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Avatar - La via dell'acqua - Recensione: vedere e respirare Cinema

Avatar - La via dell'acqua rilegge il capitolo del 2009 ampliandone gli orizzonti e creando uno spettacolo cinematografico senza precedenti

Si chiudeva con degli occhi che si aprono Avatar, il film che segnò il 2009 diventando il più grande incasso della Storia del Cinema.

 

Un gesto semplice che annunciava un nuovo sguardo, un nuovo modo di vedere, una nuova idea di immagini. 

Oggi pensare al 2009 fa spavento, sembra passata un’era anche se sono trascorsi “solo” tredici anni.  

In questo lasso di tempo sono cambiate moltissime cose, i social network ora sono i protagonisti dei rapporti umani e le piattaforme streaming hanno soppiantato in gran parte la sala cinematografica.

 

Come spettatori ci siamo dunque abituati a relazionarci diversamente con le immagini, ormai fruibili ovunque e di conseguenza protagoniste assolute della nostra vita, del nostro quotidiano.

 

Un sequel a distanza di tredici anni è di per sé un’operazione rischiosissima, perché deve tener conto dello sguardo contemporaneo e comprendere come ri-articolare con l’oggi un’idea di Cinema in grado di far riaprire gli occhi a tutti noi. 

 

[Il trailer di Avatar - La via dell'acqua]

 

 

Italo Calvino a proposito de Il sentiero dei nidi di ragno diceva che il primo libro non bisognerebbe averlo mai scritto, un pensiero che James Cameron ha voluto applicare ad Avatar - La via dell’acqua, che dal primo film prende tutti gli elementi per farne una base solida, tracciando successivamente nuove strade che nel capitolo del 2009 erano solo ipotizzate, idealizzate, inesplorate. 

 

Un seguito che considera da un punto di vista narrativo i tredici anni trascorsi, ampliando gli orizzonti di Avatar e al tempo stesso riproponendoli. 

Un’operazione che si scontra in un certo senso contro la serialità del fenomeno post-Avatar, ovvero il Marvel Cinematic Universe, dove tutto è collegato con il film successivo, in cui l’affabulazione per gli easter egg sostituisce un’idea comunitaria di Cinema.

 

Avatar - La via dell'acqua presuppone quindi che il primo libro (film) non sia stato scritto: sceglie di accompagnare il pubblico nuovamente su Pandora creando un punto di partenza che editorialmente sarà fondamentale per i successivi capitoli e soprattutto chiede a chi guarda un patto di fiducia reciproca. 

 

“Io ti vedo.”

 

 

[In Avatar - La via dell'acqua assistiamo all'incontro tra due diverse culture]

 

Non è un caso quindi che i tópoi del primo capitolo vengano ripresi - una scelta quest’ultima che può essere legittimamente criticata -  per essere riproposti sotto altre vesti, creando una sorta di sequel/reboot che conserva e amplifica però il senso di estasi del 2009.

 

La foresta si vede appena e la minaccia umana - o meglio: post-umana - costringe il protagonista Jake Sully e la sua famiglia a scappare ed emigrare verso una terra sconosciuta, dove il mistero della giungla è sostituito da quello della profondità del mare. 

 

Riflettendoci Avatar - La via dell’acqua non poteva che essere l’unico punto di arrivo per James Cameron, cineasta e autore, che dell’acqua ha sempre fatto un elemento chiave.

In questo film troviamo il fascino di The Abyss e la claustrofobia di Titanic, due opere che in questo nuovo capitolo si uniscono creando un terzo atto di rara bellezza nel panorama dei blockbuster odierni.  

 

Perciò l’acqua come via, come elemento chiave per creare un Cinema elementare che guarda alla classicità salvo poi perdersi (nel senso positivo del termine) nell’esplorazione delle immagini. 

 

Il western e il mito della frontiera - e di conseguenza la sua distruzione - del primo Avatar viene ripreso: i demoni - gli umani - si sono insediati su Pandora e saccheggiano tutto ciò che è prezioso, in particolare un liquido che si trova nel cervello dei tulkun, grossi cetacei legati al popolo del mare.

Assistiamo quindi a una specie di caccia ai bisonti, una presa di posizione da parte di Cameron sulla natura conquistatrice dell’uomo.

 

Un ritorno alle origini, alla ciclicità della storia - in tutti i sensi - ma questa volta con uno sguardo non più adulto, bensì adolescenziale. 

Sono in realtà i figli di Jake e Neytiri i veri protagonisti di Avatar - La via dell’acqua, il moto trainante degli eventi che crea, distrugge e salva. 

 

I loro occhi, al pari di quelli di Jake del primo capitolo, permettono a noi spettatori di addentrarci nell’acqua, di legare con gli esseri di Pandora e di commuoverci con loro.

 

 

[Kiri, uno dei nuovi personaggi di Avatar - La via dell'acqua]

 

 

James Cameron filma lo stupore come se si trovasse su un set degli anni ‘30, nei film d’avventura della Golden Age di Hollywood, dove però le immagini non sono più analogiche ma digitali, un miracolo di tecnica che riesce a rendere tangibile anche un elemento sfuggente come l’acqua.

 

Una sorta di Cinema delle origini dove è solo l’immagine a essere centrale e che riflette, citando Filippo Mazzarella, “Sull’alba dello svincolamento finale dalle costrizioni della narrazione".

 

È un’idea di Cinema che sacrifica inevitabilmente alcuni passaggi di sceneggiatura e lo stupore di ipotetici voli pindarici della trama, perché è proprio lo sguardo a essere centrale: “Io ti vedo”.

Non è un caso.

 

Come non lo è neppure un altro insegnamento di cui Avatar - La via dell’acqua si fa carico, ovvero quello di imparare a respirare.

Un concetto che serve alla famiglia di Jake per sopravvivere sott’acqua ma che può essere traslato anche a noi spettatori: imparare nuovamente a dare respiro al Cinema, a sentirlo senza l’urgenza del racconto. 

 

Perdersi come Lo’ak nel mare, soffermarsi ad ammirare i tulkun, la loro magnificenza come se ci si trovasse in un film di Terrence Malick.

 

 

[Lo'ak e Payakan, il tulkun reietto]

 

È avanguardistico mettere in scena oggi un film con questa idea, soprattutto farlo con il blockbuster più atteso degli ultimi anni.

 

Eppure James Cameron, da pioniere qual è, si fida del suo pubblico come i Na’vi si fidano della natura e il riscontro semra dargli ragione: nel weekend di apertura il film ha incassato nel mondo la cifra di 434.500.000 dollari. 

 

Avatar - La via dell’acqua può essere considerato prevedibile e da un punto di vista narrativo caratterizzato da snodi di sceneggiatura “facili”, ma l’importanza e la bellezza di un film come questo non risiedono in questi elementi del Cinema, bensì in quello primario nato da L'arrivo di un treno alla stazione di La Ciotat nel 1896.

 

La purezza dell’immagine, la purezza dell’acqua. 

 

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