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Parasite - Recensione: in equilibrio su mondi distanti

La pellicola di Bong Joon-ho è una straordinaria metafora universale sulle relazioni sociali

Parasite è una pellicola in perenne equilibrio, una straordinaria metafora universale sulle relazioni sociali.

 

Il Cinema è soprattutto questione di equilibrio. 

Equilibrio tra forma e contenuto, tra autorialità e generi, tra puro intrattenimento e critica sociale, tra necessità distributive e velleità artistiche. 

 

Ogni produzione è attraversata da spinte opposte che si bilanciano, ogni film è sospeso su dei contrasti che ne determinano la natura e, di conseguenza, anche il successo o il fallimento. 

 

 

 

Bong Joon-ho è un regista che sul bilanciamento di esigenze apparentemente opposte ci ha costruito un'intera carriera: il suo percorso artistico lo ha portato a conoscere in profondità i contrasti che il Cinema nasconde dentro di sé.

 

Dopo essersi costruito la nomea di autore nella natia Corea del Sud, infatti, Bong ha girato due film dal buget piuttosto elevato negli USA (Snowpiercer e Okja), prima di tornare a casa e profondere ogni suo sforzo in Parasite, il film che gli ha permesso di mettere a posto ogni singolo pezzo del puzzle e aggiudicarsi la Palma d'oro alla 72ª edizione del Festival del Cinema di Cannes.

 

 

[Il regista con la Palma d'oro a Cannes 2019 per Parasite]

 

 

La pellicola si apre con una premessa piuttosto semplice: raccontarci le dinamiche che intercorrono tra due famiglie, i Kim e i Park, appartenenti a classi sociali molto differenti.

 

I primi vivono in uno scantinato nei bassifondi di Seul e si mantengono grazie a un sussidio di disoccupazione, a lavoretti saltuari ed espedienti, mentre i secondi abitano in una casa lussuosissima in cima a una collina e sembrano non avere altre preoccupazioni all'infuori dell'educazione dei figli.


Grazie a una fortunata coincidenza, Ki-woo, il primogenito della famiglia Kim ha l'opportunità di diventare l'insegnante di inglese di Da-hye, primogenita della famiglia Park.

A questo punto la famiglia Kim coglie la palla al balzo e, con una serie di astute trovate, riesce a costruire un catena di raccomandazioni che li porta farsi assumere interamente dalla famiglia Park, anche a discapito della vecchia servitù della casa.

 

Proprio come dei parassiti, i Kim infestano la meravigliosa casa dei Park, nutrendosi delle insicurezze e dei vizi della benestante famiglia.

 

Il film ci mostra immediatamente una contrapposizione universale, quella tra il mondo di sopra e il mondo di sotto, tema sempre più ricorrente nel mondo cinematografico, come dimostra ad esempio Noi di Jordan Peele.

 

 

 


Parasite assume immediatamente le fattezze di una commedia corrosiva, che indaga le differenze sociali riuscendo sin dalle prime battute a trasmetterci un messaggio.

 

Complice un colpo di scena tutt'altro che scontato che ci porta anche a rivalutare la centralità del concetto di parassitismo all'interno dell'opera a un certo punto la tensione sale, la storia evolve e la pellicola si trasforma, muta di registro ed esplora generi diversi, scendendo ancor più in profondità e trovando sempre un nuovo equilibrio. 

 

Quando lo spettatore crede di aver trovato delle risposte sulla reale decodificazione dell'opera, Parasite cambia completamente direzione diventando prima un dramma e poi un thriller, arrivando a sfiorare addirittura alcune corde dell'horror.

 

Proprio l'equilibrio è la caratteristica più stupefacente del film: un equilibrio dinamico, che viene quasi miracolosamente raggiunto dopo ogni cambiamento formale e narrativo della pellicola, un equilibrio che riflette la maestria di Bong nel raggiungere il perfetto bilanciamento tra le numerose spinte artistiche e sociali che la sua opera incontra, pur mantenendone intatta l'essenza.

