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Vudù, exploitation e meta-cinema: gli zombi - Pillole di Creepshow 06

Braaaaaaiiiinnsss...

Ben risvegliate, anime putrescenti e zombi redivivi.

 

 

Con il successo di The Walking Dead la figura dello zombi è salita alla ribalta e si è imposta all’attenzione del pubblico.

 

Dal Cinema classico fino ad oggi i morti viventi sono stati utilizzati in mille declinazioni diverse.

 

Dopo le prime interpretazioni ispirate al folklore haitiano, lo zombi schoccò il mondo del Cinema con la sua versione più nota firmata da George A. Romero, in cui diventa uno strumento di critica alla società americana, distratta dal consumismo e pronta a scannarsi al suo interno.

 

Dopo il suo maggiore successo, Zombie del 1978, la produzione di zombie movies crebbe a dismisura permettendo di dare libero sfogo alla fantasia violenta e sanguigna di truccatori ed effettisti.

 

Nel nuovo millennio, sospinto dal successo dei videogame survival horror orientali, il morto vivente ha conosciuto un nuovo periodo di produzione ipertrofica che negli ultimi 20 anni ha visto uscire centinaia e centinaia di titoli.

 

E dire che pochissimo tempo dopo l’inizio di questo revival lo zombi aveva già parodiato sé stesso con L’alba dei morti dementi.  

I film memorabili di questo filone non si contano, e alcuni di questi sono dei veri pilastri del Cinema moderno.

 

 

In questa sede parleremo di tre film che, pur non rientrando in questa categoria esclusiva, sono comunque a loro modo storici per influenza e per resa finale.  

_______________________

 

 

 

 

Ho camminato con uno zombie 

di Jaques Tourneur, 1943

 

L’infermiera Betsy Connell (Frances Dee) viene assunta da Paul Holland (Tom Conway), facoltoso proprietario di piantagioni di zucchero, per badare alla moglie malata nella sua residenza a Saint Sebastian, isola caraibica dove Holland offre lavoro alla comunità locale discendente dagli schiavi africani.

 

Giunta nella paradisiaca isola, Betsy capisce che la sua nuova paziente è più grave del previsto: non comunica con l’esterno e si muove in uno stato catatonico, attirando le dicerie della comunità nera sulla sua vera condizione.  

 

Val Lewton è noto tra gli amanti dell’horror per essere stato il produttore di un fortunato e influente numero di film di serie B per la RKO Pictures negli anni ’40, lavorando in collaborazione con registi come il ben noto Robert Wise, ma sopratutto con il francese Jacques Tourneur, con cui ha firmato i titoli più noti e raffinati.

 

Queste opere erano caratterizzate dalla cura per la tensione psicologica e per le composizioni visive, tralasciando i classici clichè del genere; Ho camminato con uno zombie non fa eccezione e le sue peculiarità lo rendono un film assolutamente unico nel panorama horror.

 

 

[Un indigeno dell'isola di Saint Sebastian che ha tutta l'aria di uno zombi] 

 

 

L’ambientazione esotica è affascinante e ipnotica durante il giorno, minacciosa e avvolta nel mistero durante la notte, quando si praticano antichi riti vudù, solennemente annunciati dai tamburi nella giungla.  

 

Il punto di forza del film risiede nella sua carica evocativa e ambigua, nella rappresentazione appena accennata di fatti incredibili per l’uomo bianco, nella costruzione visiva delle suggestioni, che per lo più rimangono tali in quanto non è mai perfettamente chiaro se stia effettivamente accadendo qualcosa di soprannaturale.

 

La stessa figura dello zombi ovviamente non è ancora quella del mangia-carne del periodo post-romeriano, è invece un essere miserabile in quanto privato della volontà, spaventoso non perché pericoloso ma perché instilla in chi lo vede la paura di cadere vittima della stessa maledizione, al servizio di forze oscure e senza trovare la pace neanche nella morte.

 

Ho camminato con uno zombie è un film sulla perdita dell’innocenza, sperimentata da Betsy quando capisce che la bellezza naturalistica di Saint Bernard nasconde il torbido passato della famiglia Holland, tra i melodrammatici intrighi familiari e le ancestrali responsabilità dello schiavismo e della sua discendenza, che col tempo si è abituata a piangere le nascite e festeggiare le morti. 

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Zombie 2

di Lucio Fulci, 1979

 

Due agenti della guardia costiera di New York notano un vascello alla deriva nel porto.

Mentre lo perquisiscono vengono attaccati da un essere orribile e sfigurato che vi si nascondeva, e uno dei due rimane ucciso.

 

Il vascello si scopre appartenere al padre della giovane Anne Bowles (Tisa Farrow), che non ha più notizie di lui da mesi.

