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Too Old to Die Young - Recensione: puro Refn al 100%

Puro Nicolas Winding Refn distillato al 100%, con i difetti che tutti odiano e con i pregi che tutti gli altri amano

Il bello di Nicolas Winding Refn è che, pur essendo un autore, come base di partenza ha sempre il genere.

 

L’estetica e il contenuto delle sue opere rispecchiano la sua personale visione, ma il genere viene trattato sempre con rispetto, perché un regista intelligente sa che è questo a fornire fondamenta solide alla sua opera. E Too Old To Die Young non fa eccezione. 

La serie targata Amazon, infatti, ridà spolvero al genere noir/hard boiled, che in questi anni ha avuto un discreto successo grazie anche ad altre ottime serie come True Detective e Bosh.

 

Ma se queste serie, seppur ottime, si muovono all’interno del canone, con Too Old To Die Young ci troviamo davanti al classico esempio di opera che trascende il genere.

 

 



In questo film di 900 minuti, Refn ci mette dentro tutto: sesso, violenza, religione, commedia, politica, umorismo e morte.

 

Il tutto con un linguaggio sperimentale, che prova a ricodificare il concetto di serialità ai tempi dello streaming.

Ogni puntata è un capitolo di una storia e la durata è variabile, perché il regista ha interrotto ogni episodio dove secondo lui era giusto che finisse, senza essere intrappolato in un format preciso.

 

La libertà di contenuto e forma, come ha dichiarato lo stesso Refn, è totale.

E si vede.

 

L’evento che ha ispirato Nicolas Winding Refn per Too Old To Die Young è stata l’elezione di Donald Trump a Presidente degli Stati Uniti.

 

Il tema sotteso a tutta la storia, infatti, è il disfacimento sociale e culturale dell’America.

E la critica non è neanche troppo velata: poliziotti che inneggiano grottescamente al fascismo; il padre di Janey (Nell Tiger Free), ricco speculatore finanziario interpretato da William Baldwin, che ha fantasie erotiche sulla figlia, proprio come Trump; il sogno americano trasformato nella parodia di se stesso.

 

 

 

Le scene che descrivono in modo cristallino questo concetto sono due: la prima è quando alcuni membri di un cartello messicano della droga sono in un locale e ascoltano un cantante travestito malamente da Elvis che canta una canzone inneggiante agli anni ‘50, periodo di massimo fulgore della retorica statunitense e del suo famoso American Way of Life; la seconda è una scena onirica, per me iconica, dove il sicario Viggo (John Hawks) letteralmente spara con un fucile a tutti i simboli della cultura americana, alla cui fine compare una bandiera nazista circondata dai dollari.

 

 

[Deligatissimo]

 

In mezzo a questo deserto morale, gli unici personaggi portatori di speranza sono, non a caso, due donne.

 

Ma non si tratta del “girl power” normalizzato e un po’ ipocrita della Hollywood liberal post-Weinstein, si tratta di una forza genuinamente rivoluzionaria.

 

Una di queste donne è Yaritza (Cristina Rodlo), la donna del capo del cartello messicano della droga Jesus (Augusto Aguilera), soprannominata La Grande Sacerdotessa della Morte.

Questo personaggio letale e occulto, proprio come la carta dei tarocchi a cui fa simbolicamente riferimento, agisce nell’ombra e contro gli interessi del cartello per liberare le donne dallo sfruttamento del patriarcato che esso stesso incarna.

 

 



La seconda femme fatale di Too Old To Die Young è Diana (Jena Malone), anche lei con una doppia identità: ufficialmente assistente sociale ma che nel privato gestisce, insieme al sicario Viggo, un gruppo di assassini che vendicano gli abusi subìti dalle vittime che assiste.

 

È lei che ci regala un monologo alla fine della serie - che ricorda vagamente una versione aggiornata di quello che declama Alejandro Jodorowski ne La Montagna Sacra - in cui fa una lucida disamina della società occidentale:

 

“Presto la violenza diventerà erotica. La tortura euforica.

Mentre le masse inneggeranno alle pubbliche esecuzioni, alimentate dalla furia del fascismo.

I campi di concentramento verranno ricostruiti.

L’ignoranza verrà esaltata.

 

E cominceranno guerre razziali, perché l’odio sarà ricompensato, e considerato veritiero e meraviglioso.

La fede sarà ridotta a velenose banalità. La schiavitù del pensiero contaminata dalla morfina.

