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The Twilight Zone - Recensione: Camminare ai confini della realtà per capire il presente

The Twilight Zone, conosciuta in Italia come Ai confini della realtà, è una serie antologica creata da Rod Serling nel 1959 e che per la prima volta nella storia del piccolo schermo ha terrorizzato e messo in discussione le certezze del pubblico americano come di quello internazionale

The Twilight Zone, conosciuta in Italia come Ai confini della realtà, è una serie antologica creata da Rod Serling nel 1959 e che per la prima volta nella storia del piccolo schermo ha terrorizzato e messo in discussione le certezze del pubblico americano come di quello internazionale. 

 

Nel 2019 Jordan Peele, grazie alla sua Monkeypaw Productions, ha prodotto una nuova incarnazione della serie, ricoprendo il ruolo di produttore esecutivo e vestendo il ruolo del sinistro narratore originariamente ricoperto da Rod Serling stesso. 

 

Come si presenta The Twilight Zone nel 2019 e perché è ancora importante? 

 

 

 

 

Il genere migliore crea generi. 

 

Quando The Twilight Zone è arrivato sugli schermi televisivi americani ha portato un tipo di racconto che fa parte di quel grosso insieme delle storie dell’orrore da raccontare seduti attorno al fuoco. 

 

Eppure la creatura di Rod Serling non si nutre di tutti gli archetipi orrorifici del racconto di genere e mette fuori dalla porta fantasmi, demoni, creature mostruose e si discosta dal gotico. 

 

Nonostante ciò esiste comunque un filo conduttore che riporta lo spettatore a quel tipo di racconto di paura, unendo The Twilight Zone al più classico dei racconti dell’orrore. 

 

Non importa se stiate leggendo Bram Stoker, M.R. James, Mary Shelley, H.P. Lovecraft, Richard Matheson o Stephen King, poiché andando all’osso della questione tutti questi grandi autori hanno creato molti dei loro mostri e dei loro personaggi più archetipici e potenti partendo da dubbi molto umani, sfruttando metafore da brivido per raccontare il presente e le loro peggiori paure riguardo l’animo umano. 

 

 

 

 

Le storie di fantasmi non sono state ideate per spaventare lo spettatore sbattendo le ante della credenza di nonna o per spaventarci mentre balliamo su Tik Tok, ma per farci confrontare con le nostre peggiori inclinazioni. 

 

Non a caso si usa l’espressione: “confrontare i propri fantasmi” o “venire a patti con i propri demoni”

 

Entrambe le figure sono, in diverso modo e sfruttando diversi angoli dell’animo umano, uno spauracchio utile a guardare negli angoli più sporchi del nostro animo. 

 

Tant’è che leggendo Canto di Natale di Charles Dickens, non solo troverete molto più orrorifico quello che un qualsiasi film moderno infarcito di jumpscare, ma noterete come l’intera metafora serva a veicolare un messaggio umano.  

 

Non importa nemmeno che voi parliate di cinema, visto che quando nel 1968 George Romero creò la poetica e la figura dello zombi moderno con La notte dei morti viventi, regalò al mondo del Cinema di genere, e della narrativa horror, uno dei mostri la cui figura è riuscita più di moltre altre a veicolare allo spettatore le peggiori inclinazioni del mondo moderno.

 

 

[Il Giorno degli Zombi di Romero porta la discussione su un piano completamente diverso rispetto a quanto fatto in altri film del filone]

 

Ogni film di Romero è una nuova espansione della sua visione del mondo e delle sue preoccupazioni riguardo il presente. 

 

Il racconto dell’orrore vive insomma della capacità di un autore, che sia questo letterario, fumettistico o cinematografico, di guardare al mondo che lo circonda per rielaborare la visione di ciò che vede e di ciò che teme in una storia pop d’intrattenimento.

 

Per chi scrive, la capacità immaginifica del Cinema di genere, il suo estro e la sua capacità di vivere di fantasia e di fare leva sulla sua facile fruibilità, quando è ben fatta diventa davvero potente e complessa anche nella sua realizzazione e per questo motivo ho sempre trovato becere le questioni a sminuire il lavoro degli autori del Cinema horror rispetto a chi “s’impegna” nel racconto drammatico. 

 

The Twilight Zone alla sua base ha quindi il miglior artificio del racconto dell’orrore e partendo dalla scienza, dal quotidiano, da situazioni assolutamente ordinarie e prendendo sotto braccio questioni morali e sociali, incalza una deriva verso il fantastico, l’ignoto, l’assurdo e lo sconosciuto. 

