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Scrubs - Medici ai primi ferri: Il Mio Scrubs, anni dopo

Dopo molto tempo ho deciso di parlare ampiamente di Scrubs, una serie che ha parlato a una generazione e che non ha emuli

Per lungo tempo ho ponderato l’idea di portare sulle pagine di questa rubrica una riflessione dedicata a Scrubs - Medici ai primi ferri.

 

Il motivo per il quale ho esitato tanto è forse da ricercarsi nell’importanza che ha avuto questa serie sul panorama televisivo. 

Una forza riconosciuta dal fandom, ma non ancora storicizzata a pieno nella mente degli addetti ai lavori.  

 

La verità dietro la mia esitazione, forse, è anche frutto di un radicato e viscerale amore per Scrubs.

 

Quel tipo di amore condiviso da centinaia di migliaia di altri spettatori sparsi per il globo e che affonda in qualcosa di molto più intimo di un semplice fanatismo verso un fenomeno pop.   

 

Scrubs

 

Scrubs è stato il testamento di una generazione, la voce scanzonata di un momento storico ben preciso e al tempo stesso un manuale zen universale che racconta il passaggio dalla gioventù all’età adulta.

 

Un libro della vita le cui pagine hanno sì un unico narratore, ma che si arricchiscono della voce di una serie di maschere a rappresentare quel complesso e intricato dipinto che è la nostra esistenza, raccontando uomini e donne di diversa estrazione sociale, età, sesso, razza, ruolo, obiettivi e visioni della vita.   

 

Scrubs è uno sguardo sulla vita alla ricerca di una complessità narrativa e di messa in scena che ha travalicato il suo genere di appartenenza e gli stilemi di quest’ultimo, conquistando, oltre la sua apparenza, una definizione nuova riconoscibile solo in se stesso.  

 

Dopo aver parlato a lungo di Twin Peaks, la serie che ha settato nuovi standard per la serialità moderna, mi sembrava il caso di dedicare un degno spazio alla serie ideata da Bill Lawrence, rimarcando non solo l’enorme merito di essere diventata un fenomeno pop internazionale, ma anche di aver portato agli spettatori un prodotto fuori da ogni canone e una proposta unica di un genere ormai ai minimi termini: il medical drama.

 

 

 

 

Medical Drama Queen  

 

Nel 2001, quando Scrubs fa il suo esordio negli USA come in Italia, la situazione dei dottori in TV non è certo tra le più fresche del panorama e continua a non esserlo ancora oggi.

 

E.R. - Medici in prima linea, serie che ha portato alla fama George Clooney, non si è ancora conclusa e con una persistenza che fa invidia persino a un fiore che sbuca dall’asfalto continua ad ammorbare il pubblico con una struttura da medical drama sempre più tendente alla soap opera.   

 

Un fenomeno narrativamente apocalittico che va a impattare qualsiasi serie la cui longevità inizia a ricordare il tanfo del pesce, o quello di un ospite che proprio non se ne vuole andare e, va ricordato, piuttosto comune quando il formato delle serie segue il sempre più desueto standard di oltre 20 episodi a stagione.    

 

Gli spettatori del piccolo schermo hanno fatto il palato alle peculiarità di E.R., meritevole di avere offerto un taglio più intimo, fresco e crudo rispetto a molti altri show, donando un nuovo standard a chiunque avrebbe voluto portare quel genere in televisione.

 

E.R. era affascinante non solo perché si concentrava sul portare sullo schermo l’emergenza e la frenesia adrenalinica dei casi da Pronto Soccorso (Emergency Room in inglese), ma anche per via di un approccio più umano ai rapporti interpersonali tra i protagonisti, costruendo un diverso livello di narrazione.   

Da lì in poi, anche dopo Scrubs, quel tipo di canovaccio, seppur aggiornato in alcune tematiche, si è ripetuto proponendo allo spettatore nuovi protagonisti e setting per uno stesso totem narrativo.


Ovviamente sono esistite delle eccezioni. 