Anne decide quindi, assieme al giornalista Peter West (Ian McCulloch), di partire per Matul, isola caraibica dove si trovava il padre.  

 

Dopo che Romero cambiò per sempre la storia dello zombie movie e dell’horror in generale con La notte dei morti viventi e il già citato Zombie, il mondo conobbe un nuovo modo di intendere il morto vivente.

 

Non più schiavo sonnambulo piegato al volere di uno stregone, bensì spietato assassino assetato di sangue che si muove in gruppo e minaccia di soverchiare l’intera umanità: è il debutto del fortunatissimo filone dell’apocalisse zombi.

 

La scuola italiana di questo genere è presto diventata nota in tutto il mondo per la sua capacità di utilizzare questa concezione moderna del mostro mettendone da parte i temi di critica e concentrandosi sulla rappresentazione visionaria della violenza più macabra.

 

Il diamante più puro di questo sottogenere è sicuramente Zombie 2, capolavoro di Lucio Fulci e sequel apocrifo dello Zombi di Romero.  

 

 

[Olga Karlatos in una delle scene più truculente del film]

 

 

Abbandonando l’analisi sociale, Fulci abbandona anche l’ambientazione cittadina, spostando parte della vicenda in un’isola dei Caraibi e collegandola ai riti vudù.

 

Questa componente di adventure horror conferisce al film quello stesso timore per l’esotico che caratterizzava i film degli anni ’40.

 

Come molte delle pellicole di quel filone, anche il film di Fulci soffre di una quasi totale mancanza di attenzione per la sceneggiatura, mostrando un plot raffazzonato e spesso incoerente al suo interno e con poco approfondimento dei personaggi.

 

L’essenzialità della storia viene però messa al servizio della narrazione per immagini, dato che il senso di orrore che si respira nel film viene sollecitato dalla continua rappresentazione di orribili dettagli e dall’impatto di alcune sequenze di esplosiva violenza.

 

La grande cura per gli effetti speciali e il talento di Fulci nel muovere la macchina di presa hanno conferito ad alcune scene del film una potenza visiva tra le più impressionanti della storia dell’horror. 

_______________________

 

 

 

Zombie contro Zombie 

di Shin’ichiro Ueda, 2017

 

Una troupe cinematografica sta girando un zombie movie in un capannone abbandonato con scarso successo: l’eccentrico regista Higurashi (Takayuki Hamatsu) non è soddisfatto dei suoi attori e sul set c’è moltissima tensione.

 

Tutto cambia quando, durante una pausa, gli improvvisati cinematografari vengono attaccati da dei veri zombi.  

 

Zombie contro zombie (in inglese One cut of the dead) è uno di quei titoli assolutamente unici nel genere, applaudito dalla critica e instant-cult tra il pubblico.

 

L’esordio cinematografico di Shin’ichiro Ueda è stato prodotto nel 2017, quando l’onda lunga del revival zombie viene trainata quasi esclusivamente da The Walking Dead e ormai inizia a mostrare segni di cedimento.

 

Si tratta di un comedy horror low-budget di pregevolissima fattura che unisce gli zombi (logorati da anni di sfruttamento anche televisivo) a una fortissima componente meta-cinematografica, tema anche questo affrontato spesso nel Cinema horror (da I tre volti della paura a Quella casa nel bosco).

 

 

[Mao legge la sceneggiatura del film che il padre sta girando]

 

 

Schiere di fan hanno immediatamente fatto fronte comune per diffondere il film rivelandone il meno possibile, dato che offre il meglio proprio quando spiazza lo spettatore.  

 

Stupisce innanzitutto perché nonostante l’evidente carenza di mezzi (appena 25000 dollari di budget) riesce con delle grandi intuizioni a sopperire a questo svantaggio, tanto da non sfigurare minimamente al fianco di molti titoli realizzati con ben altro impianto produttivo.

 

Dal punto di vista tecnico basterebbe il primo lunghissimo piano sequenza per avere un’idea dell’audacia formale che contraddistingue il film e lo differenzia da altre zom-com contemporanee.

 

E tuttavia tale ricercatezza non viene utilizzata per elevare un tema importante, bensì per celebrare lo spirito trasandato di mille film di serie B che vivevano grazie alle idee e alla passione di chi li girava, tra mille imprevisti e altrettanti escamotage che portassero avanti la baracca.

 

Come gran parte del meta-cinema, Zombie contro zombie è quindi un omaggio, che il suo autore dedica prima all’industria dei film di zombi e dopo al cinema tutto, luogo in cui la finzione e i giochi di prestigio, per il bene dello spettacolo, diventano protagonisti nascosti dietro la macchina da presa.  

 

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