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Diventare Sergio Leone

Breve resococonto dell'apprendistato del regista romano. 

Roma, 1948: Vittorio De Sica stava lavorando a Ladri di biciclette, film destinato a diventare un manifesto del Neorealismo e a vincere l’Oscar come miglior film straniero.

A quel film collaborò anche Sergio Leone.

 

Durante una scena girata al mercato di Porta Portese, i due protagonisti, Antonio e il figlio Bruno, si riparano sotto un cornicione dalla pioggia torrenziale, imbattendosi in un gruppo di seminaristi tedeschi della Propaganda Fide (l’organo ecclesiastico che cura l’attività missionaria nel mondo): fra le comparse, spicca sulla sinistra Leone, all’epoca diciannovenne.

 

 

 


Sergio Leone nacque a Roma il 3 gennaio 1929.

Il padre Vincenzo era un regista cinematografico, che firmava le sue opere con lo pseudonimo Roberto Roberti (ed il figlio lo omaggerà comparendo nei titoli di testa di Per un pugno di dollari col nome d’arte di Bob Robertson); la madre, Edvige Valcareggi, era un’attrice.      

 

Dirà Leone, a proposito del suo contesto familiare:

“C’è mancato poco che nascessi in un cinema, ci lavoravano entrambi i miei genitori.

La mia vita, le mie mie letture, tutto ciò che mi riguarda ruota attorno al cinema: per me, quindi, il cinema è la vita e viceversa”.

 

Curiosamente, da bambino, Leone frequentò la scuola elementare con Ennio Morricone, futuro compositore delle musiche dei suoi film. 

 

 

 


Divenuto adolescente, al futuro cineasta furono imposti gli studi di giurisprudenza, ma il richiamo della settima arte era troppo forte per ignorarlo, a tal punto che il padre – nel 1941 – lo portò con sé a Napoli, dove si svolgevano le riprese del film La bocca della strada; in seguito, egli visitò gli studi di Cinecittà, dove restò affascinato dai set che riproducevano strade e villaggi, sale di montaggio ed altri ambienti necessari per la produzione di un film.      

 

Quando i genitori si trasferirono a Torella dei Lombardi (paese natio di Vincenzo, in provincia di Avellino), Sergio restò a Roma, scrivendo la sua prima sceneggiatura, dal titolo Viale Glorioso.

Essa, però, non fu mai trasposta sullo schermo, poiché Leone non aveva intenzione di entrare in competizione con un altro giovane regista in rampa di lancio, Federico Fellini.      

 

Quest’ultimo diresse I Vitelloni nel 1953, suo secondo film dalle tematiche simili a quelle di Viale glorioso, che trattava le peripezie di un gruppo di alcuni giovani amici.     

 

 

[I Vitelloni felliniani]

 

 

Fra gli anni '40 e '50, Leone maturò le prime vere esperienze cinematografiche grazie ai registi Mario Bonnard e Carmine Gallone: egli visse a casa di Bonnard fino al 1960, anno in cui sposò Carla Ranalli; Gallone, invece, era un amico della famiglia Leone, ed affidò a Sergio piccoli compiti (assimilabili a quelli di un ragazzo di bottega), durante le riprese di alcune pellicole basate su celebri opere liriche, come il Rigoletto di Giuseppe Verdi e La Bohème di Giacomo Puccini.      

 

Nel 1951 ci fu il primo contatto fra Leone ed il cinema americano: egli lavorò sul set di Quo Vadis?, diretto da Mervin LeRoy, avendo essenzialmente due compiti: la conduzione delle comparse italiane ed il controllo del loro abbigliamento.

 

Il suo nome iniziò ben presto a girare fra le troupe statunitensi di stanza in Italia: Leone godeva di ottima reputazione per le sue capacità lavorative, anche se il suo inglese non era perfetto (e non sarebbe migliorato, come testimonia la vicenda di Charles Manson e Sharon Tate, che sfiorò l'esistenza di Leone nel 1969).      

 

Nel 1959, il futuro regista di C’era una volta in America fu assunto come aiuto-regista di William Wyler per Ben-Hur, capolavoro che avrebbe vinto ben undici premi Oscar l’anno successivo.

 

Girato a Cinecittà, Leone fu persino coinvolto nella sequenza della celebre corsa delle bighe fra Giuda Ben-Hur (Charlton Heston) ed il rivale Messala (Stephen Boyd), che richiese diversi mesi per essere provata e filmata.

Leone si occupò della cura di alcuni primi piani e dei raccordi fra le varie inquadrature.    

 

 

 

 


Con Ben-Hur terminò il periodo di apprendistato di Sergio Leone, che era ormai pronto per la regia cinematografica: sempre nel 1959, condusse a termine le riprese del film Gli ultimi giorni di Pompei, subentrando a Mario Bonnard che fu colpito da una malattia al fegato.      

 

Fu in questa circostanza che Leone si accorse della somiglianza fra i paesaggi spagnoli (dove si svolsero le riprese esterne del film di Bonnard) e le location dei western americani, di solito ambientate nella Monument Valley, al confine fra Utah e Arizona.

 

Dichiarò Sergio Corbucci a tal proposito: 

"Vidi che in Spagna c’era 'sto paesaggio che assomigliava molto al Texas, al Messico o comunque a come noi li immaginavamo.  

Girando Gli ultimi giorni di Pompei tante volte ci trovavamo a dire: ma guarda un po’, qui si potrebbe fare un western straordinario”.      

 

Sebbene Leone non si identificò mai nel prodotto finito, attribuendo il merito a Bonnard, Gli ultimi giorni di Pompei ottenne un discreto successo commerciale, che gli concesse notevole potere contrattuale; i produttori gli proposero, dunque, di girare un altro peplum: nel 1961 uscì nelle sale italiane il primo vero film da lui ideato e diretto, Il colosso di Rodi.

 

 

 

[Una scena de Il colosso di Rodi]

 

 

E il resto è storia, con due trilogie che hanno arricchito di fascino e bellezza la storia del Cinema.

 

 

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