 

 

 


Prendiamo lo Sherlock Holmes della diagnostica, il Dr. House.

 

Nel 2004 arriva in televisione un misantropo, geniale, cinico e solitario detective diagnostico protagonista di uno show il cui cuore narrativo è da individuare non tanto nelle malattie, a puro appannaggio di chi legge la superficie delle cose e si accontenta di quelle, quanto nella fascinazione verso un personaggio aggrappato alla certezza che l’uomo sia un animale così ancorato al suo istinto sociale da basare la sua intera esistenza su spettacolari e idiote bugie, pur di farne parte.   

 

Una menzione andrebbe fatta, e non in toto per lodevoli ragioni, ai primi anni di Grey’s Anatomy

 

La serie, nata nel 2005, prende a piene mani da Scrubs per trovare una soluzione utile a creare un nuovo medical drama, arraffando una manciata di sesso, dramma un tanto al chilo e, con il passare degli anni, un crescente maremoto di situazioni retoriche sempre più paradossali.

 

Il carattere un po' bigotto della serie è da individuare anche nella maniera da Novella 2000 di trattare il sesso come "ops" sopra le righe da siparietto comico o come pietra dello scandalo da perpetua.

 

Mentre invece in Scrubs il sesso, seppur dichiaratamente in commedia, raccontava rapporti così intensi da necessitare trapianti di vagina - una battuta messa poi in scena con uno dei tanti flash del protagonista.

 

 

[Oppure quella volta che Turk... beh, ve la ricordate tutti questa scena e non mentite]

 

Nel 2020 Grey’s Anatomy è uno zombie mutato che cannibalizza l’intelligenza del suo pubblico, utilizzando la sua fedeltà e l’abitudine - un concetto da evitare [cit.] - come leva emotiva per farsi tenere in vita, attaccata alla catena di uno scantinato, poiché nessuno se la sente di uccidere quella persona che una volta amavano con tanto trasporto cantando Chasing Cars.

 

Quella che guardate non è nemmeno più una serie TV, ma soap opera da bigiotteria.

 

Allo stesso modo la televisione non è certo orfana di interpretazioni più leggere.


Negli anni '90 andava di moda Un medico tra gli orsi, una serie che raccontava le vicende di un dottore costretto a esercitare in una cittadina rurale dell’Alaska.   

 

Nella stessa decade Dick Van Dyke insidiava il Tenente ColomboLa signora in giallo con Un detective in corsia.

Uno show la cui commistione di generi comprendeva la commedia scanzonata e affascinante di un personaggio come Van Dyke, qui nei panni del dottor Mark Sloan, e tutti gli elementi da giallo televisivo che tanto piacevano al pubblico.

 

Sul finire degli anni '90 Ted Danson torna in televisione in una serie che trasuda la sua decade d'appartenenza da ogni poro: Becker, con un geniale ma burbero dottore dedicato a curare i pazienti del suo quartiere del Bronx.

 

Nel 2001, stesso anno di Scrubs, arriva in televisione Doc: la serie vedeva Billy Ray Cyrus, padre di Miley, nella parte di un dottore del Montana trasferitosi nella caotica New York per portare un po’ della sua anima country da ragazzone di campagna.

 

Una serie davvero innocua, ma rassicurante. 

 

 


 

Escludendo le mosche bianche, come il recente The Knick - o il cult Nip/Tuck del 2003 - la totalità delle produzioni dedicate ai medici televisivi, siano queste declinate in dramma o in toni più leggeri da commedia, orbitano attorno a una struttura ben consolidata da E.R. in avanti.   

 

The Good Doctor è una sorta di House in positivo.

 

Code Black, The Resident, Chicago Med e via discorrendo sono tutti figli di uno stesso modo di re-interpretare il medical drama e riportare in vita il fenomeno di E.R., assecondando il dogma di Philip J. Fry riguardo il nuovo e secondo il quale:

 

“Non è quello che vuole il pubblico televisivo!

Le finezze lo fanno sentire stupido e le cose inaspettate lo spaventano!

