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#top8

8 film in cui il Cinema se n'è sbattuto dell'etnia dei personaggi

Infuriano le polemiche in questi giorni per la scelta di casting per il live action de La Sirenetta, ma non è affatto la prima volta

Non solo blackface: le polemiche per la scelta di casting in occasione del live action de La Sirenetta hanno infiammato il web, ma non è affatto la prima volta che Hollywood se ne infischia e sceglie un attore di un'etnia diversa dal personaggio che rappresenta - anche se in questo caso trattandosi di una sirena risulta arduo sentenziare su quale dovrebbe essere l'etnia "corretta". 

 

Gli esempi sarebbero tantissimi, a partire dall'iconografia di Gesù Cristo - figura nata in Palestina ma sempre raffigurata come caucasica, con tanto di chioma bionda fluente come quella di Willem Dafoe ne L'Ultima Tentazione di Cristo di Martin Scorsese - al "caso" Ghost in the Shell dove Scarlett Johansson interpreta una cyborg giapponese.

 

Fino ad arrivare all'intero cast di Cloud Atlas, film in cui attori bianchi e neri interpretano svariati personaggi di svariate etnie. 

 

 

 

 

La tecnica del Blackface, inoltre, sottolinea come questo problema negli Stati Uniti sia più che sentito: utilizzata nel teatro del XIX secolo, implicava che gli attori bianchi si dipingessero il volto di nero per interpretare un personaggio di colore. 

 

Tappi di sughero bruciati o lucido da scarpe per dipingersi il viso e tutto il corollario di trucco e parrucco per travestirsi da stereotipo nero: la cosa veniva utilizzata anche in Gran Bretagna addirittura fino agli anni '70 del secolo appena trascorso.

 

Se oggi la cosa crea un ovvio imbarazzo, all'epoca era la norma e ci vollero Martin Luther King e le sue battaglie per far sì che il Blackface scemasse fino a diventare oggi un veicolo di satira che prende in giro proprio coloro che non ci vedono nulla di male.

 

A parte la figuraccia di Alitalia, ovviamente.  

 

 

[Al Jolson ne Il Cantante di Jazz, del 1927: film passato alla Storia per essere il primo film sonoro, è anche uno dei casi più noti di Blackface]

 

 

La questione dei cosiddetti whitewashing e blackwashing è ormai all'ordine del giorno e stupisce vedere quante parole vengano scritte in difesa di personaggi di fantasia. 

 

In questa Top 8 vediamo cronologicamente qualche esempio di film hollywoodiani, e non solo, in cui personaggi reali o di fantasia vennero rappresentati sullo schermo senza minimamente porsi il problema del rispetto nei confronti di chi dovrebbe sentirsi rappresentato da qualcuno che si trucca - a volte anche in maniera grossolana - per assomigliargli.

 

Ma è anche un modo per sottolineare come, quando si parla di attori, dovrebbe passare in secondo piano la scelta di chi stanno rappresentando: attori e attrici interpretano qualcuno che non sono nella vita reale. 

 

Per interpretare un assassino non viene scritturato un assassino, e così per interpretare un greco si può anche scritturare un messicano.

 

L'importante dovrebbe essere comprendere quando la cosa diventa irrispettosa e quando, invece, rientra nella normalità di ciò che si chiama recitazione, che come descrive la Treccani non è altro che 

"L’azione, l’attività, l’arte e la tecnica, il modo stesso di recitare, sia come lettura in pubblico o dizione a memoria di un testo, sia (r. teatrale) come interpretazione di un’opera o di parte di un’opera teatrale, cinematografica, radiofonica o televisiva"

 

A voi scoprire la differenza in questi 8 film.  

 

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Posizione 8

Il conquistatore, 1956

Regia di Dick Powell

con John Wayne che interpreta Gengis Khan

 

Sebbene sia ancora aperto il dibattito sulla reale discendenza di Gengis Khan, l'imperatore mongolo era sicuramente asiatico.

 

Il casting di John Wayne risulta oggi essere uno dei più goffi nella storia di Hollywood e l'intero film è talmente offensivo che pare addirittura che sia stato fatto... per sbaglio.

