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SanPa - Recensione: Muccioli ha fatto anche cose buone

La serie documentaristica diretta da Cosima Spender sulle oscure vicende che negli anni '80 videro protagonista Vincenzo Muccioli, imprenditore e creatore della comunità di recupero per tossicodipendenti di San Patrignano

SanPa - Luci e tenebre di San Patrignano è la nuova docu-serie di cinque puntate distribuita da Netflix che ha riaperto la discussione tra sostenitori e detrattori di una delle figure più controverse dell’Italia degli anni ’80: Vincenzo Muccioli.

 

Imprenditore riminese dall’incredibile potere carismatico, alla fine degli anni ’70 Vincenzo Muccioli decise di aprire le porte del suo casale sulla collina di San Patrignano (Rimini) per creare una comunità di recupero per tossicodipendenti.

 

 

[Trailer di SanPa - Luci e tenebre di San Patrignano]

 

A cavallo tra gli anni ’70 e ’80 diversi paesi europei tra cui anche l’Italia furono coinvolti dall’ondata delle droghe pesanti - in particolare eroina - che si imposero sulle droghe leggere, creando la generazione dei cosiddetti zombi.

 

Era ormai all'ordine del giorno vedere nelle vie delle città corpi barcollanti o accasciati a terra in qualche angolo.

 

Ragazzi distaccati dalla realtà, incapaci di interagire con gli altri, il cui unico scopo era trovare una dose, assumerla e avanti così, da capo, cercandone un'altra e aumentando sempre più le dosi, in un loop che non concedeva spazio a nient’altro se non alla droga stessa e che, quasi sempre, veniva tristemente interrotto dalla morte.

 

“Ho licenziato Dio

Gettato via un amore

Per costruirmi il vuoto

Nell'anima e nel cuore”

 

All’epoca, purtroppo, non solo scarseggiavano le strutture sanitarie atte a gestire le tossicodipendenze, non solo le conoscenze in materia - dalla farmacoterapia alla psicoterapia - erano agli albori rispetto al livello odierno, ma c’era un vero e proprio rifiuto da parte della società nei confronti dei tossicodipendenti che erano visti come la feccia, il marcio che si contrapponeva alle persone per bene: chi non si drogava, ovviamente.

 

Se eri pulito eri una brava persona, se ti drogavi eri pericoloso, cattivo e da isolare.

 

Nel Cinema non sono mancati i film che hanno mostrato la situazione appena descritta: si va dal famoso Trainspotting di Danny Boyle, che racconta le vicende di un gruppo di amici eroinomani nella Edinburgo degli anni ’80, a un meno citato ma forse più crudo Christiane F. - Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino di Uli Edel, in cui si racconta la situazione di una Berlino devastata dalla droga degli zombie nella seconda metà degli anni ’70.

 

Andando oltreoceano, il drammatico Requiem for a Dream di Darren Aronofsky racconta una storia di amore ed eroina a New York.

 

 

[Natja Brunckhorst interpreta Christiane F. in Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino]

 

 

Encomiabile, dunque, il tentativo di un uomo che in una realtà come quella dell’epoca si prodigasse per recuperare una fetta di società disprezzata da chiunque, spinto dall’amore per il prossimo, dalla volontà di strappare dei ragazzi deboli dalla stretta della droga.

 

Il tutto senza il minimo ritorno economico, anzi, rimettendoci del suo di buon grado.

 

Vincenzo Muccioli, il protagonista delle vicende di SanPa, si presentò così agli occhi di una società che vedeva la morte come unica via d’uscita dalla droga: una ventata di speranza per tutte quelle famiglie distrutte, disperate per la tossicodipendenza dei propri figli, convinte che li avrebbero persi di lì a poco e a cui, invece, si era inaspettatamente materializzata davanti un’alternativa.

 

Muccioli sinonimo di salvatore.

 

Paolo Villaggio:

“Mio figlio è stato trovato con tre bottiglie di metadone, l’hanno arrestato, l’hanno ingalerato: questo è stato l’aiuto che mi ha dato lo Stato.

Ho trovato fortunatamente Muccioli, quindi io son disposto a difendere Muccioli come un leone, non potete immaginare.”

 

Dalla fine degli anni ’70, quindi, San Patrignano iniziò a ospitare ragazzi tossicodipendenti che avevano intenzione di mettere una pietra sopra alla loro dipendenza e rientrare ripuliti in società.

 

Ma, come detto, la figura di Vincenzo Muccioli è stato oggetto di una vera e propria diatriba tra chi lo considerava alla stregua di un santo e chi, invece, lo demonizzava.

 

 

SanPa SanPa SanPa

 

Quando e perché nacque questo scontro di visioni?

 

Quali erano le argomentazioni portate dalle due fazioni, in difesa o per condannare il creatore della comunità?

 

SanPa non assolve e non condanna.