Il telespettatore non vuole niente di originale: vuole vedere la stessa cosa che ha visto centinaia di volte.”

 

Come detto parlando di Twin Peaks, il nuovo standard televisivo imposto da David Lynch non è riuscito a cancellare la brutta abitudine dei produttori di creare un intrattenimento rassicurante per il pubblico: dove non si cristallizzano personaggi e situazioni lo fanno invece gli stilemi narrativi e le idee da portare in TV.   

 

Tornando a sintonizzarsi però con il 2001: quando Bill Lawrence inventa Scrubs porta al pubblico un oggetto alieno senza una forma specifica, che piove tra le mani di quei telespettatori che nessuno aveva preso in considerazione parlando il loro linguaggio.

 

Quello che stava dimenticando la televisione, e che continua spesso a dimenticare, è la costante ricerca di un ponte utile a decodificare davvero il presente parlandogli e parlandone, ma soprattutto il fatto che il pubblico più entusiasta e fedele, quello che crea i miti pop a venire nei secoli dei secoli, è il pubblico formato dai giovani adulti. 

 

 

[Scrubs ha previsto i monopattini! No, non è vero!]

 

 

La mia sit-com: quando la forma è dominata dalla sostanza

 

Il problema di tutti gli show dell’epoca, come di molti altri arrivati dopo, è l’incapacità di parlare al pubblico onestamente, ma soprattutto l’approccio posticcio nella creazione di un livello umano e di esperienze che si potesse davvero sovrapporre a quello dello spettatore.


Spesso questo processo è forzato e quello che si cerca di fare è creare un modello perfetto di qualcosa che vorremmo essere e che vagamente ricorda noi grazie a qualche sbadato meme o luogo comune.

 

I medical drama si prendono eccessivamente sul serio, puntando a torturare lo spettatore con esasperazioni di ogni sentimento e di ogni evento drammatico.

Le commedie, invece, tendono a essere davvero troppo leggere, ritornando quasi al concetto di personaggi e storie cristallizzate nel tempo, come avviene nelle sit-com, formato ideale per affrontare la commedia.

 

Scrubs sceglie piuttosto di riconfigurare la sit-com per raccontare la storia di John Dorian, aka J.D., uno specializzando di medicina assegnato all’Ospedale Sacro Cuore assieme al suo migliore amico Chris Turk, specializzando in chirurgia.

 

Uno show che vuole raccontare la storia di uno studente di medicina al suo ingresso nella vita da ospedale, ispirato ai racconti di Jonathan Doris, amico e compagno di college del creatore della serie Bill Lawrence. 

 

 

[L'episodio pilota di Scrubs è drasticamente diverso rispetto al resto della serie, considerato il budget concesso poi per svilupparla]

 

 

Uno spunto per portare in televisione non solo un plot inedito per il genere, ma incredibilmente franco, capace di raccontare gli enormi debiti che uno studente deve sostenere per crearsi una carriera, i turni frustranti, le eccentricità dei reparti, il rapporto con i pazienti, con la morte, con le malattie e come ogni aspetto di quella scelta di carriera vada a impattare sul quotidiano di una persona.

 

Nel fare ciò Bill Lawrence esce dal seminato della forma della sit-com decidendo di dare un tocco estremamente personale alla narrazione, utilizzando la voce narrante di J.D. per accompagnare le sue vicende e raccontare allo spettatore tutti quei pensieri e tutte le morali ricavate da ogni esperienza.

 

Scrubs è il diario sul quale J.D. appunta ogni riflessione, ogni paura, ogni esitazione, gioia e sconforto, mettendosi a nudo solo e unicamente con lo spettatore, stabilendo un rapporto intimo nel quale ogni aspetto è condiviso e nulla è tabù, facendo di noi i suoi confidenti invisibili.

 

Scrubs diventa quindi incredibilmente dinamica e ritmata: la macchina da presa segue i personaggi, il demenziale tipico del Cinema americano irrompe sullo schermo televisivo dando corpo alle fantasie di J.D. e contestualmente mettendo in scena tutti i viaggi mentali che lo spettatore più giovane, quello al quale nessuno stava parlando, è solito fare quotidianamente.