 

Secondo le congetture lo scrittore e regista del film Dick Powell era così infelice di ciò che aveva scritto che aveva tutte le intenzioni di gettare la sceneggiatura nel cestino.

 

Ma Powell ha raccontato che un giorno lasciò il suo ufficio alla RKO per recarsi ad una conferenza, e al suo ritorno trovò un entusiasta John Wayne che aveva letto la sceneggiatura, erroneamente lasciata assieme a una pila di possibili script sulla scrivania del regista. 

Il Duca ha poi insistito sul fatto che questo era il film che voleva fare.

 

"E chi sono io per rifiutare John Wayne?", disse Powell in seguito.

 

Il film finì poi per essere motivo di imbarazzo per John Wayne, che una volta dichiarò che Il conquistatore fu per lui una grande lezione:

"Non fare l'asino cercando di recitare parti per le quali non sei adatto".

 

Posizione 7

Colazione da Tiffany, 1961

Regia di Blake Edwards

con Mickey Rooney che interpreta un giapponese

 

Quando pensiamo a Colazione da Tiffany viene subito in mente la meravigliosa Audrey Hepburn

 

Le sue movenze, il suo sguardo, i suoi abiti, quel meraviglioso, ammaliante, problematico personaggio di Holly Golightly e il suo rapporto con Paul, interpretato da George Peppard. 

Oltre ovviamente alle clamorose musiche di Henry Mancini e a quel gatto rosso senza nome, co-protagonista miagolante di una commedia sentimentale che ha fatto la storia di Hollywood e del Cinema tutto. 

 

Quello a cui pensiamo meno è il leggendario attore di Hollywood Mickey Rooney nei panni di Mr. Yunioshi: un giapponese perennemente mezzo ubriaco, esageratamente miope, che sbatte la testa sulle lampade a sospensione e non riesce a pronunciare il nome del personaggio di Audrey Hepburn con un accento eccessivamente marcato e ridicolo. 

 

Una macchietta di cui oggi Hollywood si vergogna. 

 

Nel commento audio al film nella versione home video si può sentire il rammarico del regista Blake Edwards e del produttore Richard Shepherd, che raccontano di come avrebbero preferito un vero giapponese per interpretare il buffo personaggio di Mister Yunioshi. 

 

Ma Mickey Rooney all'epoca fu irremovibile, e lo fu anche per quanto riguarda la performance: 
"Mi hanno assunto per fare un personaggio fuori dalle righe e ci siamo divertiti un sacco a farlo!", dichiarò nel 2008. 

"Mai in oltre quarant'anni c'è stata una lamentela in merito. La gente dice: "Dio, eri così divertente!"

Asiatici e cinesi si avvicinano a me e dicono: "Mickey, eri fuori dal mondo!"

 

Ma Rooney dimentica le proteste che si scatenano ogni volta che il film viene programmato per una retrospettiva negli Stati Uniti, con le comunità asiatiche che insorgono nei confronti del personaggio e di come vengono rappresentate. 

 

Posizione 6

Zorba il greco, 1964

Regia di Michael Cacoyannis

con Anthony Quinn che interpreta un greco

 

Anthony Quinn è nato Antonio Rudolfo Oaxaca Quinn nel 1915, a Chihuahua, in Messico, da padre irlandese-messicano e madre messicana.

 

Quando era ancora un bambino la sua famiglia si trasferì a Los Angeles, California, il padre trovò lavoro a Hollywood come assistente cameraman e il giovane Antonio, dopo aver studiato architettura e teatro, esordì come attore a 21 anni. 

 

Chi conosce i suoi film sa che Anthony Quinn poteva interpretare praticamente qualsiasi etnia o nazionalità del pianeta.

Inizialmente, tuttavia, le sue possibilità erano più limitate.

 

"Mi dicevano che tutto ciò a cui potevo ambire era interpretare l'indiano", ha raccontato una volta.

 

Nella sua lunga e prolifica carriera durata 64 anni e composta da oltre 150 film, Quinn alla fine interpreterà, tra gli altri: un messicano in Viva Zapata!, un italiano in La Salamandra, un nativo americano ne La storia del Generale Custer, uno spagnolo in Le sette città d'oro, un nord africano in Avventura al Marocco, un filippino ne Gli eroi del Pacifico, un francese in Brama di Vivere...