SanPa presenta i fatti e risponde fondamentalmente a una domanda: cos’ha fatto Vincenzo Muccioli?

 

La risposta sul come lo abbia fatto è lasciata allo spettatore, che trarrà da sé le sue conclusioni.

 

Muccioli presentava la permanenza nella comunità di San Patrignano come unico, efficace metodo per combattere la tossicodipendenza e ha sempre sottolineato come i classici metodi proposti dai medici negli ospedali (terapie a base di metadone e affini) fossero completamente inutili.

 

Ma cosa significava essere un ospite a San Patrignano?

Dopo un breve iniziale periodo di rodaggio della comunità in cui si cercò di capire quali fossero i metodi migliori per tenere sotto controllo gli ospiti, le regole di SanPa (chiamato così dai suoi ospiti) iniziarono a essere più chiaramente definite da una serie di divieti e limitazioni: si andava dal divieto di bere caffè al numero massimo di sigarette quotidiane consentite, dal divieto di ricevere ospiti o parenti durante tutto il primo anno di permanenza nella comunità fino alla proibizione di consumare rapporti sessuali con altri ospiti.

 

Un veterano della comunità stava accanto a un nuovo arrivato 24 ore su 24, anche durante le visite concesse dal secondo anno in poi.

 

Le lettere si potevano imbucare, certo, ma l’arrivo al destinatario dipendeva dal loro contenuto: evitare di dire che si stava male o che si voleva uscire dalla comunità, grazie.

 

Vincenzo Muccioli:

“Lettere: scrivete quando volete e quanto volete, non è un problema.

Ricordatevi, però, che io le lettere le apro tutte!” 

 

 

[Vincenzo Muccioli con la comunità di San Patrignano alle spalle]

 

Da San Patrignano non si usciva, altrimenti si veniva riconcorsi, recuperati, riportati indietro e rimessi in riga.

 

In maniera spesso poco ortodossa.

Avete presente quando a quindici anni i genitori, senza dare troppe spiegazioni, vietano di vedere quella persona di dieci anni più grande, di fumare sigarette, di andare in moto senza casco?

Non capendo la vera ragione di tali restrizioni, ai nostri occhi la motivazione è un loro puro capriccio.

 

Qual è, quindi, la prima cosa che si fa?

Incontrare il venticinquenne, fumare, andare in moto con nient'altro che il cranio a proteggere il nostro piccolo cervello.

 

Obbligare, vietare qualcosa senza prima far capire le motivazioni del divieto, non è mai stato un metodo per far capire la pericolosità della situazione a cui si va incontro.

 

Allo stesso modo obbligare un tossicodipendente all’astinenza, rendendo le sue giornate costellate da tante altre negazioni più o meno grandi, causerà facilmente numerose fughe verso la droga.

 

Nel caso degli ospiti di San Patrignano, inoltre, non solo c’era la mancanza del profondo lavoro psicoterapeutico - indispensabile in quei casi - ma mancava anche la terapia farmacologica (in cui Muccioli non credeva) che era stata sostituita da agopuntura, tisane e massaggi con lo zenzero. 

Provate a offrire una tisana allo zenzero a qualcuno in crisi di astinenza da eroina e poi parliamo di quanto potessero essere efficaci le “iniezioni d’amore” somministrate da Muccioli.

 

Certamente chi si presentava davanti ai cancelli della comunità, chiedendo di poterci entrare, lo faceva volontariamente.

Considerati il peggio, lo sporco della società e non potendo recarsi in strutture propriamente adatte alle loro esigenze, rifiutati da tutti e rappresentando un dramma per le famiglie che non sapevano come trattarli, era facile che quei ragazzi che avevano sviluppato forti dipendenze da droghe pesanti si aggrappassero a tutto pur di uscire da quella situazione.

 

Fino a quando non sapevano cosa accadesse davvero là dentro.

 

 

SanPa SanPa SanPa

 

Tra gli intervistati in SanPa, il giornalista Luciano Nigro fa la domanda spartiacque tra chi salva e chi condanna Muccioli: 

“Ma per fare del bene puoi usare qualunque metodo?

Non c’è limite?”

 

Perché se è vero che Vincenzo Muccioli agiva con il fine ultimo di salvare un’intera generazione di tossicodipendenti, molto poco convincente è ciò che ha fatto per raggiungere l’obiettivo, a partire dai metodi con cui voleva conseguire questo suo sogno di salvezza.

 

Indagando sul personaggio i dubbi sui suoi fini sorgono prepotenti, ma la serie se ne discosta in maniera intelligente dal momento che un processo alle intenzioni non avrebbe avuto alcun valore oggettivo.

 

Non deve stupire dunque se si notano delle similitudini, degli elementi in comune tra i fatti presentati in SanPa - Luci e tenebre di San Patrignano e quelli raccontati nei documentari Going Unclear - Scientology e la prigione della fede di Alex Gibney e Holy Hell di William Allen (lo avevamo citato in questa puntata del podcast).