 

 

Scrubs

 

But I can’t do this all on my own / No, I know, I’m no Superman

 

J.D. è insicuro, sensibile, impacciato, è un secchione che non è mai riuscito a imporsi in una società fatta di gare di popolarità, incarnando non tanto l’estremo del perdente descritto da molte commedie americane - quello stesso perdente che poi vince tutto - quanto più l’outsider preso tra l’apparire della società e il suo essere un individuo solo nella folla.

 

J.D. è il prototipo di un ragazzo comune. 

 

È vulnerabile, non si vergogna di piangere, non è un privilegiato, non è un genio dai talenti inumani, non è un bello e dannato dallo sguardo penetrante, non cerca il dramma in ogni situazione, ma più che altro si limita a vivere il suo viaggio attraverso un percorso spesso frustrante, fatto di molte idiosincrasie, lezioni da imparare, fallimenti, cuori infranti, sensi di colpa, perdita, senso di solitudine, momenti di felicità, traguardi raggiunti, amicizie eterne e nuove esperienze.

 

Scrubs è prima di tutto onesto con il suo pubblico, introducendo un protagonista nel quale può riconoscersi poiché difettoso, imperfetto e non sempre dalla parte giusta della ragione, trovandosi spesso a fare i conti con l'aver sbagliato tutto.

 

Il padre di J.D., interpretato dal compianto John Ritter al quale è stato dedicato un magnifico episodio, è un venditore di pezze, un uomo assolutamente insignificante, un fallito; di conseguenza il nostro protagonista cresce senza una figura paterna importante, subendo tutti i contraccolpi psicologici del caso, descrivendo in una serie comica uno dei tanti temi drammatici molto ben stratificati nel racconto.

 

 

Scrubs

 

Bill Lawrence ha il merito di avere arricchito il suo cast di un corollario di personaggi meravigliosamente particolareggiati che, come anticipato, aprono il suo racconto di crescita a chiunque, rendendo Scrubs una serie all’insegna della diversità prima che questo concetto venisse evidenziato.

 

Turk, il miglior amico di J.D., è un ragazzo nero di una famiglia media.

Dal carisma travolgente ma ora costretto ad affrontare le sfide di un ambiente più grande, dove non importa solo essere popolare.   

 

Il dottor Cox, involontario mentore di J.D., è un egomaniaco geniale, burbero, deviato nella costruzione di ogni rapporto umano, un macho irascibile ma buono, in lotta con i suoi lati peggiori tanto quanto con il sistema ospedaliero.

 

Carla è un'infermiera ispanica di bassa estrazione sociale con un forte carattere, innamorata del suo lavoro tanto quanto della sua famiglia e non certo a proprio agio con i dottori particolarmente spocchiosi.   

Elliot è la rampolla di una famiglia ricca, la classica prima della classe la cui vita è stata sempre piuttosto facile, anche se segnata dalle idiosincrasie di un padre assente e severo e da una madre distrutta dalle sciccherie della sua condizione sociale.

 

Ted è l’avvocato dell’ospedale insicuro e sudaticcio, una sorta di Fantozzi americano capace di diventare eroico e cambiare completamente la sua presenza quando canta con il suo gruppo composto da altri avvocati insicuri e sudaticci.

 

Il dottor Kelso è il primario dell’ospedale inaridito dal suo lavoro e da un matrimonio irresolubilmente infelice.

Terrore degli specializzandi e nemesi del dottor Cox.   

L’inserviente, conosciuto come, appunto, l’inserviente.

Un personaggio enigmatico, camaleontico, un folle che si aggira per l’ospedale torturando J.D. per ragioni sconosciute e moto perpetuo di molte soluzioni comiche e sottotrame interne agli episodi.

