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Chiara - Recensione: San Francesco come Marx - Venezia 2022

La recensione di Chiara, film di Susanna Nicchiarelli, da Venezia 79   

Susanna Nicchiarelli è probabilmente uno dei nomi più promettenti degli ultimi anni del Cinema italiano: la regista romana, che ha raggiunto la notorietà con le sue due ultime fatiche Nico, 1988Miss Marx, porta avanti un discorso sulle grandi figure femminili con Chiara

 

L'ultima opera della regista, che chiude il concorso della 79ª Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, è un prodotto multiforme che ha l'obiettivo di raccontare l'ascesa di Santa Chiara: un film che si potrebbe definire biopic nella forma del musical, un po' come già successo con Giovanna d'Arco nelle mani di Bruno Dumont, ma che è davvero difficile racchiudere in un'etichetta.

 

[Un estratto di Chiara di Susanna Nicchiarelli: una scena che da una composizione che ricorda La montagna sacra di Alejandro Jodorowski passa subito al racconto più povero e sporco]

 

 

Chiara si muove tra suggestioni pasoliniane (dichiarate esplicitamente all'interno del brano di Cosmo che chiude il film) e storicità barocca e artefatta, passando dal virtuosismo tecnico al racconto della natura: un film che prova - non sempre riuscendoci - a tenere insieme molteplici stili e registri.

 

Santa Chiara d'Assisi (Margherita Mazzucco), fondatrice dell'ordine delle Clarisse, visse al fianco del conterraneo San Francesco (Andrea Carpenzano) tutta la genesi del movimento dei Frati Minori: Chiara verte proprio su questo legame tra i due santi e sul tentativo di guardare con un filtro moderno i rapporti di forza tra due figure simili, ma di genere diverso.

 

Il film di Nicchiarelli è però tutt'altro che religioso - come ci suggerisce il titolo della recensione - ma anzi con l'ortodossia ha ben poco a che fare: Chiara è infatti una giovane persa in un mondo più grande di lei, un personaggio che si affiderà ciecamente a Francesco e che, come Miss Marx con il padre, sentirà a poco a poco allontanarsi questa voce autorevole.

 

 

[L'iniziazione di Chiara davanti a Francesco]

 

Il discorso sul rapporto tra le due giovani star del 1211 è forse la scelta più interessante di Nicchiarelli: prima mentore e allieva, poi compagni di rivoluzione e infine il tradimento e la riconciliazione; un percoso ben gestito anche in relazione alla volontà di attualizzazione del personaggio di Chiara.

 

Dopo l'inizio fatto di partecipazione e voglia di cambiare infatti i due protagonisti si allontaneranno sempre più e la giovane santa sentirà crescere la distanza e il silenzio dell'uomo che le era stato mentore e che unico poteva capire la sua paura di santità.

 

Francesco è poi rappresentato in modo tutt'altro che positivo: il patrono d’Italia è infatti incapace di discernere tra i suoi consiglieri, accantona i valori fondanti della loro rivoluzione in favore di un più semplice riconoscimento dal parte del Papa e soprattutto non saprà difendere, riconoscere ed esaltare l'equivalente femminile dei suoi frati francescani.

 

 

[Andea Carpenzano (Francesco), Susanna Nicchiarelli, e Margherita Mazzucco (Chiara)]

 

Non basterà il Cantico e la riconciliazione finale a riabilitarlo e infatti il modo in cui la regista sceglie di non mostrare mai i miracoli dell'uomo, ma solo quelli della donna, è un elemento emblematico della posizione tematica: un tentativo di rileggere le azioni della santa in chiave femminista, antagonista al clero tutto al maschile e rivoluzionaria.

 

L'operazione di per sé può essere interessante, ma nella sua eterogeneità, quando il film perde la sua anima più dumontianamente naif per cercare di diventare veicolo punk di queste istanze risulta molto meno coeso: lo sguardo sembra infatti un po' troppo forzato dalla volontà a priori dell'autrice e non sempre il contesto si presta realmente a questa lettura.

 

"Stateve’ alla larga dalle femmine! Avete paura, siamo pericolose, statevene qua!"

[La risposta di Chiara alla nuova regola francescana che imponeva la lontananza dal sesso femminile.]

 

 

Quando Chiara si spoglia di parte della forzatura tematica, che se meno presente sarebbe probabilmente risultata più incisiva, in favore di un registro più da ingenuo coming of age il film cresce decisamente: tra il musical unito al racconto della natura, l'esagerazione barocca al voto di povertà, il virtuosismo visivo e costumistico alle austere architetture abruzzesi.

 

 

[Il lavoro del costumista Massimo Cantini Parrini, pluricandidato e premiato, e la cura per le scenografie impreziosiscono senza ombra di dubbio Chiara]

 

Questo percorso di crescita di Chiara attraverso la notorietà, seppur mantenendo il passaggio attraverso topoi classici come rabbia, noia e impegno, è impreziosito da una regia dinamica e sfacciata, tanto da farlo quasi sembrare un film fasullo: come se la volonta di attualizzazione volesse portarlo fuori dal tempo in cui è ambientato.

 

Infatti l’estrema pulizia, unita a una camera che si muove molto e a svariati artifici visivi (la riproposizione di quadri medievali con tutte le aureole dorate, le coreografie in mezzo alla chiesa, i miracoli…) sembra voler creare un dissidio con le componenti più reali, pasoliniane e povere su cui comunque il film ragiona.

 

 

[La bravissima Margherita Mazzucco nei panni di Chiara]

 

In tutto questo contesto la paura per la crescita e per la santità, che comunque è ben presente, forse avrebbe richiesto più spazio dell’anima punk rivoluzionaria che invece risultava più adatta ai due lavori precedenti ed è probabilmente questo il più grande limite del film.

 

Chiara, nel complesso, è un'opera che intrattiene e che ha più di un buon momento, in cui un’ottima Margherita Mazzucco tiene perfettamente la scena, ma che manca purtroppo di amalgama e di una vera solidità d’intenti: non sembra segnare un passo avanti rispetto all’ottimo Miss Marx, ma forse neanche un netto ridimensionamento.

 

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