 

Uno stilema narrativo talmente unico nella sua formula da essere origine stessa del concetto a ispirare il titolo dello show: The Twilight Zone

 

Letteralmente significa la zona del crepuscolo e trovo che l’adattamento italiano, Ai confini della realtà, non sia sfortunato e che anzi renda bene lo spirito della serie. 

 

Un mood che viene costantemente ben riproposto nelle varie versioni della sigla che si sono susseguite nel corso della storia. 

 

[Intro originale di The Twilight Zone: 1959/1964]

 

 

The Twilight Zone racconta storie assurde dai tratti kafkiani e nelle quali la realtà è la base di partenza per rivoltare le condizioni e le situazioni dei protagonisti, le cui convinzioni o i cui vizi e difetti vengono sfruttati come leva per buttarli in avventure che si prenderanno beffa di loro, impartendogli una dura lezione e sostanzialmente facendo dell’ironia dell’assurdo il centro narrativo. 

 

La serie non racconta a tutti i costi storie dell’orrore e non è lo spavento quello che cerca e che suscita nello spettatore. 

Molto spesso lo scopo è proprio quello di portare il pubblico in luoghi oscuri o in situazioni completamente aliene alla sua realtà, lasciandolo basito o avvilito tanto quanto i personaggi.


L'idea è quella di farci capire che per quanto ci possiamo sforzare, esistono forse naturali oltre la nostra comprensione che saranno sempre in controllo delle cose, indipendemente da quanto il nostro intelletto e la nostra scienza possa spingersi avanti, prendendosi gioco della nostra razionalità e delle nostre credenze.

 

Una lezione che nel corso degli anni è stata ripresa da altri show, come il recente Black Mirror, molto più ancorato all’idea della tecnologia e del rapporto che questa ha con l’uomo.

 

Diversamente, The Twilight Zone non si pone limiti e quello che travolge i personaggi confonde loro tanto quanto il pubblico, destabilizzando entrambi nel momento in cui li sposta da qualcosa che credevano fosse la realtà delle cose e senza tagliare nettamente gli stacchi ma quasi calandoli naturalmente dal razionale all’assurdo. 

 

 

[Niente distopia, solo una deriva della nostra realtà o di quello che potrebbe essere un futuro molto vicino: The Twilight Zone piega il nostro reale e non è uno sguardo su un reale possibile]

 

 

Black Mirror è uno show a là The Twilight Zone, non il contrario.

 

La nuova serie creata e presentata da Jordan Peele si trova nella scomoda posizione di dover non solo ricreare un mito piuttosto unico ma di dover riprendere le redini di quel tipo di mitologia, dopo che Black Mirror si è così ben seduta al volante da dover arrivare a specificare che è Black Mirror a essere uno show a là Twilight Zone e non il contrario. 

 

Il nuovo corso di The Twilight Zone torna quindi a sfruttare le migliori intenzioni del racconto di genere, scordando l’idea di spaventare per concentrarsi più che altro sull’idea di portare lo spettatore in una dimensione oltre, facendogli solcare la soglia di una porta verso un universo dove scienza, superstizione e sovrannaturale si fondono, creando infinite possibilità. 

Black Mirror cerca di creare una situazione distopica o una metafora atta a spingere molto oltre i possibili scenari del nostro futuro, partendo quindi alla base da una situazione distaccata dal nostro presente.


The Twilight Zone piega il nostro reale e ci espone a forze sovrannaturali a prendersi beffa della nostra razionalità, dipingendo un presente preoccupante, terrificante e in alcuni casi mostrandoci un futuro molto vicino, assolutamente possibile ma comunque soggetto a giochi del caso fuori dal nostro controllo.


I mostri e gli orrori del presente dicono chi siamo ma in The Twilight Zone sono le assurdità di situazioni che non vogliono essere plausibili tra scienza e iperboli del fantastico a schiacciare le nostre convizioni, a punirci per la nostra superbia o a schernire le granitiche certezze nelle quali riponiamo le nostre speranze.


La certezza di un presente sicuro che usiamo come scudo per fuggire dalle nostre mancanze potrebbe improvvisamente diventare un alieno tentacolare a nutrirsi di energia sopita, rendendoci schiavi ma potrebbe essere troppo tardi per rimediare.

 

 

 

 

La stagione è ovviamente su ottimi livelli produttivi e vede nel cast alcuni degli attori più conosciuti di Hollywood: Kumail Nanjani, Tracy Morgan, Adam Scott, John Cho, Rhea Seehorn, Luke Kirby, Chris O’Dowd, Seth Rogen e Zazie Beetz.


