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Perché abbiamo sempre frainteso Fight Club (oppure no?)

Siamo la canticchiante e danzante merda di Internet 

Abbiamo sempre frainteso Fight Club. O no?

Non appena anche solo un singolo spettatore termina la visione di un lungometraggio questo smette di appartenere appieno al suo autore.

 

Questo è vero per qualsiasi opera d’ arte: che sia un romanzo, una canzone, un quadro o un film le intenzioni dell’autore vanno ad intersecarsi con la percezione del fruitore.

È anche questo il fascino dell’arte: il messaggio di un’opera non è mai ancorato ad un unico substrato, ma è l’intersezione di punti di vista divergenti.

 

Non esistono due persone, per quanto simili, che recepiscono un film allo stesso modo.

 

[Attenzione! In questo articolo si parlerà del Fight Club]

 Fight Club

 

D’altra parte i filtri attraverso cui passa un’opera d’arte non dipendono soltanto dalle esperienze e dalle ideologie individuali; se ampliamo l’orizzonte d’analisi possiamo dire anche che un prodotto si carica anche dei significati che gli vengono attribuiti dalla società o da porzioni di essa, a volte anche in netto contrasto con l’identità e l’ideologia degli autori.

 

Questo è particolarmente evidente quando si parla di Cinema per la capillarità della distribuzione e per la reperibilità dei film ed è ancor più esplicito se ci troviamo ad analizzare l’impatto sulla cultura pop di film che trascendono la nicchia del Cinema d’autore per confluire nella cultura pop.

 

Se pensiamo agli ultimi trent’anni di Cinema mainstream è facile individuare i nomi dei film che più hanno influenzato l’immaginario collettivo, ne cito alcuni: Matrix, Drive, The Wolf of Wall Street, American PsychoJoker e, ovviamente, Fight Club di David Fincher, uscito in Italia il 29 ottobre 1999.

Si tratta di opere che conosce chiunque e trasversalmente, in barba alle differenze anagrafiche e socio-economiche tra gli spettatori.

 

Il grado di popolarità di un prodotto contestualmente alla sua uscita è definibile tramite gli incassi, ma relazionandola al tempo è misurabile tramite la popolarità sui social network.

Scorrendo tra gli hashtag a tema cinefilo su Instagram e TikTok - e considerando le informazioni riguardo i film appena usciti in sala irrilevanti a fini statistici, per la transitorietà dei dati - si può tarare un termometro che misuri l’impatto di un’opera su larga scala. 

 

Da non sottovalutare i meme: del resto Richard Dawkins ne Il gene egoista definiva il meme come la più piccola unità di informazione custodita nella memoria individuale che possa essere imparata e trasmessa ad altri umani; in questo senso i meme su Fight Club testimoniano la longevità e l’impatto del film stesso.  

 

 

[Un meme che gioca sul paradosso del Fight Club]

 

Il processo di elaborazione e assorbimento di un’opera inoltre è permeato dalle influenze esterne e dalle problematiche che emergono in un determinato periodo storico, la rielaborazione e la divulgazione della stessa non potranno esserne esenti.

 Fight Club

Ad esempio Joker è stato preso a modello nel mondo contemporaneo in cui la forbice sociale si sta allargando sempre di più e i soggetti deboli della società vengono estromessi dagli affari pubblici: la violenza caotica a oltranza, così come il totale rigetto dello status quo anche quando non necessario - basti vedere le rivolte nei riguardi della comunità scientifica o le conseguenze del complottismo - è per alcune comunità online il giusto approccio alle ingiustizie.

 

In seguito al movimento MeToo questo ventaglio di film destinati al cult si è arricchito di protagoniste femminili già iconiche: la controversa Amy Dunne di Gone Girl - L'amore bugiardo (di nuovo David Fincher) e Cassie Thomas di Una donna promettente.

Persino un lungometraggio con davvero poche pretese come Jennifer's body ha ricevuto da più parti una rilettura critica. 

 

American Psycho riflette sulla mascolinità tossica non senza black humour, ma è diventato il vessillo dei sigma male.

 

Al film di Fincher è toccata una sorte analoga, ma per parlarne tocca infrangere la prima regola del Fight Club: parlare di Fight Club.

 

[Il trailer di Fight Club] 

 

 

Fight Club è tratto dall’omonimo romanzo di Chuck Palahniuk e racconta la storia del Narratore (Edward Norton) e del suo doppelgänger Tyler Durden (Brad Pitt).

 

Il primo è un impiegato di una grande casa di produzione di autoveicoli che viaggia per gli Stati Uniti a supervisionare le scene degli incidenti stradali che coinvolgono modelli di vetture prodotti dai suoi datori di lavoro; il secondo è un venditore di sapone conosciuto in un viaggio di lavoro che, a seguito di un incendio nella casa del Narratore, si offre di ospitarlo nel suo fatiscente palazzo di periferia.

 

La condizione è solo una: battersi con lui.  

La differenza tra le vite dei “due” è osservabile anche tramite la palette cromatica del film, esplicitamente dicotomica: paludosa e cenerina nelle sequenze dedicate al Narratore, terrosa e accesa nelle scene in cui il protagonista è Tyler Durden.

 

Le loro lotte attireranno curiosi, in numero sempre maggiore, che a loro volta diventeranno lottatori di questo circolo clandestino, e alla fine adepti di un progetto terroristico a cui capo c’è proprio Tyler Durden.