 

[Questo video contiene spoiler su Il sesto senso]

 

 

Questi sono alcuni dei personaggi principali e secondari presenti in Scrubs, che contribuiscono a dare un'anima a un organismo che diventa quasi come una piccola città, arricchendosi di figure secondarie ricorrenti o comparse a cui bastano solo pochi minuti in scena per portare a casa un enorme ruolo.

 

In tutto questo entrano in modo spettacolare anche i pazienti, che molto spesso non si limitano a essere una nota a pié di pagina, ma costituiscono, nel breve spazio di poco più di 20 minuti, un elemento cardine della trama trovando un appiglio nello spettatore come nei protagonisti, divenendo veri e propri personaggi ai quali anche noi ci leghiamo.

 

Si potrebbero ricordare Johnny, il paziente con l’Alzheimer galoppante, il soldato Brian Dancer, l’ipocondriaco Harvey Corman, la donna burnout e solitaria Jill Tracy, la signora Wilk, il buon George Valentine e la sua ultima birra gelata, la signora Tanner e il suo attaccamento alla vita, Ben Sullivan, amico del dottor Cox interpretato da Brendan Fraser e protagonista di alcuni degli episodi più memorabili e commoventi dell’intera serie.

 

Scrubs ha l’enorme capacità di riuscire a bilanciare la commedia demenziale e il dramma più umano e genuinamente toccante, all’interno non solo della stessa serie, ma anche dello stesso episodio.

 

La scrittura della serie è fondamentale perché rende dinamica la narrazione grazie ai voli pindarici di J.D. e intreccia le situazioni di tutti i personaggi protagonisti della serie in modo da donare profondità anche ai caratteri secondari o prettamente comici, come quello dell’inserviente o di Ted o la temporanea aggiunta di maschere che portano con sé nuovi temi che metteranno in crisi le certezze e lo status quo dei protagonisti.

 

Nella serie hanno fatto una comparsata attori come Ryan Reynolds, Matthew Perry, Dick Van Dyke, Aziz Ansari, Colin Farrell, Courteney Cox, Elizabeth Banks, Heather Graham, Christopher Meloni e moltissimi altri.

 

 

Scrubs


Eppure secondo me uno dei personaggi più impattanti nelle dinamiche tra i caratteri è il dottor Kevin Casey, interpretato da Michael J. Fox.

 

Un ruolo inaspettato e molto profondo che si presta, come molti altri, a mettere in discussione le moralità dei vari personaggi, facendoli scontrare contro la voglia insita in tutti noi di scaricare la frustrazione riguardo i nostri limiti sulla persona che, volontariamente o meno, ce li mette di fronte.

 

Episodio dopo episodio e stagione dopo stagione Scrubs è arrivata a parlare di fede, di depressione, di traguardi mancati, di senso di paternità, di genitori problematici, di bisogno di sognare, di perdita e di molti altri argomenti che ognuno di noi è costretto ad affrontare e, in un certo senso, si è posto come show formativo.

 

Molte volte mi è capitato di trovare negli episodi di Scrubs le risposte che cercavo riguardo un mio dilemma personale, poiché le sue morali e le sue situazioni, per quanto inserite nel contesto di una vita da ospedale, sono prima di tutto questioni universali che riguardano le difficoltà comuni della vita di ognuno di noi.

 

Il fatto che tutto ciò avvenga nello spazio di una mezz'ora e attraverso le trame a incrocio di molti personaggi, spesso con conseguenze diverse e attraversando all'unisono un umore diverso, dà alla serie un valore ancora maggiore.

 

Solo nel recente BoJack Horseman ho visto un pari sapiente utilizzo dei personaggi, della loro caratterizzazione e della capacità di bilanciare dramma e commedia, anche se il livello del dramma della serie Netflix è molto più centrale e denso di quanto non lo sia in Scrubs.

 

Scrubs è stata un fenomeno pop enorme, che ha saputo non solo trovare una formula perfetta per parlare a un pubblico vastissimo grazie a una scrittura e una messa in scena ritmata ed efficace nella narrazione, ma che ha creato anche una serie di inside joke, citazioni, tormentoni e che ha utilizzato facce e brani della musica pop perfetti per le situazioni nelle quali venivano inseriti.

