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Captain Volkogonov Escaped - Recensione: la redenzione nella Russia stalinista - Venezia 2021

Recensione di Captain Volkogonov Escaped, film diretto da Natasha Merkulova e Aleksey Chupov

Dopo aver presentato nel 2018 all’interno della sezione Orizzonti l’interessante The Man Who Surprised Everyone, la coppia di registi - anche nella sfera privata - Natasha Merkulova e Aleksey Chupov si trova a concorrere per il Leone d’oro alla Mostra del Cinema di Venezia 2021 con il loro nuovo film: Captain Volkogonov Escaped.

 

Partendo da una premessa abbastanza semplice, un uomo cerca di redimersi dopo un passato a dir poco violento, i due registi russi costruiscono attorno a Captain Volkogonov Escaped un affresco socio politico di un Paese che vive da anni nella menzogna.

 

Ritorna la tortura - tema trattato anche ne Il collezionista di carte di Paul Schrader - ma questa volta declinata in una parabola postmoderna, che cerca continuamente l’elemento della sorpresa.

 

[Il cast e i registi di Captain Volkogonov Escaped]

 

 

A differenza quindi di The Man Who Surprised Everyone, dove la narrazione classica si contrapponeva ai vari elementi folkloristici della storia, in Captain Volkogonov Escaped veniamo trascinati in un racconto privo di punti di riferimento, finendo però per risultare a tratti confusionario e disunito nella narrazione.

 

Siamo nel 1938 e la Russia stalinista si sta preparando a entrare nella Seconda Guerra Mondiale; un gruppo di ragazzi atletici, in un salone barocco di stampo settecentesco, si sfidano a pallavolo.

Una sequenza surreale, evocativa dal punto di vista visivo, che ci permette di conoscere il protagonista che dà anche il titolo al film: il capitano Volkogonov.

 

Un fedele servo della patria, un soldato che applica la tortura per estorcere delle informazioni ai vari nemici della nazione.

Quando però verrà accusato di un crimine tutte le sue certezze crolleranno, conducendolo in un viaggio senza apparente via d’uscita. Volkogonov è quindi un cacciatore che diventa vittima - già tema trattato nel precedente film della coppia di registi - dove scappare diventa l’unica soluzione per una morte certa.

 

C’è però un elemento sorpresa, durante un sogno il protagonista ha una visione: evitare l’inferno dovrà chiedere perdono a tutte le vittime che ha torturato.

 

Captain Volkogonov Escaped si trasforma in thriller mistico, in cui situazioni irreali si mescolano con sequenze d’azione ben collaudate.

Non c’è retorica becera nel film, questo perché la redenzione non avviene per un'improvvisa epifania da parte di Volkogonov, ma solo per un’esigenza egoistica, dettata dalla paura della morte.

 

Assistiamo dunque alla caratterizzazione psicologica di un uomo a cui pareva interessare il bene della patria, ma che si rivela alla fine solo una vittima di un sistema che introduce alla violenza e che una volta abbandonato ti lascia da solo in preda a tuoi deliri.

L’alternarsi tra passato e presente, tra immaginazione e realtà rende Captain Volkogonov Escaped un film abbastanza pesante da vedere, nonostante la forte presenza di scene d'azione che danno movimento all'opera.

 

Una maggiore coesione delle linee temporali avrebbe giovato di più, a mio avviso, a un’opera con una storia semplice ma che ricerca la complessità finendo per risultare complicata.

 

La morale di fondo di Captain Volkogonov Escaped è comunque estremamente interessante, dove la visione manichea di un modo di vivere finisce inevitabilmente con la caduta nel vortice della cieca violenza, lasciando lo spazio per la redenzione fuori campo o comunque atto solo a risvolti egoistici.

 

Il protagonista Yuri Borisov interpreta magnificamente il concetto che sta alla base del film, per un capitano che cerca continuamente di scappare, finendo per trovare la calma solo una volta che il film riesce a ricongiungere i punti sparsi qua e là durante la narrazione.

 

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