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Love Life - Recensione: quotidianità annegata nel silenzio - Venezia 2022

La recensione di Love Life, film di Kōji Fukada, da Venezia 79 

Love Life è l'ultimo lavoro del regista Kōji Fukada, già vincitore del Premio della Giuria nella sezione Un Certain Regard del Festival di Cannes 2016 con Harmonium.  

 

Unico volto del Cinema dell'Estremo Oriente nel concorso principale della 79ª Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, il regista giapponese mette in scena con Love Life il più classico dei triangoli amorosi, provando a raccontare l'elaborazione di un trauma di coppia e l'incomunicabilità che può venire a crearsi tra due persone che si amano. 

 

Il risultato ottenuto è a tutti gli effetti un tipico dramma familiare del Sol Levante, 

 

[Il trailer di Love Life, nelle sale dal 9 settembre]

 

 

La protagonista di Love Life, Taeko (Fumino Kimura) e il frutto del suo precedente matrimonio, il figlio Keita, si trasferiscono assieme al nuovo marito Jiro (Kento Nagayama).

 

Ci vengono mostrati insieme e felici sin dall'inizio del film: sembra il più classico dei quadretti familiari borghese ma, se osservati da vicino, si possono vedere le prime crepe nel loro amore. 

In una delle primissime scene si vede come la precedente unione della donna, pur essendo ormai superata, è motivo di grande attrito tra la famiglia e i genitori del marito; raccontandoci così tutto il conservatorismo giapponese, i nonni acquisiti esternano alla prima occasione il loro non vedere di buon occhio il passato di Taeko e insinuano che loro figlio si sia sposato con uno "scarto",  tanto da aggiungere: "vogliamo un nipote tutto nostro!".

 

Questa futile discussione sulla genitorialità biologica o acquisita verrà ben presto sconvolta dalla tragedia che si abbatte sugli sposini: un momento costruito con buona perizia e che quindi, pur essendo prossimo all'inizio, non rivelerò.

 

 

[Nonni e genitori dopo la prima furiosa litigata in Love Life]

 

Questo tragico avvenimento creerà una distanza incolmabile tra i due protagonisti di Love Life, tanto da condurli in una fitta rete di intrecci amorosi in cui ex e attuali compagni si rimescoleranno più volte: tra gelosie e impossibilità di comunicazione Fukada mette in scena un continuo cambiamento degli attori in campo e dei rapporti di forza.

 

Il film, attraverso questo continuo - e talvolta troppo rapido e ingiustificato - ribaltamento degli amori prova così a mostrarci una gamma di differenti relazioni che, ognuna per il suo differente peccato orginale, progressivamente si riveleranno male assortite: la capacità di comunicare tra innamorati, da questo punto di vista, occuperà un posto di rilievo.

 

Fukada riesce molto bene nell'intento di raccontare le relazioni umane attraverso gli spazi, sia in interno sia in esterno, che si vengono a creare nelle rispettive coppie: per esempio Taeko e il nuovo marito, i cui corpi inizialmente sembrano incastrarsi perfettamente nella fotografia di Love Life, si allontaneranno inesorabilmente creando così dei vuoti visivi e spaziali evidenti.

 

I due protagonisti non sono gli unici soggetti dell'attenzione di Fukada: come loro anche le future coppie con Park, padre sordomuto di Keita, e Yamazaki, ex-fidanzata di Jiro, saranno sempre occasione per raccontare quanto la capacità (o l'impossibilità) di comunicare profondamente sia la base di ogni rapporto e, sostanzialmente, la vera causa scatenante di molte separazioni.

 

 

[L'ex marito Park e Taeko in uno dei tanti rimescolamenti in Love Life]

 

Nel perseguire questo scopo, si può notare come il film di Fukada ha dei riferimenti riconoscibilissimi - e molto "alti" - come ad esempio il Cinema di Hirokazu Kore'eda (e di conseguenza quello di Yasujiro Ozu), che si aggiungono a una messa in scena molto curata capace di trasmettere a seconda dei momenti freddezza o calore.

 

Rigide geometrie e illuminazioni algide si alternano a momenti di maggior naturalezza e colori più saturi per mostrare l'ondivago incedere delle varie relazioni; Fukada in Love Life riesce così a costruire diversi momenti di pregevole fattura visiva, tuttavia, se gli emuli dei due registi sopracitati sono moltissimi, nel caso della rielaborazione operata in Love Life non ci troviamo di fronte a un risultato particolarmente brillante o stimolante.

 

 

[I corpi di Taeko e Jiro si incastrano perfettamente nell'inquadratura all'inizio di Love Life, la differenza con la copertina della recensione è evidente]

 

Sempre a livello visivo, in Love Life c'è un'ottima capacità di sfruttare le geometrie domestiche - tipica del Cinema di Ozu e Kore'eda - così come molte costruzioni di "quadro nel quadro": scelte stilistiche funzionali a raccontare la semplice quotidianità opposta alla tragedia insanabile, anche se talvolta si ha la percezione di un buon manierismo di riflesso, più che di una reale ispirazione artistica.

 

Così come i corpi delle persone anche l'uso degli oggetti è centrale nella costruzione visiva del film: tanto da risultare l'unico topos visivo davvero degno di nota in un contesto in cui tutto è ben realizzato, ma poco memorabile e denso di contenuto.

 

 

[Quando dal caldo si passa al freddo in Love Life: sole, giallo e verde brillante si tramutano in un attimo in un triste ambiente piovoso]

 

Anche a livello di sottotesto le criticità di Love Life sono simili: l'attenzione all'impossibilità comunicativa, sottolineata anche con il linguaggio dei segni, fa da fil rouge al film ma non incide mai abbastanza fino a darne una visione interessante e approfondita; anche i temi dell'elaborazione del lutto, dell'unione familiare e una brevissima analisi del contesto lavorativo giapponese sembrano essere più orpelli che veri e propri punti di interesse.

 

L'intreccio, in un film che comunque si prende i suoi tempi e sembra volerlo mettere al centro, viaggia spesso a due velocità: da un lato il tempo della contemplazione è sempre rispettato e adatto a un contesto così visivo, dall'altro gli snodi narrativi sembrano talvolta forzati, accelerati e raffazzonati, così come le ragioni dei movimenti dei personaggi, che raramente vengono costruite in scena.

 

Una gestione del ritmo che purtroppo mi è sembrata decisamente poco riuscita. 

 

 

[Nuora e suocera in uno dei tanti momenti di fasulla vicinanza di Love Life]

 

In Love Life si trovano sostanzialmente tante piccole buone cose - come spesso avviene in produzioni con queste radici autoriali - ma è un film a cui sembra mancare un'ispirazione e una freschezza sufficienti per creare la giusta amalgama e donargli così una vera ossatura tematica, registica e visiva.

 

Come se la facciata, così centrale nelle vicende delle coppie, fosse propria anche dell'opera di Fukada: tanti dettagli appoggiati su fondamenta inesistenti, delle foglie - alcune più grandi e rigogliose, altre meno - senza un albero.

 

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