Sono tutti uomini, percepiscono sulle proprie spalle il peso di una società opprimente e materialista, sublimano la propria frustrazione nella violenza fisica. 

La vita del Narratore viene stravolta pian piano dal personaggio di Marla Singer (Helena Bonham Carter), una femme fatale atipica, misteriosa e problematica.

  

"E all’improvviso mi rendo conto che tutto questo, la pistola, le bombe, la rivoluzione ha a che fare con una ragazza di nome Marla Singer."

 

 

[Occhiali da sole scuri, rossetto prugna, sigaretta tra le dita: Marla Singer è anche icona di stile; su Google Immagini o su servizi appositi di diffusione di immagini come Pinterest si possono trovare decine di migliaia di fanart dedicate al suo personaggio, ancor più rispetto alle sue controparti maschili]

 

Tyler Durden e il Narratore sono la stessa persona: è una lapalissiana metafora psicanalitica sull’Io e il Super Io freudiani.

 

Una questione interessante è che, nonostante il personaggio di Tyler Durden, Fight Club descriva una mascolinità riflessiva, volta alla propria interiorità; è l’incapacità di equilibrare la passività e l’azione e di comprendere le necessità della propria psiche a plasmare il personaggio istrionico di Tyler Durden, non un’innata tendenza “maschile” all’agire.

Fight Club è un film cult, che tratta diversi temi come conformismo e nichilismo; nonostante non lo faccia in modo né sibillino né sottile non è esente dai filtri del mondo circostante.

 

"Sentite balordi, non siete speciali, non siete un pezzo bello, unico e raro. Siete materia organica che si decompone come ogni altra cosa.

Siamo la canticchiante e danzante merda del mondo. Facciamo tutti parte dello stesso mucchio di letame!", dice Tyler Durden. 

 

Fight Club è diventato uno dei vessilli della teoria redpill - un movimento iper-conservatore che promuove una visione eteronormata appannaggio delle sole persone cisgender e prende il nome da un espediente narrativo di Matrix, scritto e diretto da due sorelle transessuali - e in generale di tutti i movimenti afferenti alla cosiddetta manosphere, una rete di comunità maschili online contro l'emancipazione delle donne e che promuovono convinzioni apertamente antifemministe.

 

Queste minoranze un tempo più o meno nascoste sono sempre più popolari, anche grazie al successo spropositato di uomini che si sono riscoperti influencer della manosphere come Andrew Tate.

 

Sovrapponendo i presupposti del film a un’idea di mascolinità gerarchica che ricorda quella di un branco di lupi possiamo dire che il Narratore è il maschio beta, Tyler Durden è il maschio alpha e la psicosi del primo deriva dalla femminilizzazione della società, dalla sua impossibilità di esprimere dominazione, da un’economia capitalistica appannaggio delle donne e dei chad (o alpha), ma fondata sul lavoro dei beta.

La giusta mascolinità è azione, è volontà di potenza, sprezzo per le donne da usare solo come macchina del piacere (o riproduttiva, eventualmente): in poche parole il modello da seguire è effettivamente Tyler Durden.

 

Non mi soffermerò su cosa penso riguardo questi movimenti: non è la sede giusta per farlo e neanche il momento.

 

D’altra parte ciò che emerge è che negli ultimi trent’anni non si può scindere il ridimensionamento del ruolo maschile nella società - rimasto invariato per millenni - dall’interpretazione di Fight Club.

 

 

[Il Narratore e Tyler Durden in Fight Club: "Name a more iconic duo, I'll wait"]

 

 

Anche la critica stessa ha avuto una reazione doppia: Fight Club è propaganda fascista o mette in guardia sulla velocità con cui il fascismo si può realizzare?

 

Tyler Durden crea un culto della personalità intorno a sé. Gli uomini, riappropriatisi dei propri spazi, guariti dalla castrazione subita dalla società, possono stabilire un nuovo ordine.

La si può leggere in entrambe le maniere: dipende dal background dell’osservatore.

 

Roger Ebert, che era decisamente più esperto di chi scrive, ha definito Fight Club "Macho Porn". 

Una parte della critica internazionale lo ha definito misogino ben prima che la manosphere fosse un fenomeno su cui puntare i riflettori.

 

La scena con Marla nel finale può rappresentare anche un ricongiungimento del personaggio interpretato da Edward Norton con la sua sfera femminile, dunque l’accettazione di una parte di sé la cui soppressione forzata ha portato a una malattia della psiche.

 

Non mancano le teorie secondo cui anche la donna non esista, ma sia soltanto il lato femminile di sé che il Narratore vuole sopprimere: a prescindere dalla plausibilità di questa opzione il personaggio interpretato da Edward Norton odia Marla anche perché rivede in lei molti lati di se stesso - è nevrotica, è suscettibile, è fragile - e proietta in Tyler ciò che vorrebbe essere, un vero maschio alpha, a tratti parodistico, nient’altro che il modello di uomo ideale che si è propagandato di padre e in figlio nei secoli.

 

In un mondo di persone soggiogate dal fascino diabolico di Tyler Durden, Marla è l’unica ad amare il protagonista. 

 

Tyler Durden è ancora oggi un personaggio pericoloso perché è un simbolo e la società non è altro che un raccordo di icone, sottotesti metaforici e complicanze semantiche. 

 

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