 

Quinn una volta disse in merito:

"Non fa differenza che etnia interpreto, finché sono una persona del mondo."

 

Difatti le sue migliori e più celebrate interpretazioni sono, oltre a quella di Eufemio Zapata in Viva Zapata!, quella di Paul Gauguin in Brama di Vivere - entrambe premiate con l'Oscar - quella di Gino, italoamericano in Selvaggio è il vento, Alexis Zorba in Zorba il Greco e Auda Abu Tayi, guerriero di una tribù araba in Lawrence d'Arabia: tutti personaggi con discendenze molto diverse dalle sue.

 

Parlando di Zorba il Greco Quinn raccontò: 

"Nessuno voleva fare questo ruolo. Burl Ives e Burt Lancaster rifiutarono dicendo "A chi importa di un vecchio che fa l'amore con una vecchia malandata?!"

 

Posizione 5

Otello, 1965

Regia di Stuart Burge

con Laurence Olivier che interpreta Otello

 

La tragedia di William Shakespeare è stata portata sullo schermo parecchie volte: contando anche le trasposizioni che si sono prese più libertà, dal 1922 ad oggi sono stati realizzati ben 14 film sul gelosissimo "moro di Venezia". 

 

Famoso il film di Orson Welles che vinse il Grand Prix di Cannes nel 1952 e per il quale ci vollero 3 anni di lavoro, con lo stesso Welles nei panni di Otello, opportunamente blackfaceato.

 

Ma fu il film del 1965 con il gigante della recitazione Laurence Olivier che all'epoca fece esplodere le polemiche: complice il fatto che il film fosse a colori, la performance di Olivier fu criticata aspramente proprio per la scelta del blackface, che lo rendeva un "rastus" - termine dispregiativo per definire un uomo di colore, molto più infamante della "parola con la n" che ormai fortunatamente è caduta in disuso - o nella migliore delle critiche "uno da cui ti aspetti che inizi a suonare il banjo e saltellare da un momento all'altro". 

 

Il film, nonostante le rimostranze della critica americana e della comunità nera, ottenne agli Oscar ben 4 nomination, proprio per le interpretazioni: Laurence Olivier fu candidato come Migliore Attore Protagonista, Maggie Smith e Joyce Redman furono candidate come Migliore Attrice non Protagonista e Frank Finlay come Migliore Attore non Protagonista. 

 

Cinefact: ancora oggi, l'Otello di Burge è l'unico film tratto da un'opera di Shakespeare che ha ricevuto le nomination agli Oscar per tutti e 4 gli attori.  

 

Fortunatamente negli ultimi anni le cose sono andate a posto: nel 1995 uscì Othello, di Oliver Parker, dove la parte del protagonista è andata a Laurence Fishburne, nel 2011 è stata la volta di Mekhi Phifer in una rivisitazione moderna della tragedia dal titolo O come Otello e nel film italiano del 2009 Iago il moro fu interpretato da Aurelien Gaya. 

 

Posizione 4

Hollywood Party, 1968

Regia di Blake Edwards

con Peter Sellers che interpreta un indiano

 

Peter Sellers e Blake Edwards avevano già girato insieme due film de La Pantera Rosa, quando il produttore Walter Mirisch propose ad entrambi di girare The Party

 

Sellers aveva già interpretato un indiano ne La Miliardaria, film del 1960 con Sophia Loren, ed era già stato il francese Clouseau de La Pantera Rosa e lo scienziato tedesco Stranamore per Stanley Kubrick

 

Non era dunque la prima volta che il comico si allontanava dalle sue origini squisitamente britanniche. 

 

Il suo personaggio in Hollywood Party è un omaggio al cinema del francese Jacques Tati: Hrundi V. Bakshi è un wannabe attore, impacciato, inadeguato, pasticcione ma tremendamente educato e timido, qualcosa che andava clamorosamente in controtendenza rispetto al vivere di Hollywood di quei tempi, in piena esplosione della Summer of Love. 

