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Tori e Lokita - Recensione: l'amore fraterno come via di fuga - FDP 2022

Recensione dell'ultimo film dei fratelli Dardenne, presentato in anteprima al FDP 2022

L'anteprima nazionale di Tori e Lokita, ultima opera dei fratelli Dardenne, rappresenta l'evento principale del Festival dei Popoli 2022.

 

Il film, già vincitore dello speciale Premio del 75° anniversario del Festival di Cannes, incarna l'ennesimo capitolo della filmografia dei cineasti belgi, interamente ripiegata sull'esplorazione morale di un contesto reale. 

 

Quello in cui si muovono gli ultimi della società.

 


[Il trailer di Tori e Lokita]

 

 

Gli "ultimi" raccontati dall'opera sono proprio Tori e Lokita, due adolescenti africani giunti in Francia dopo un percorso ormai reso tristemente famoso dalle cronache: i due infatti sono giunti in Europa dopo essere riusciti a raggiungere la Sicilia, seguendo le tratte migratorie soggette al racket dei trafficanti di esseri umani. 

 

Tori è un Nodki, un "bambino stregone" del Benin, scappato dal suo paese perché perseguitato, Lokita è una sedicenne proveniente da un non meglio precisato paese dell'Africa sub-sahariana. 

Malgrado siano stati spacciati per fratelli senza esserlo, Tori e Lokita hanno sviluppato un rapporto fraterno puro, profondo, indissolubile: con questa pellicola Jean-Pierre e Luc Dardenne tornano dunque a raccontarci quanto i legami umani costruti dalla quotidianità e dai sentimenti siano più potenti di quelli di sangue.

 

Aver compiuto insieme il loro percorso migratorio ha fatto in modo che entrambi diventassero ancora di salvezza e via di fuga per il proprio compagno di viaggio.

 

 

[Pablo Schils e Joely Mbundu, entrambi esordienti e magistralmente diretti dai fratelli Dardenne, sono Tori e Lokita: nello specifico la protagonista è stata in grado di far cambiare idea ai registi, che inizialmente cercavano una ragazza più corpulenta per il ruolo]

 

 

Proprio il concetto di fuga risulta centrale all'interno dell'impianto drammaturgico di Tori e Lokita

 

I due, infatti, si ritrovano di continuo a dover scappare dalle pressioni provenienti da più parti: dallo stato francese, dalla criminalità e dai trafficanti di esseri umani. 

Tre volte prigionieri, tre volte costretti a scappare e ad aprirsi un varco per poter stare al mondo. 

 

La scelta di aprire l'opera con un interrogatorio rivolto in primissimo piano a Lokita è, sotto questo profilo, del tutto illuminante. 

Le domande, serrate e piene di insidie, riguardano il momento in cui si è ricongiunta con suo fratello Tori: a interrogarla non c'è un commissario, ma un assistente sociale.  

 

Il tutto è finalizzato all'ottenimento dei documenti da parte della protagonista, in quanto a differenza del fratello il suo status di rifugiata è tutto fuorché limpido.

 

 

[Gli oggetti di proprietà dei personaggi sono un aspetto fondamentale di Tori e Lokita, come spesso avviene nel Cinema dei Dardenne: soprattutto la protagonista vi è molto attaccata, perché rappresentano degli strumenti per tenere saldi i legami della sua vita]

 

 

Subito dopo lo spettatore scopre che i due lavorano in una pizzeria, ma si ritrovano anche a spacciare marijuana per il pizzaiolo Betim e che, al contempo, sono soggetti al giogo dei trafficanti Justine e Firmin, che li vessano per recuperare i soldi che Tori e Lokita devono per il loro approdo in Francia. 

 

Lokita assume pienamente il ruolo di sorella maggiore, arrivando a compiere notevoli sacrifici per permettere a Tori di studiare senza essere soggetto alle sue stesse privazioni e alla sua vera madre, rimasta in Africa, di iscrivere le sue sorelle minori a scuola. 