 

 

 

 

La regia di Bong Joon-ho da questo punto di vista riesce in un'impresa mirabile: coniugare l'eleganza formale con le esigenze narrative di Parasite.

 

L'autore mette la propria macchina da presa al servizio della storia, senza mai giudicare realmente nessuno dei protagonisti e senza mai esagerare nei virtuosismi.

 

Bong è in grado di restituirci immediatamente l'enorme contrasto tra il senso di claustrofobia e sciatteria percepibile nella casa dei Kim e la luminosità e l'eleganza di casa Park, ci permette in pochi minuti di conoscere alla perfezione le strutture delle due abitazioni, ci mostra l'enorme distanza tra le due case e tra gli stili di vita delle due famiglie, ci mostra una Seul stratificata nella struttura fisica e sociale e ricama continuamente con i concetti di salita e di discesa. 

Le case, soprattutto quella dei Park, diventano veri e propri personaggi della storia di Parasite.

 

Al contempo, ogni composizione è appagante per gli occhi e carica di significato: in questo il lavoro congiunto di Bong e Hong Kyung-pyo (già direttore della fotografia di Burning, The Wailing e Snowpiercer) risulta davvero maniacale e rifinito in ogni dettaglio.

 

 

 


Bong, che di Parasite è anche soggettista e co-sceneggiatore, riesce a far montare la tensione sottesa alla propria opera poco alla volta, di scena in scena, trasformando in immagini e sensazioni tangibili tutte le potenzialità della sceneggiatura. 

 

Parasite copre un range emotivo enorme: è un film nel quale la risata, il dramma e la paura si susseguono senza soluzione di continuità.

L'equilibrio tra le sensazioni che il film genera nello spettatore deriva dal perfetto incastro con cui ogni emozione si connette a quella che lo ha preceduto e a quella che sta per seguirlo.

 

La tensione riesce a montare anche quando il pubblico ride di gusto ma anche nei momenti più drammatici la pellicola conserva quella levità d'animo che la caratterizza sin dalle prime battute. 

 

 

 


Parasite vive di contrasti e chiaroscuri, tanto nella messa in scena quanto nella scrittura: i personaggi sono ben caratterizzati e vanno oltre gli stereotipi ai quali dovrebbero appartenere.

 

I Kim non sono dei semplici arrampicatori sociali, ma provano dei sentimenti per i Park, si confrontano con le differenze tra le due famiglie e ciascuno di loro ha proprio un punto di vista sul rapporto con i loro "padroni". 

I Park, invece, sono mossi da evidenti insicurezze, nascondono dei piccoli segreti e vivono in continua contraddizione rispetto ai sentimenti che provano rispetto alla loro "servitù".  

 

Tra l'immaginario del mondo di sopra e quello del mondo di sotto si sviluppa un rapporto dialogico che permette allo spettatore di assimilare con naturalezza le differenze e le analogie senza che il ritmo dell'opera si abbassi mai.

 

 

 

 

Parasite è un film in grado di reggersi in perfetto equilibrio sulle correnti contrapposte che si muovono sotto la sua superficie da black-comedy.

 

Nell'opera di Bong Joon-ho quel bilanciamento tra forma e contenuto, tra autorialità e generi, tra puro intrattenimento e critica sociale di cui si parlava in precedenza non viene semplicemente subito dall'autore. 

Viene prima perseguito come poetica fondante e poi meravigliosamente realizzato.

 

Con ogni probabilità, è proprio questo elemento che fatto innamorare la prestigiosissima ed eterogenea giuria di Cannes 2019, portandolo a vincere la prima Palma d'oro unanime dal 2013 a oggi.

 

 

 


Parasite non solo segna il raggiungimento della piena maturità artistica di Bong Joon-ho, ma rappresenta anche un fondamentale momento di incontro tra sensibilità cinematografiche apparentemente contrapposte, tanto negli autori quanto negli spettatori. 

 

Parasite potrebbe essere realmente un ponte tra mondi che, per troppo tempo, abbiamo creduto non potessero mai toccarsi.

 

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