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Honey Boy - Recensione: la maledizione spezzata di Shia LaBeouf

Honey Boy è un film biografico basato sulla vita di Shia LaBeouf, scritto e interpretato dall'attore statunitense

Guardami. Guarda chi sono.

Osserva il percorso che mi ha condotto fino alla fama, agli eccessi e all’alcol.

Sono qualcosa di più di un eccentrico e problematico attore milionario. Guardami: sono un uomo, fatto di sogni, problemi, cadute. 

 

Nel 2017, dopo essere stato arrestato per la quarta volta in 31 anni di vita, Shia LaBeouf si ritrova in un centro di riabilitazione - su ordine del tribunale - per mettere ordine nella sua vita e risolvere i problemi di gestione della rabbia e abuso di alcolici.

 

Durante il periodo di cure, per guarire, è costretto a scrivere annotando febbrilmente il proprio passato, raccontando un’infanzia fatta di abusi, tappe bruciate e notorietà.

Otis Lort è l’alter-ego cinematografico di Shia che, in un montaggio alternato fra la sua infanzia e la primissima età adulta, mostra allo spettatore come LaBeouf sia giunto ad essere l’uomo che è adesso.

 

 

[Honey Boy è un film che emoziona e coinvolge lo spettatore, trascinandolo all'interno di un toccante rapporto padre/figlio]

 


La miseria, spesso, può essere come un virus.

 

O una maledizione.

 

Si tramanda di padre in figlio, di generazione in generazione, lasciando in eredità dolore, fallimenti e abusi.

James Lort, il padre di Otis (interpretato dallo stesso LaBeouf) ricalcando la vita di Jeffrey LaBeouf, è un veterano della guerra del Vietnam, ex pagliaccio da rodeo - nonché tossico e alcolizzato - che cresce il figlio facendogli da “accompagnatore” nella sua neonata carriera da attore.


I due, nonostante il successo della baby star (a 14 anni era già il protagonista della sitcom Disney Even Stevens), vivono in uno squallido motel di periferia popolato dagli “ultimi” della società americana: immigrati messicani e prostitute. 


Otis/Shia è un bambino spezzato.

Il successo travolgente, un padre sconsiderato e violento - che si comporta più come un amico o al limite un fratello maggiore - e le difficoltà della vita lo hanno mosso verso una crescita prematura.

 

[Il trailer italiano di Honey Boy]



Otis è un adulto nel corpo di un bambino: fuma, recita, si occupa del sostentamento del padre, oltre ad avere una rapidità di pensiero e una razionalità inusuali per un quattordicenne.

Honey Boy ha origine dagli appunti scritti da LaBeouf durante la terapia e, successivamente, inviati all’amica Alma Har’el, la regista del film, che spronò l’attore californiano a tradurli in sceneggiatura.

 

 

[Lucas Hedges è la versione adulta di Otis/Shia in Honey Boy]

 


Honey Boy, pur raccontando una storia semplice, girata quasi completamente in due setting (il motel e la clinica di riabilitazione), è un film estremamente difficile da raccontare.

 

Perché al suo interno c’è tantissimo: il desiderio di amore di un bambino, il dolore di un giovane uomo e le sensazioni che, conseguentemente, restano nell’animo dello spettatore alla fine della proiezione.

La sceneggiatura scritta da Shia LaBeouf è carica di emozioni che non scadono mai nel patetismo o nell’agiografia, trasportando invece lo spettatore nella mente del piccolo Otis, interpretato splendidamente da Noah Jupe (A quiet place, Le Mans ‘66 - La Grande Sfida).


La centralità del film è ovviamente dedicata al rapporto di Shia/Otis con suo padre, un uomo tormentato, vittima di abusi da parte dei genitori e incapace di reagire contro la sua metà oscura.

 

A dir poco imperfetto, reticente e addirittura violento, ma comunque capace - di quando in quando - di concedere affetto e attenzioni al suo “Honey Boy”.

Il suo dolce bimbo spezzato.

 

 

[Shia LaBeouf in compagnia del suo giovane co-protagonista Noah Jupe]


Assistita dalla fotografia avvolgente e delicata di Natasha Braier (The Neon Demon), dall’ottimo montaggio di Dominic LaPerriere e Monica Salazar e da una regia intelligente e curata, la sceneggiatura di LaBeouf - di pari passo con la sua prova di recitazione - si esprime con delicatezza, acume e dolcezza.

Raccontare una storia del genere senza incappare nella tentazione di un auto-panegirico o in orpelli autocommiserativi poteva risultare difficile.
LaBeouf supera agevolmente questa criticità, dimostrando di avere dalla sua un’ottima capacità di scrittura, riuscendo a raccontare se stesso fino in fondo in maniera onesta e razionale, come qualsiasi autore dovrebbe essere sempre in grado di fare.

Encomiabile è pure il lavoro rappresentativo fatto sulla figura del padre: LaBeouf lo anima alla perfezione, raccontandone le fragilità, gli impulsi più barbari e insensati, ma anche mettendo in scena il suo conflitto interiore.

 

Non avendo conosciuto Jeffrey LaBeouf non c’è alcuna controprova, ma la sensazione che ci lascia questo personaggio, oltre a quella di contrasto emotivo, è di enorme trasparenza.

 

 

[Shia LaBeouf nei panni di suo padre Jeffrey LaBeuf/James Lort]

 

 

Honey Boy è un film che pulsa, respira, sanguina e piange.

 

Perché è un film umano.

Non importa quanto sia doloroso il desiderio di amore di Otis, orribili le violenze (verbali, fisiche e psicologiche) da lui subite o disperato il suo bisogno di affetto: Honey Boy è un film delicato, intimo, che si esprime sottovoce e con tenerezza, raccontando di come un enfant prodige, un attore, ma soprattutto un uomo, sia riuscito - attraverso i propri sogni e la creatività - a spezzare una maledizione apparentemente senza fine.

 

Honey Boy, distribuito in Italia da Adler Entertainment, sarà nelle nostre sale dal 5 marzo.

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4 commenti

ZERO

4 anni fa

Da quello che hai scritto e da come lo hai scritto traspare molto come il film ti abbia colpito. Non mancherò di andarlo a vedere quandò uscirà e sappi che il merito sarà soprattutto della tua recensione! =)

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Mattia Pellegrino

4 anni fa

Certo 😉

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Adriano Meis

4 anni fa

Se ti va e ti ricorderai, facci sapere com'è andata 😉

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Adriano Meis

4 anni fa

Grazie! A essere onesto è un articolo che mi è uscito dalle dita con un po' difficoltà perché il film mi ha colpito molto. Mi ha travolto, lasciandomi molte sensazioni nella testa e nel cuore, quindi è stato difficile non cedere troppo all'emotività e organizzare un'analisi "centrata". Non perderlo assolutamente quando uscirà in sala: non te ne pentirai

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