 

Fortunatamente l’epilogo è diverso dagli eventi di Jonestown.

 

“Io ho fatto parapsicologia tantissime volte e non credo che fare parapsicologia, interessarsi di sedute medianiche o che, sia un delitto punibile.”

“Lei è anche medium?”

“Io non sono medium. Sono anche medium.”

 

Da questo botta e risposta avvenuto durante un'intervista tra Muccioli e un giornalista si capisce come il creatore di SanPa proponesse ufficialmente se stesso come una sorta di santone.

 

In effetti, il primo piccolo nucleo di persone che si trasferirono sulla collina di San Patrignano lo fece perché ammaliato da Muccioli, dalle sue incredibili doti persuasive (forse anche dalle sue stimmate autoinflitte?) e andò a costituire il cosiddetto Cenacolo, un gruppo che si dedicava a sedute medianiche.

 

 

[Vincenzo Muccioli con Letizia e Gian Marco Moratti, tra i principali finanziatori di SanPa]

 

A partire da quel ristretto gruppo di persone, ritiratesi in un casolare isolato senza particolari servizi, è nata la comunità di recupero di San Patrignano, che dal 1978 in poochi anni è passata da qualche decina di ospiti a migliaia.

 

Donazioni milionarie, in particolare da parte della famiglia Moratti, hanno fatto sì che il casolare di campagna si trasformasse in una cittadina dotata di tutte le strutture necessarie per permettere il reintegro degli ospiti di SanPa all'interno della società.

 

Se quello che avveniva all’interno delle strutture non aveva sempre il recupero del tossicodipendente come fine, ma rispecchiava in tutto e per tutto un’azione punitiva degna di uno squadrone fascista, beh, questa è un’altra storia.

 

O forse è la stessa ma, a detta di Muccioli, lontana dal suo volere che è sempre stato quello di difendere i suoi ragazzi.

 

San Patrignano continua la sua espansione aprendo le porte ai malati di HIV, negli anni ’80 considerati alla stregua di lebbrosi.

San Patrignano apre le porte anche a chi è in carcere per detenzione di sostanze stupefacenti e fa richiesta di voler scontare la propria pena in comunità.

 

Da una parte l’opinione pubblica ammaliata dall’operato di quel buon samaritano che tiene i tossici lontani dal male, dalla morte certa, che accoglie i sieropositivi, i carcerati e che fa tutto senza chiedere niente in cambio.

 

Dall’altra un processo dopo l’altro, storie di oppressione, omertà, minacce e silenzi, reclusioni e catene, violenza fisica e psicologica.

 

 

[Fabio Cantelli: ex ospite della comunità, in seguito Responsabile della Comunicazione, è uno degli intervistati in SanPa]

 

Luci e tenebre, speranza e disillusione, agognata rinascita e umiliante oppressione.

 

Vita e morte.

 

“Mi ricordo una volta in sala da pranzo: c’era Vincenzo sdraiato su un divano, sotto aveva una ragazza e le stava dando dei gran cazzotti.

E noi non lo vedevamo uno scandalo, perché anche io sono diventato come uno di loro che condivideva questi metodi.

Un po’ da fascista.”

 

Da quanto dichiarato un ex ospite della comunità risulta chiaro che, dall’esterno, si vedeva la San Patrignano isola felice, quella comunità circondata da una magica patina di speranza, ma non si riusciva a guardarne tutte le sfaccettature.

 

Chi era dentro, pur volendo, non aveva la possibilità di mostrare tutta la verità.

Eccetto le cose buone, quelle sempre.

 

Anche affidarsi ai dati statistici che mostravano l’efficacia terapeutica della permanenza a SanPa era fuorviante e di valore scientifico nullo, dal momento che i dati pubblicati (non veritieri a detta di chi lavorava nel settore informatico della comunità) provenivano dalla comunità stessa.

Diciamo che sarebbe piaciuto a tutti noi assegnarci dei bei 10 sulla pagella di fine anno da mostrare ai nostri genitori.

 

Ma allora, alla fine, a chi credere?

Come sono andati davvero i fatti?

 

Ha ragione il medico Antonio Boschini che nega qualunque azione violenta all’interno della comunità o l’ex ospite Paolo Negri che dichiara di aver subito un pestaggio da chi doveva invece occuparsi di mantenere l’ordine?

 

Bisogna fidarsi più di Andrea Muccioli, figlio di Vincenzo, che assicura sulle genuine intenzioni del padre e non dubita minimamente delle sue virtù, o ci si deve affidare alle gravi accuse di Walter Delogu e ai dubbi e alle situazioni che hanno profondamente turbato Fabio Cantelli, questi ultimi entrambi ex ospiti di SanPa?

