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Demoni, mostri e gatti neri - Pillole di Creepshow 04

Tre horror consigli per voi, anime trasandate 

Ben trovate, anime in pena. Non guardatemi con quegli occhioni gonfi di tristezza. So benissimo cosa state pensando.

 

 

A luglio esce il terzo capitolo di Annabelle.

“Ma che, non bastavano i primi due?”

 

Non disperate, amici.

CineFacts.it è qui per servirvi.

 

 

 

Onibaba (1964),

di Kaneto Shindō

 

Suocera e nuora vivono in una capanna nascosta in un canneto.

 

Nell’attesa del ritorno dalla guerra del figlio/marito, unico legame tra le due donne, queste sopravvivono uccidendo i soldati in fuga che cadono nelle loro grinfie per venderne le armature e le spade, disfandosi poi dei cadaveri gettandoli in un misterioso buco al centro del canneto.

 

Fin quando al posto del figlio non giunge un commilitone che ne annuncia la morte…

 

 

 

 

Signore e signori: il capolavoro di oggi.

 

Nonostante sia basato sul mito di un demone giapponese con lo stesso nome, Onibaba non è ciò che definiremmo propriamente un film sui demoni. 

 

Onibaba è un film silenzioso, compassato, concentrato sulle atmosfere.

Non si tratta semplicemente di un intreccio familiare, bensì del ritratto di un Giappone lacerato dalla guerra e di come le condizioni economiche e sociali influenzino le vite di chi, in quella stessa società, non ha neanche un nome (come d’altronde le nostre due protagoniste femminili).

 

Ma allora dove sta l’orrore?

Relegarlo al terzo e più truculento atto sarebbe ingiusto. 

 

Onibaba spaventa dall’inizio alla fine perché mostra la vita di due donne perseguitate da anni dallo spettro della guerra e che con esso hanno imparato a conviverci.

L’assassinio è la regola, l’autoconservazione è l’obiettivo, le vie d’uscita non esistono.

 

A ricordarcelo costantemente sono il canneto, che rinchiude letteralmente i protagonisti in trappola, e il costante ripetersi di situazioni sempre identiche, che non fa che confermare come la vita sia immobile e scolpita nel tempo.

 

Shindo ci regala un horror claustrofobico la cui grandezza sta nella capacità di raccontare la corruzione degli animi di chi l’orrore lo subisce tutti i giorni.

Imperdibile.

________________________________________

 

 

 

Il tuo vizio è una stanza chiusa e solo io ne ho la chiave (1972),

di Sergio Martino

 

Oliviero (Luigi Pistilli), scrittore fallito erotomane e alcolista, vive insieme alla moglie Irene (Anita Strindberg) e all’odioso gatto nero Satana in una grandiosa villa, ormai decadente, appartenuta alla madre, morta assassinata.

 

I due non si amano e vivono un rapporto di odio e morbosità, Oliviero la umilia in pubblico e ne abusa psicologicamente e fisicamente.

 

Quando una giovane bibliotecaria viene assassinata, lo scrittore finisce sul tavolo dei sospetti in quanto suo amante…

 

 

 

 

Nei gloriosi anni del thriller italiano, erano molti i registi capaci di attirare l’attenzione di pubblico e critica - non sempre in maniera positiva - con il loro stile unico, mix di thriller, erotismo e truculenza.

 

Tra questi, Sergio Martino è sicuramente un nome di spicco.

 

In questo film dal titolo bizzarro (citazione al suo esordio cinematografico), Martino rappresenta una versione estesa del Gatto Nero di Edgar Allan Poe, in cui il gatto non è il protagonista della vicenda eppure risulta sempre presente nelle sequenze di maggiore tensione e nei momenti di svolta.

 

Anche qui la componente horror non è preponderante, rimanendo un po’ nascosta ma sempre percepibile come il gatto Satana, il cui ruolo è esattamente quello del racconto di Poe.

 

Questi è contemporaneamente amico, presagio di sventura, presenza ostile e aggressiva della casa, vittima delle frustrazioni dei protagonisti, e infine boia.

Gli omicidi sono pochi e il sangue esiguo, ma ad essere abbondante è la paranoia: paranoia di Irene, ossessionata dal marito violento, e di Oliviero, annebbiato dall’alcool e dall’insoddisfazione sessuale.

 

La magnetica presenza di Edwige Fenech chiude il cerchio di questo must del thrilling italiano anni '70, subdolo, morboso e opprimente.

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The Void - Il vuoto (2016),

di Jeremy Gillespie e Steven Kostanski

 

Lo sceriffo Daniel (Aaron Poole) trova un ragazzo gravemente ferito in una strada di campagna e lo accompagna nel più vicino ospedale.

Qui viene accolto dall’ex-moglie Allison (Kathleen Munroe), da cui sembra essersi separato a seguito della tragica morte della figlia durante il parto, e un ristretto gruppo di medici e pazienti.

 

Il ragazzo, con un passato da tossicodipendente, è in fuga da due individui che gli danno la caccia, non sapendo di essere seguiti a loro volta…

 

 

 

 

Il vuoto, pellicola di produzione canadese, non è un film che si perde in chiacchiere: in pochi minuti ci butta in un turbine di violenza e terrore figlio del grande cinema horror anni ’80 e della letteratura lovecraftiana.

 

Si tratta di un mix di body horror (seppur privo delle analisi sociali che contraddistinguevano il cinema di David Cronenberg), culti esoterici e orrore cosmico, il tutto presentato con totale assenza di computer grafica e un utilizzo sapientissimo di effetti speciali old school in cui abbondano tentacoli e abomini di qualunque tipo.

 

Un film revival, quindi, nostalgico delle atmosfere che fecero la fortuna di registi come John Carpenter.

 

Scienziati pazzi e orripilanti mutazioni fisiche non sono certo una ventata di aria fresca nel panorama horror moderno, ma Il Vuoto ha il grande merito di riaffermare la prepotente efficacia dell’effetto artigianale a dispetto di una CG sempre più inadeguata protagonista di pellicole vuote e inefficaci.

 

Non un film quindi per chi cerca la novità (non la troverà), quanto un manifesto che ristabilisce una certa regola che nell’horror si sta sempre più perdendo: per quanto la produzione possa essere low budget e basata su una sceneggiatura non originalissima, l’horror (se vuole funzionare) non può prescindere dalla fantasia del regista nella messa in scena; quella è indispensabile.

 

E ora come fate a dormire, abituati come eravate a delle fintissime bambole ch'eppur si muovono?

 

Creepshow, solo su CineFacts.it!

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