 

Il film mette alla berlina tutti i personaggi che non sono Bakshi, rendendolo l'unico capace di provare empatia, in grado di chiedere scusa, che cerca di muoversi senza dare fastidio e senza essere visto - ma ovviamente ottenendo un deflagrante effetto comico contrario - che non fa vezzo delle proprie virtù vere o presunte. 

 

Nonostante il brownface di Peter Sellers, il ruolo risultò ai tempi meno fastidioso di quello che poteva sembrare sulla carta: le polemiche non mancarono, ma furono poche anche probabilmente a causa dell'insuccesso commerciale del film, che però divenne con gli anni un vero e proprio cult e una delle dimostrazioni più lampanti del talento comico del protagonista, abilissimo nel muoversi nell'ambiente della comicità slapstick senza quasi mai proferire parola. 

 

Posizione 3

Mighty Heart - Un cuore grande, 2007

Regia di Michael Winterbottom

con Angelina Jolie che interpreta una cubana

 

Quando il romanzo A Mighty Heart: The Brave Life and Death of my Husband Danny Pearl fu opzionato dalla casa di produzione Plan B di Brad Pitt nel 2003, era abbastanza inevitabile che il ruolo dell'autrice del libro Mariane Pearl sarebbe stato affidato ad Angelina Jolie, allora moglie dell'attore.

 

La storia è straziante: il racconto del rapimento, della tortura e della decapitazione del marito di Mariane, Daniel Pearl (capo dell'Ufficio Asia del Sud per il Wall Street Journal), in un Pakistan colpito dalla guerra.

Il libro è stato portato sullo schermo in maniera crudele, molto diretta e per niente sentimentale, e la performance della Jolie lo impreziosisce. 

 

Il problema però è che tra interprete e personaggio reale c'è uno scontro di etnie che ha del clamoroso.

 

Mariane Pearl è una francese dalle evidentissimi origini cubane, con una madre che ha discendenze afro-cinesi e un padre ebreo olandese. 

Angelina Jolie è un pot-pourri di nazionalità che vede mescolare Germania, Slovacchia, Canada francese e Irochesi, una popolazione di nativi americani. 

 

Neanche impegnandosi si sarebbe trovato qualcosa di così incasinato. 

 

"È importante fare tutto il possibile per aiutare il pubblico a dimenticare che sta guardando qualcuno che ha visto in altri ruoli", ha detto Angelina Jolie nel 2007,

"Era un film importante, quindi volevo essere il più invisibile possibile e lasciare che uscisse Mariane. La trasformazione ha aiutato a farlo.

Abbiamo testato cinque diverse tonalità di marrone per le lenti a contatto. 

Michael [Winterbottom, ndr] odia davvero le lenti e le parrucche.

Pensavo che avrei avuto un aspetto terribile con gli occhi castani e i capelli ricci, ma poi mi sembrava okay." 

 

A Mighty Heart ha fatto ottenere all'attrice una nomination ai Globe e ai SAG, nonché svariati premi ai festival in giro per il mondo.  

Soprattutto, il plauso della vera Mariane Pearl. 

 

Posizione 2

Killshot, 2008

Regia di John Madden

con Mickey Rourke che interpreta un nativo americano

 

I nativi americani sono tra le etnie più bistrattate di Hollywood: fino alla fine degli anni '60 la popolazione indigena degli Stati Uniti veniva presentata nei film - in particolare nei western - semplicemente come "il nemico", un brutale selvaggio quasi incapace di esprimersi se non con urli di guerra, spietato e disumano, che doveva essere superato in astuzia e sconfitto in massa.  

 

Per aggiungere ulteriore insulto, i personaggi nativi americani erano raramente, se non mai, interpretati da attori nativi americani.

Abbiamo visto negli anni Burt Lancaster, Rock Hudson, Chuck Connors, Audrey Hepburn e molti altri recitare in redface per praticamente sessant'anni di Cinema.

 

La tendenza ha cominciato a scemare negli anni '70, e i personaggi indigeni americani sono ora più comunemente interpretati da attori razzialmente appropriati. 

Con però delle eccezioni, anche piuttosto recenti: nel 2013 in The Lone Ranger c'era Johnny Depp nei panni di Tonto, un nativo americano della popolazione Comanche. 