 

È sensato essere d’accordo con Red Ronnie - assiduo intervistatore di Vincenzo Muccioli, nel tempo diventato suo amico e da subito fervente sostenitore della sua innocenza - quando afferma che quelle poche azioni violente accadute in trent’anni di SanPa, realtà di migliaia di individui, sono un miracolo considerando quelle che sarebbero state consumate in una normale società, con lo stesso numero di persone?

 

 

[Red Ronnie e Vincenzo Muccioli]

 

Chissà, magari ha senso controbattere, evidenziando l’inadeguatezza del paragone, dal momento che non si possono davvero mettere a confronto una realtà cittadina formata da individui liberi con quella di SanPa, struttura societaria evidentemente non libera, formata da persone che non potevano stare con chiunque, non potevano scrivere a chiunque qualunque cosa volessero.

 

Persone a cui era vietato fare l’amore, fumare, bere caffè.

Che avevano orari o turni per fare quello che era loro concesso.

 

Caro Red, se volessi rivedere la tua affermazione, come termine di paragone con San Patrignano ti suggerirei un’altra comunità di recupero, un centro di cura, un ospedale.

Senza esagerare viaggiando con la fantasia, lasciandosi ispirare dal filo spinato intorno a SanPa.

 

SanPa - Luci e tenebre di San Patrignano è un lavoro documentaristico confezionato con cura, minuzia di dettagli e attenzione nel rimanere super partes.

Volontà, quest’ultima, spesso difficile da perseguire per i registi o gli autori di molti documentari.

 

È naturale che appassionati di un certo argomento, registi spinti dal voler raccontare una precisa storia, sceneggiatori che non vedono l’ora di dare il proprio contributo a una particolare causa, si facciano prendere dalla propria opinione a riguardo e si lascino guidare verso una precisa direzione che, alla fine, renderà la storia ovviamente di parte.

Riuscire a prendere le distanze dal proprio credo e raccontare in maniera imparziale un tema a noi caro è cosa ardua, farlo bene è cosa da pochi.

 

Con SanPa, la regista Cosima Spender (Dolce vita africana, Palio) e gli autori Carlo Gabardini, Gianluca Neri e Paolo Bernardelli hanno egregiamente raggiunto l’obiettivo di realizzare un prodotto che rientra letteralmente nel genere documentario: un qualcosa che ha il fine di documentare, che ha valore di atto.

 

Testimonianze, processi e sentenze, filmati di repertorio, registrazioni audio, articoli di giornali, fotografie.

 

Un lavoro così ricco di dettagli, una trattazione così esaustiva non si vedeva da tempo.

 

 

[Carlo Gabardini, attore e scrittore, tra gli autori di SanPa]

 

“Essere dei pallosissimi precisetti, scontenti cronici e polemici cagadubbi, a volte paga.”

Parola dell’autore Carlo Gabardini.

 

Paradossalmente, però, proprio il carattere imparziale della docu-serie e la volontà di approfondire ogni dettaglio sono stati criticati da chi taccia SanPa di tendenziosità e superficialità.

 

Secondo alcuni, la serie è “una gogna postuma” palesemente e aspramente schierata contro la figura di Vincenzo Muccioli che, da filantropo e benefattore che era, finisce per sembrare uno sfruttatore, imbroglione e violento.

 

Ma, di nuovo, la serie non si schiera.

Tramite le testimonianze degli intervistati e la documentazione raccolta, SanPa parla del bene e del male frutti dell’operato di Vincenzo Muccioli e sta allo spettatore farsi un’idea definitiva riguardo quest’uomo. 

Chi invece rivendica in maniera assoluta la genuinità di Muccioli, è quest’ultimo che si schiera.

 

Non sarà, invece, che chi a un’analisi imparziale e approfondita adduce come critica che questa risulta in una visone troppo di parte, è lui quello in disaccordo con l’oggettività delle cose?

 

 

 

 

SanPa è una serie documentaristica ottimamente riuscita: ha avuto la capacità di far tornare a discutere riguardo la questione di San Patrignano e di far interessare alla stessa i più giovani.

 

Un meticoloso lavoro di studio e ricerca durato due anni e mezzo che, alla fine, ha regalato qualche raggio di luce in più a una pagina di Storia italiana rimasta per tanto tempo nelle tenebre e ancora non del tutto trasparente.

 

E voi avete già visto SanPa - Luci e tenebre di San Patrignano?

 

Cosa ne pensate e che opinione vi siete fatti su Vincenzo Muccioli?

 

Consiglio personale: nel dubbio, per dormire sonni tranquilli, potete sempre dire agli altri e a voi stessi che in fondo Vincenzo Muccioli “ha fatto anche cose buone”.

 

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1 commento

Morena Falcone

3 anni fa

Grazie a te Papa Giorgio! 💛

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