L'ennesimo interrogatorio andato male e la conseguente impossibilità di ottenere i documenti la porterà ad accettare di curare le serre in cui viene coltivata la marijuana che in precedenza spacciava, finendo di fatto in una prigione stavolta fisica - e non più figurata - dal quale suo fratello Tori farà di tutto per aiutarla a scappare. 

 

Le azioni di Tori e Lokita sono indirizzate, controllate, sfruttate sotto ogni aspetto, ma il loro approccio alla vita è sempre positivo, ai limiti dello stoicismo, quasi fossero consapevoli che il loro statuto ontologico li costringe a sopportare per sopravvivere.

 

 

[Alla fiera dell'Est di Angelo Branduardi funge da fil rouge per l'opera: Tori e Lokita l'hanno imparata ai tempi del loro sbarco in Sicilia e la cantano al karaoke, la usano come suoneria del telefonino e il brano risuona sui titoli di coda]

 

 

Il film è pervaso dalla tenerezza tipica del racconto di formazione che Jean-Pierre e Luc Dardenne non hanno mai lasciato da parte, anche nelle loro storie più dure e moralmente probanti. 

 

I due hanno una chimica recitativa del tutto perfetta sin da quando appaiono per la prima volta in scena cantando Alla fiera dell'Est, brano di Angelo Branduardi che i cineasti belgi avevano ascoltato per la prima volta "da un bambino belga di terza generazione che aveva imparato l’italiano grazie a quella canzone.

È un brano che sembra una ninna nanna rassicurante”

 

Un motivo rassicurante per un testo, però, racchiude del tutto il fatalismo di cui il racconto di Tori e Lokita sembra essere intriso.

 

Un fatalismo più che mai reale: l'ispirazione per l'opera è stata, infatti, un'inchiesta in cui veniva analizzata la condizione di tanti bambini rifugiati non accompagnati, poi scomparsi nel nulla.

 

 

[I protagonisti di Tori e Lokita sono stati scelti dai fratelli Dardenne tra centinaia di candidati selezionati dall'agenzia di casting di proprietà del figlio maggiore di Luc: doveva trattarsi di ragazzi dell'Africa sub-sahariana in grado di cantare]

 

I Dardenne hanno deciso di approcciarsi alla tematica con il loro classico e magistrale approccio socio-realista, seguendo i personaggi con la macchina a mano e lasciando che le dinamiche e i rapporti venissero sciolti dall'immagine e dalle azioni più che dall'abbondanza delle parole. 

 

L'opera, come spesso avviene con il Cinema dei belgi, non si riduce all'analisi socio-politica, ma si innerva di sfumature di genere: il ritmo è serratissimo, in scena si muovono poliziotti e gangster, la violenza è esplorata secondo numerose delle sue incarnazioni. 

La tensione è sempre tenuta alta tanto da una sceneggiatura al solito secca e ben calibrata quanto da un montaggio che condensa le azioni e ben convoglia nello spettatore la necessità di fuga che attanaglia i due protagonisti.

A tal proposito il film riserva una grande importanza al fuori campo, come fonte di pericolo ma anche di speranza. 

 

Tornano dunque anche in Tori e Lokita i temi ancestrali della filmografia dei fratelli Dardenne: dall'importanza dei legami umani alla complessità morale delle scelte a cui siamo soggetti.

 

Delle scelte che, ancora una volta, abbandonano il piano filmico e raggiungono la piena tangibilità nel mondo che ci circonda sul piano degli effetti e delle conseguenze.  

 

 

[I fratelli Dardenne a Cannes con il Premio del 75° anniversario ottenuto per Tori e Lokita]

 

 

Jean-Pierre e Luc Dardenne portano dunque in scena l'ennesimo saggio della loro bravura, suonando uno spartito che pur ricalcando la tradizione di una carriera ormai quasi cinquantennale non perde mai un briciolo della propria brillantezza cinematografica e della propria potenza poetica. 

 

La quintessenza della politica autoriale portata in scena da due monumenti del Cinema mondiale, che con Tori e Lokita aggiungono alla loro filmografia l'ennesima storia di umanità dolente, sistemi asfissianti e dilemmi morali. 

 

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