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Motherless Brooklyn - Recensione: cercando l'effetto - TIFF 2019

Al Toronto International Film Festival viene presentato, in anteprima internazionale, Motherless Brooklyn: detective story scritta, diretta, prodotta e interpretata da Edward Norton

Circa 20 anni fa Edward Norton era giunto a quello che gli Americani definiscono top of his game, e dopo American History X l'attore avrebbe macinato altri successi internazionali, per poi affrontare un lento declino della sua fama dovuto anche ad un carattere poco docile, per essere diplomatici. 

 

Al contempo Norton leggeva e s'innamorava di Motherless Brooklyn, romanzo di Jonathan Lethem ambientato nella New York anni '90 e che proponeva una detective story con protagonista un uomo affetto dalla sindrome di Tourette. 

 

 

 

Motherless Brooklyn diviene il progetto più appassionato e ambizioso di Norton che s'impegna nella stesura di una lunga sceneggiatura a spostare il romanzo negli anni '50, ambientando il racconto in un contesto narrativo più congeniale al genere d'origine, cercando il racconto chandleriano. 

 

Sceneggiatura che vede finalmente la luce per debuttare al TIFF 2019 con un cast di divi e attori della scena teatrale di New York formato da Edward NortonBruce WillisGugu Mbatha-RawBobby CannavaleCherry JonesLeslie MannAlec Baldwin Willem Dafoe

 

 

 

 

Il concetto stesso di Motherless Brooklyn mi aveva già creato delle contrastanti perplessità. 

 

Da un lato abbiamo un romanzo ambientato negli anni '90, quella decade contraddistinta da una New York sporca, underground, ancora abbastanza pericolosa, scorsesiana e che propone una detective story fatta di un incipit adatto al suo tempo - un disturbo documentato nell'800 ma quasi ignorato fino agli ultimi decenni del '900. 

 

Dall'altro lato abbiamo invece l'idea di riportare tutto agli anni '50, alla New York gangster fatta di jazz club, sigarette a profusione e l'inizio di una certa idealizzazione della figura dell'America dagli steccati bianchi.

 

La detective story si adatterebbe molto bene a questo tempo ma come abbiamo già visto in passato, tanto quanto nel presente, quello che rende certe storie, e certi registi, grandi è la loro abilità di creare commistioni e ridefinire i generi. 

 

Nel neo-noir ci ha nuotato David Lynch come Quentin Tarantino con esiti interessanti, mentre il ritorno al passato di quell'America e quella narrativa sembra un vezzo costoso che in pochi possono permettersi e che non sempre suscita l'interesse e il fascino che ci si potrebbe aspettare.

 

Motherless Brooklyn vede protagonista Lionel Essrog (Edward Norton), ragazzo orfano affetto dalla sindrome di Tourette che Frank Minna (Bruce Willis) prende sotto la sua ala protettiva, divenendone mentore e insegnandogli a utilizzare il suo cervello come arma investigativa, piuttosto che una disabilità della quale vergognarsi. 

 

Frank, coinvolto in qualche indagine più grossa di lui, verrà ucciso, lasciando a Lionel il compito di ricostruire e risolvere il caso al quale stava lavorando. 

 

 

 

 

Come anticipato, Norton sceglie di portare tutto agli anni '50, mettendo in scena una storia che, come le migliori detective story, è intricata, sconclusionata e articolata attraverso una serie di vicende più complesse, portando lo spettatore a perdersi nel filo della vicenda insieme al suo protagonista. 

 

Eppure il tono della sceneggiatura di Motherless Brooklyn, condita da un leggero umorismo e qualche punta di drammatico romanticismo, sembra non sapere bene cosa raccontare, che carattere avere e cosa rendere prioritario e portante nella caratterizzazione di questa New York di metà secolo scorso. 

 

Tutto il contesto sembra scritto e recitato per il teatro e Norton stesso, nel corso della conferenza stampa, sembra ammettere di non aver dato una particolare direzione artistica al suo cast, che lasciato a se stesso non offre delle brutte prove di recitazione ma semplicemente va per quello che è l'istinto suggerito dalla sceneggiatura e dalla loro bravura, sfociando a volte in interpretazioni da palcoscenico un po' caricate, incisive, rese strambe da un contesto senza una vera identità artistica di fondo. 

 

Motherless Brooklyn mi ha dato la sensazione di essere un film confuso, che sembra perdersi dietro l'ego delle scene, e forse del suo autore, troppo preoccupato di raggruppare momenti carichi di significato per il suo personaggio e per i comprimari, piuttosto che concepire una messa in scena che lo aiutasse a raccontare la storia. 

 

Un film che sembra gridare la necessità di un tecnico dietro la cinepresa capace di dare un taglio alla narrazione, di formare un ambiente, di dare una linea creativa da seguire, definendo cosa sia davvero questa detecive story il cui sapore in bocca è paragonabile a una tavoletta di riso soffiato con un po' di cioccolato sopra.

 

C'è del dolce, c'è dello sciapo e tutto nell'insieme sembra funzionare, ma mentre la mastichi ti rendi conto che senza la cioccolata quella tavoletta non la mangeresti mai e lì risiede il vero inganno. 

 

 

 

 

La detective story non sa veramente di Chandler, non sa di Humphrey Bogart, non ricorda L'infernale Quinlan di Orson Welles, non sa di Billy Wilder e quando contamina usa l'originale Daily Battles di Thom Yorke e Flea, una canzone stupenda ma quasi scanzonata all'interno del contesto, rievocando l'idea che forse rimanere nel neo-noir anni '90 avrebbe dato più senso, spingendo il pedale sul dramma e gli spunti poetici e visivi che il protagonista e i suoi demoni potevano offrire. 

 

Norton dimentica un po' la regia e Motherless Brooklyn vive non tanto di scelte poco convenzionali, che avrei gradito vedere, quanto di scelte sbadate, buttate nella mischia di un complesso che, nonostante la fotografia di Dick Pope, molto raramente funziona sullo schermo, amalgamandosi alla scarsa ricerca di una voce, fallendo nel trovare un tono o quantomento ricalcare i tagli di luce della detective story oppure i ritmi languidi di un genere che non diventa mai azione pura ma gioca con la tensione. 

 

La messa in scena, nel suo complesso, va sotto la soglia di quello che è oggi lo standard televisivo e se comparata a quella di una serie come La fantastica signora MaiselPeaky Blinders o The DuceMotherless Broolklyn ne esce con qualche osso rotto. 

 

Una storia che non ha un tono, che incolla parti e ispirazioni, che non presenta bene le idiosincrasie dei personaggi e la loro presenza, facendo del personaggio di Alec Baldwin una figura interessante, sulla carta, ma portata a schermo con poca convinzione. 

 

Lo stesso protagonista interpretato da Norton ha delle sfaccettature che vengono vagamente accennate, come gli stordimenti che si procura fumando erba e affogando in acque placide alle quali non ha altrimenti mai accesso, lasciando intuire come avrebbe, in potenza, qualcosa da dire. 

 

Motherless Brooklyn è un film difettoso che non vive di molte sensazioni e che, nonostante gli ottimi fattori messi in gioco, sa di poco.

 

Comunica senza mordente e a mio avviso aveva davvero bisogno di un regista dedicato allo storytelling e un Norton dedicato alla recitazione, lasciando aperta la porta di una questione: sarebbe stato più incisivo se sviluppato come un neo-noir anni '90?

 

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