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Dogville - Recensione: il rifiuto, la furia, l'indifferenza

Un'analisi del capolavoro di Lars von Trier

Dogville è un film immenso. Raramente si trovano pellicole in grado di scuotere così fortemente lo spettatore, terribili e ammalianti allo stesso tempo; e ancora più raramente sottendono una tale forza concettuale, e di messaggio, come fa il film di Lars von Trier.

 

Il film, diviso in nove capitoli, con una classica struttura teatrale evidenziata anche dalla messa in scena, si apre con la sommaria descrizione della cittadina di Dogville.

 

Essa ci appare come il frutto di una stanca e inerziale società occidentale, che va avanti in una grigia monotonia, nella quale sogni e speranze sono svaniti da un pezzo, per lasciare il posto a una semplicità non già figlia di bontà d’animo e genuinità, ma di triste ignoranza, inconsapevolezza, e di un generale appiattimento della vita.

 

Una semplicità derivante dall’incapacità di ottenere di più, adeguandosi al proprio scarso successo, come dirà uno dei personaggi.

 

 

 

Ma tutto cambia quando arriva Grace (Nicole Kidman), una donna il cui nome non è certamente casuale in fuga da una misteriosa storia di gangster.

 

Grace è bella, ingenua, dolce, e mostra al paese la sua natura più intima, più personale.

Gli abitanti, inizialmente dubbiosi riguardo la nuova arrivata, col tempo iniziano ad apprezzarla, anche grazie all’aiuto di Tom, una sorta di leader spirituale e ambasciatore della cittadina nelle intenzioni, ma in realtà scrittore inconcludente e per nulla seguito dagli altri membri della comunità.

 

Grace porta la luce a Dogville, la rende un posto migliore, donandole una nuova linfa, nuova verve; Grace illumina le stanche vite dei residenti, con la sua sincerità e dolcezza.

 

Il tutto, però, è destinato a durare poco: le richieste dei cittadini a Grace, in cambio della loro ospitalità e protezione, diventano sempre più pressanti, opprimenti, disturbanti, conferendo un diffuso senso di rabbia, di smarrimento, di soffocamento.

 

Grace verrà accusata di ogni crimine, sospettata delle peggiori nefandezze, ridotta in catene e in schiavitù.

 

 

 

 

La messa in scena, in una fusione tra letteratura, teatro e Cinema, con un narratore onnisciente e una scenografia da palcoscenico, permette di vedere gli avvenimenti da una prospettiva esterna, imparziale e fondamentalmente indifferente.

 

Lo scheletro cittadino ne acuisce la miseria, l’inconsistenza, con queste pareti trasparenti a sottolineare l’ipocrisia dei cittadini del luogo, che tutto sanno e che nulla vogliono vedere.

 

Gli abitanti di Dogville, col tempo, rivelano dunque la propria natura animalesca, bestiale, avida ed egoistica, nella loro interezza.

 

Tom è forse il peggiore: sfrutta subdolamente e ambiguamente la propria posizione per ricavarne un profitto personale più viscido, più mascherato, più velato, ma anche lui alla fine verrà posto di fronte alle proprie responsabilità. 

 

Se il primo e il secondo atto di Dogville sono infatti significativi di per sé, nella rappresentazione pessimistica e senza speranza del genere umano e nell’inquietante piega che prendono gli eventi, fornendo una rappresentazione spietata dell’Uomo, il terzo atto del film inquadra il tutto da una prospettiva diversa.

  

 



Messi di fronte a una presa di coscienza riguardo ciò che stanno facendo, in una delle consuete riunioni organizzate da Tom, i membri della cittadina decidono in un'ultima mossa ipocrita e difensiva di liberarsi finalmente di Grace, riconsegnandola ai gangster da cui era fuggita, in modo tale da eliminarla definitivamente.

 

Si scopre però che il boss altri non è che il padre della ragazza e da lì in poi si sviluppa un dialogo surreale tra i due: sull'etica, sull'importanza del perdono e sull'utilità dello stesso, sulla natura delle persone, sul potere, su ciò che buono e ciò che non lo è.

 

Grace sostiene che non è possibile giudicare un animale, poiché esso risponde solamente alla propria natura: ma il padre replica che non c’è nulla di buono in quella natura, e che perdonare sempre un cane non lo educherà mai.