Ma Johnny Depp ha sorprendentemente delle discendenze Cherokee, quindi la comunità non se la prese più di tanto per il casting del film. 

 

Andò peggio però qualche anno prima, con Mickey Rourke nei panni di Armand 'Falco Nero' Degas, un killer nativo americano con tanto di trucco agli occhi. 

Anzi, un ulteriore trucco agli occhi: date le operazioni chirurgiche di Rourke, probabilmente i truccatori hanno lavorato meno del previsto. 

 

Nonostante l'attore abbia dichiarato 

"Quel film è il miglior lavoro che ho fatto in quindici anni", il film fu accolto tiepidamente dalla critica e ancora più tiepidamente dal pubblico, che riconobbe in quella di Rourke una buona performance sporcata però da uno strano e imbarazzante accento "nativo americano" non proprio riuscito e... dalla redface, che nel 2008 era forse già ora di non vedere più. 

 

Posizione 1

Gods of Egypt, 2016

Regia di Alex Proyas

con l'intero cast di attori bianchi che interpretano divinità egizie

 

Era successa praticamente la stessa cosa due anni prima con Exodus - Dei e re di Ridley Scott, ma il film di Proyas fece imbufalire tutti quanti forse anche perché c'era appena stata una querelle simile e non era proprio il caso di ripetersi così a breve distanza. 

 

Ambientato in Africa nell'Antico Egitto e popolato da attori australiani, inglesi, svedesi e francesi, Gods of Egypt si macchia di una colpa in più: la presenza di un attore nero nel cast, quel Chadwick Boseman che pochi mesi dopo diverrà universalmente noto come Black Panther, che però interpreta lo stereotipo del "Magical Negro" andando a peggiorare la situazione. 

 

E in effetti Gerald Butler, Nikolaj Coster-Waldau, Geoffrey Rush e Abbey Lee nei panni di Set, Horus, Ra e Anat sono un po' strani a vedersi. 

Le critiche piovute addosso al film costrinsero il regista e la Lionsgate a scusarsi: 

 

"Il processo di casting di un film ha molte variabili complicate, ma è chiaro che le nostre scelte di casting avrebbero dovuto essere più diversificate"
ha dichiarato Alex Proyas, "Mi scuso sinceramente con coloro che sono offesi dalle decisioni che abbiamo preso".

 

Questo invece il comunicato ufficiale diramato da Lionsgate: 

"Riconosciamo che è nostra responsabilità contribuire a garantire che le decisioni di casting riflettano la diversità e la cultura del periodo storico rappresentato, ma in questo caso non siamo stati all'altezza dei nostri standard di sensibilità e diversità, per i quali ci scusiamo sinceramente.

Lionsgate è profondamente impegnata a realizzare film che riflettano la diversità del nostro pubblico: lo abbiamo fatto, possiamo farlo e continueremo a farlo meglio". 

Gods of Egypt costò 140 milioni di dollari: in patria ne incassò appena 31, che sommati ai 119 accumulati nel resto del mondo lo fecero arrivare a 150 milioni di incasso globale. 

Per un film dalle ambizioni simili, una vera débâcle. 

Dovuta forse alla scarsa qualità generale del film, che è piaciuto pochino a critica e pubblico, ma è evidente che la pubblicità negativa abbia avuto un certo peso. 

 

E probabilmente può servire come lezione: da un lato alle case di produzione per i motivi più che ovvii, dall'altro lato al pubblico. 

Perché il famoso coltello dalla parte del manico ce lo abbiamo noi. 

Il più delle volte non servono petizioni, strali e grida sui social network: basta non andare a vedere il film di cui proprio non sopportiamo le scelte di casting. 

 

A Hollywood l'importante è il denaro: se li colpisci lì, stai pur sicuro che fai loro un male che in futuro si ricorderanno. 

 



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3 commenti

Giuseppe Milazzo

4 anni fa

Non credo che il problema si pone quando i personaggi vengono totalmente ricolorato

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Carlo Dall'Ara

4 anni fa

😂😂TOP

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Sasuke

4 anni fa

l'ho appena scritto anche io nell'altro articolo 😂😂😂

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