La perversione verrà nobilitata.

 

Incesto, molestie e pedofilia saranno lodati. Lo stupro verrà premiato.

Pochi avranno tutto, e i più non avranno niente. Perché non tutti gli uomini sono creati uguali.

 

Il narcisismo non verrà più represso, ma verrà venerato come una virtù.

Cedere ai propri impulsi diventerà mero istinto. Le nostre identità saranno definite da come provochiamo il dolore.

 

Un puro e assoluto nichilismo sarà l’unica soluzione alla morte gloriosa.

Col tempo avremo la nostra religione, la nostra dinastia e con essa risveglieremo la vera furia del mondo.

 

E mentre l’uomo imploderà in un’ondata di sangue e silenzio, una nuova mutazione sorgerà. [guarda in macchina]

E quel giorno proclamerò l’alba dell’innocenza”.

 

 



Un contenuto tanto radicale viene supportato da una forma che porta alle estreme conseguenze lo stile, di per sé già abbastanza ostico, di Refn.

 

I tagli di luce sono ancora più netti, intere scene vengono girate nella semi oscurità e i colori sono iper-saturi, come se fosse un espressionismo sotto acido.

I tempi si dilatano in maniera quasi estenuante, con silenzi interminabili filmati in inquadrature statiche, alternate a lunghissime carrellate descrittive e con una recitazione catatonica.

 

Tutto sembra volgere alla ricerca dell’anticlimax, come Refn ci fa capire in una delle scene più divertenti di Too Old To Die Young, in cui un inseguimento improvvisamente si trasforma in una scena volutamente soporifera.

Tutto questo però non è fine a se stesso.

 

Andando avanti ci si rende conto che serve a creare un’atmosfera rarefatta che contribuisce a scolpire i personaggi nella nostra mente, per farceli rimanere in testa anche molto dopo il termine della visione.

 

 

 

Non si può non notare, inoltre, lo sporco lavoro che fa il co-sceneggiatore e co-creatore della serie Ed Brubaker, pluripremiato scrittore noir di graphic novel e inventore del personaggio del Soldato D’Inverno targato Marvel - a margine: è interessante notare come questo aspetto di Too Old To Die Young sia stato totalmente ignorato dagli amanti dei cinecomic.

 

La surrealtà della messa in scena di Refn è totalmente bilanciata dal realismo della scrittura.

 

Per realismo della scrittura intendo che qui non ci sono professori di liceo che sfidano cartelli della droga messicana e ne escono vincitori.

Qui c’è un piccolo spacciatore che prova a soffiare una zona di Los Angeles a Jesus e fa la fine che ci si aspetta in un contesto del genere: molto brutta.

 

È Ed Brubaker che fornisce le solide fondamenta di genere di cui sopra, non sprecando neanche una riga di dialogo e dando così la possibilità a Refn di inserire i temi e i simboli a lui cari.

 

 



Non ho volutamente menzionato il protagonista della serie, Martin Jones (Miles Teller), perché è solo apparentemente lui il motore della trama, ma è evidente che le fila degli eventi vengano tirate dalle due donne, Yaritza e Diana.

 

Così come solo apparentemente l’antagonista, Jesus, conta qualcosa.

In realtà è manipolato anche lui da due donne: la madre morta, che non è fisicamente presente ma che percepiamo continuamente come un’entità che influenza le scelte del figlio, e la sua amante Yaritza.

 

Too Old To Die Young è come il sesso anale: all’inizio è ostico, doloroso, ma più si va avanti e più se ne vuole ancora, in un turbine di godimento e dolore.

Proprio come la vita.

 

È puro Nicolas Winding Refn distillato al 100%, con i difetti che tutti odiano e con i pregi che tutti gli altri amano.

 

E il tutto è portato all’estremo per provare a rivoluzionare il linguaggio della serialità via streaming.

È avanguardia o si tratta di semplice onanismo?

Probabilmente lo sapremo tra una decina d’anni.

 

Quel che è certo è che, nell’odierno panorama bulimico di una serialità mediocre e conformista, ci ha regalato la serie più interessante dell’anno.

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1 commento

Enrico Tribuzio

4 anni fa

Vedendola anche a me è venuta in mente Twin Peaks 3, nonostante siano così diverse. Forse per la gestione dei tempi e questa atmosfera sospesa tra reale e surreale. Chiaramente Twin Peaks 3 è un capolavoro, questa è "solo" un'ottima serie.

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