 

Come educare quindi i cittadini di Dogville?

Eliminando forse Mosè, il cane pastore del paese, in un atto di forza, per rimetterli in riga?

Non servirebbe a nulla. 

Non c’è speranza per Dogville, non c’è possibilità di redenzione.

 

Dovrà bruciare, scomparire per sempre.

 

 

Dogville
 

Che l’intero film sia una metafora dell’umanità sembra piuttosto chiaro, che Dogville ne sia l’emblema lo è altrettanto.

 

È possibile cogliere, in questo senso, degli interessanti parallelismi con Viridiana, capolavoro di Luis Buñuel, che allegoricamente tratta tematiche molto simili.

Così come Viridiana anche Grace, simbolo della purezza, della dolcezza e dell’innocenza porta la luce in un mondo oscuro e triste e senza alcuna bellezza.

 

Ma gli uomini, pure inizialmente abbagliati da lei, non fanno altro che utilizzarla per gli scopi più infimi, abusandone e respingendola, incapaci di coglierne il messaggio, figli della loro brutale e animalesca natura.

 

La storia di un rifiuto, la rappresentazione di un’umanità poco incline a recepire ciò che di buono viene loro proposto.

In realtà Grace, inizialmente, vorrebbe perdonare i cittadini di Dogville, poiché "non sanno quello che fanno".

Tenta di difenderli fino alla fine.

 

Ma il Padre, questa entità misteriosa e di enorme potere che pare conoscere in anticipo già tutti i dettagli della storia, capace di radere l’intera città al suolo, non li perdona affatto: non c’è nulla di buono da salvare in loro e infine, con un cambio di luce e prospettiva, il tutto appare chiaro anche a Grace, che ordinerà personalmente la distruzione del paese.

 

A salvarsi sarà solo il cane, che dà il nome alla città, e che abbaia ringhiosamente alla fine a simboleggiare probabilmente il germoglio inestirpabile del Male che contagerà, inevitabilmente, anche i prossimi cittadini di Dogville

In questa ottica, la frase finale è particolarmente significativa.

 

A cosa abbiamo assistito?

Al rifiuto da parte dell’Uomo verso Grace o piuttosto alla rassegnazione, alla furia e all’indifferenza della ragazza verso un'umanità miserabile?

 

È una domanda alla quale fornire una risposta non è semplice.

Ma forse, in fondo, non è neppure così importante.

 

Quel che però appare certo è che nella visione di Lars von Trier, se mai sono stati insieme, ora si sono lasciati per sempre.

 

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94 commenti

che film sensazionale

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Devastante. Mette paura per quanto è concettualmente reale e tangibile. Non avevo mai pensato al parallelismo con Viridiana, ottima osservazione.

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Andrea Vassalle

4 anni fa

Anche io come altri, ho guardato Dogville prima di andare a vedere tra pochi giorni The house that Jack built. L'ho guardato proprio stasera e per la prima volta. Che dire...l'ho trovato davvero bellissimo. Una delle rappresentazioni del comportamento e del "veleno" umano che ho trovato più profonde, forti, efficaci. E' un film che avrei già voglia di rivedere.

P.S. Tra l'altro mi sono accorto e ricordato di aver commentato 6 mesi fa...finalmente mi sono deciso a vederlo.

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Emanuele Antolini

4 anni fa

In attesa di andare a vedere The house the that Jack Built, stasera riguardo questo capolavoro

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Simone Braca

4 anni fa

Emanuele Antolini
... e col senno di poi mai scelta fu più azzeccata, mi sentirei di dire ahah

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Nic Cage

4 anni fa

un film davvero ben fatto!!!
le quasi tre ore di film portano lo spettatore a resistere in attesa di quel finale che in fin dei conti rappresenta davvero il genere umano.

Rappresentazione del comportamento umano nudo e crudo !!

Chapeau !!!

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Luca Iencarelli

4 anni fa

Film superbo😌

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Davide Redentori

4 anni fa

Devo assolutamente rivederlo!!! All'epoca mi ha lasciato cosi' -------> 😳

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Diego Fossati

4 anni fa

Geniale, stupendo... Spero di poter arrivare a fare una recensione di questo film.

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solipsoJoe

4 anni fa

ho un tatuaggio con le sue iniziali più un particolare dal film Epidemic...ce l'ho sulla pelle in tutti i sensi, LVT.

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