazzata: “Un Paese di musichette mentre fuori c’è la morte”.

 

Il padre di Enea in un primo momento consiglia ai suoi pazienti in terapia di scrivere su un foglio da un lato le cose belle e dall’altro quelle brutte, per poi superare realmente la propria nevrosi distruggendo con una mazza una stanza.

La sincerità non la si trova in famiglia, per lo meno non in quella della Roma bene messa in scena da Castellitto, ma nelle conversazioni con i criminali mentre si tratta sul pagamento della cocaina.

 

Enea è un film che raffigura il vuoto abissale della contemporaneità attraverso la volgarità eccessiva della stessa messa in scena. Un ritratto cinico di un mondo dove tutto può accadere all’improvviso senza un reale senso logico.

Il bacio, in Enea, d’altronde è l’unica cosa che non può essere mostrata perché è il gesto più autentico che possiamo compiere.

 

La compassione rimane il sentimento-condotta per abbracciare il nostro futuro in modo da provare ancora qualcosa: “Laddove c’è dolore, c’è soggetto”. 

 

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