 

 

Scrubs

 

La mia serie perfetta

 

Scrubs non è però una serie perfetta e nonostante un carattere unico e una voce distinguibile all’interno del panorama delle serie TV - in particolare di quelle dedicate ai dottori e alle corsie d’ospedale - la serie di Bill Lawrence inizia a ripetersi tra la quinta e la sesta stagione, reiterando i concetti di alcuni punti della crescita di J.D. ed estremizzando alcuni lati del personaggio, pur non rendendolo l’ombra di se stesso. 

 

Ovviamente il famigerato sciopero degli sceneggiatori di quel periodo colpì anche Scrubs, menomandone la stagione 7 che conta appena 11 episodi.

Eppure Scrubs può vantare un primato molto raro tra le serie TV, anche per via della loro natura confortante quando queste si estendono per molte stagioni, facendo crescere negli spettatori l’idea che non finiscano mai.

 

La stagione 8 di Scrubs, con la puntata in due parti Il Mio Finale, è forse la conclusione perfetta.

 

Elegante, coerente rispetto al percorso narrativo fatto fino a quel momento e in linea con quella che è la natura di J.D. come personaggio.

 

C’è da dire che il vero tocco di genio degli autori sta nella costruzione degli ultimi minuti della serie, che costituiscono una sorta di saluto celebrativo di tutte le esperienze di J.D., un ultimo viaggio mentale a proiettare un passato certo e un futuro possibile, forse addirittura un’occhiatina a quello che sarà il futuro dei personaggi, lasciando in bocca al pubblico il sapore di qualcosa che sicuramente continuerà anche lontano dai nostri occhi.

 

La stagione 8, tralasciando il finale, è malinconica, il tripudio di tutti i personaggi, lo zuccherino dato ai fan nel modo giusto e al momento giusto.

 

 

Scrubs

 

Una parentesi che, sia chiaro, non esiste  

 

Sappiate che la famigerata “nona stagione” di Scrubs è in realtà una truffa ai danni dello spettatore.

 

Scrubs: Med School, che parliamoci chiaro non viene chiamato spin off per preservare la dignità di qualche dirigente, è stato il testardo tentativo di ABC, emittente che aveva acquisito la serie per le ultime stagioni, di capitalizzare ulteriormente lo show considerando gli ottimi ascolti registrati dall’ultima stagione.

 

Zach Braff e altri membri del cast avevano acconsentito a tornare per qualche episodio, ma la vera protagonista della serie era Lucy, una studentessa di medicina nuova voce narrante e protagonista di uno Scrubs ambientato in un campus universitario, dando vita a un remake/sequel al femminile.

 

L’operazione era totalmente sbadata perché non aveva né il cuore né il carattere o la freschezza dell’idea originale, ricordando a tutti la pallida copia di qualcosa che era finito.

 

 

[Per esorcizzare lo spettro della "stagione nove" vi allieto con una foto di Rowdy, il cane impagliato di J.D. e Turk]

 

 

Guardate Scrubs  

 

Come detto in apertura, Scrubs è il corrispettivo seriale di un manuale zen per affrontare la vita.


Uno show essenziale per spiegare cosa significhi davvero crescere e passare dall’età della gioventù a quella adulta, affrontando le proprie mancanze, le paure pietrificanti, la ricerca dell’amore (qui non centrale o ossessione morbosa degli sceneggiatori), e tutte quelle sfide della vita che possono essere raccontate a una generazione, senza trasformare la vita in un costante dramma fatto di overacting, gente isterica che piange senza motivi apparenti e siparietti amorosi che per qualche ragione si muovono tra una cerchia ristretta di sei persone.

 

Guardare Scrubs significa ridere, significa imparare, significa crescere.

 

Significa accettare che nella vita c’è spazio sia per i sorrisi che per le lacrime e che la nostra esistenza è decisamente breve per prendersi sempre troppo sul serio.

 

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