La qualità e quantità di mezzi messi a disposizione per produrre la serie è veramente lodevole e non c'è un singolo episodio che pecchi per messa in scena.


Se da un lato è apparentemente ininfluente l'ordine degli episodi, va fatto notare come invece seguire l'ordine originale sia cruciale a seguire una sorta di umore e filo conduttore invisibile a collegare la stagione.

 

Chi vi parla ha visto la serie sul Now TV UK - quello irlandese ne è sostanzialmente un clone - e sfortunatamente il canale Sy-Fy incluso nel pacchetto e che ha distribuito qui la serie ha inspiegabilmente invertito l'ordine di alcuni episodi, rovinando in parte il messaggio di quello che originariamente è stato l'episodio conclusivo, che porta a un potente climax la serie e il flow dell'intera stagione.

 

Qualora dovesse arrivare in Italia, fate riferimento alla pagina Wikipedia americana per accertarvi di seguire l'ordine pensato dagli sceneggiatori, in modo da accertarvi di guardare gli episodi nell'ordine corretto dal catalogo on demand.

 

In tutto questo, come da ottima abitudine del miglior cinema di genere, The Twilight Zone nell’arco di 10 episodi cerca in di omaggiare la serie originale mantenendone vivo lo spirito da racconto attorno al fuoco, ma principalmente diverte da essa nella volontà di voler dare voce al presente, nascondendo nella struttura di racconti assurdi e affascinanti, storie il cui cuore è la riflessione sul mondo reale.

 

 

 

 

In Replay, terzo episodio della serie, il tema del razzismo e del Black Lives Matters viene affrontato con una potenza e una grazia orrorifica davvero rara, traducendo con un potente espediente di genere il problema dello sbilanciato rapporto tra l’abuso di potere delle forze dell’ordine verso le minoranze afroamericane. 

 

Il regista Gerard McMurray, assieme a Selwyn Seyfu Hinds alla sceneggiatura, riesce come pochi altri a raccontare lo strazio di una grossa fetta della popolazione americana che ancora oggi non si sente protetta dai valori costituzionali alla base della loro nazione. 

 

Un racconto che va a sfruttare in senso orrorifico il senso d’impotenza e l’impossibilità di sentirsi al sicuro, temendo costantemente per la propria incolumità come quella dei propri cari e non per mano di qualche minaccia esterna o di un criminale, ma della stessa società che dovrebbe proteggerli. 

 

L’episodio, come discusso in apertura, crea una stupenda metafora e porta davvero lo spettatore nella Twilight Zone, poiché non si prende davvero l’onere di dare una risposta definitiva ma soltanto di sottolineare l’incubo.

 

In fondo è notizia di questi giorni quella del terribile crimine compiuto ai danni di George Floyd

 

 

 

 

Altrettanto stupendo è l’episodio The Wunderkind, che mette un bambino in corsa per la presidenza degli Stati Uniti.

 

Oppure Not All Men, che sfruttando quasi un archetipo lovecraftiano tratta il tema della violenza sulle donne, o ancora Point of origin, che affronta la questione dell’immigrazione con un taglio affascinante. 

 

La menzione d’onore va invece al decimo episodio: Blurryman

 

Senza svelare nulla, nell’arco del minutaggio di una serie TV, Blurryman riesce a regalare al pubblico un enorme omaggio allo spirito della serie, regalando allo spettatore un distillato di ciò che è davvero The Twilight Zone, abbattendo ogni parete a separare narratore, pubblico, creatore e autori. 

 

[Trailer di The Twilight Zone 2019]

 

 

The Twilight Zone è un piccolo gioiello e nei 10 episodi che compongono questo revival si spazia dalle più fantasiose storie dell’assurdo, una delle quali tratte da un racconto di Richard Matheson, alle migliori intenzioni del racconto di genere. 

 

Per come stanno le cose, credo che il pubblico meriti di tornare a sentirsi raccontare delle buone storie dell’orrore da ascoltare attorno al fuoco e veicolate dalla voce suadente di un sinistro narratore, abbandonandosi ancora una volta alla Twilight Zone

 

Sfortunatamente in Italia non è ancora arrivata, ma essendo la produzione della seconda stagione ormai terminata e l’esordio in televisione sempre più vicino, speriamo che arrivi il prima possibile magari grazie a una spintarella da parte del pubblico. 

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