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Con La petite dernière Hafsia Herzi firma il suo film più maturo e riuscito, portando al Festival di Cannes 2025 un racconto di formazione intenso e dolcissimo che parla di identità, desiderio e fede con una grazia rara.
Adattamento del romanzo di Fatima Daas il film segue il percorso di Fatima, l’ultima di tre sorelle, cresciuta in una famiglia algerina nella banlieue parigina, mentre cerca di conciliare la propria identità di giovane musulmana credente con la scoperta tutt’altro che lineare della propria omosessualità.
Al centro del racconto troviamo Nadia Melliti, rivelazione assoluta, qui al suo debutto sul grande schermo.
[Una clip da La petite dernière]
Il suo volto trattenuto e quasi opaco non è segno di inesperienza, quanto piuttosto la perfetta incarnazione di un personaggio che ha imparato a proteggersi dietro una calma apparente.
Melliti restituisce con una sincerità disarmante le contraddizioni di Fatima: è una ragazza brillante, affetta da asma, appassionata di calcio, rap e freestyle, ma anche completamente terrorizzata da ciò che sente dentro di sé.
I suoi desideri, che inizia a esplorare in segreto grazie a un'app di incontri, la mettono in conflitto con tutto ciò che ha sempre conosciuto: la religione, la famiglia, un fidanzamento imposto - di cui non sa bene come liberarsi - il suo ruolo nella società.
La petite dernière è uno di quei casi in cui la stessa storia in altre mani scivolerebbe facilmente nel didascalico o nel sensazionalismo: il film invece si distingue proprio per il tono lieve e misurato, dolce e immancabilmente appiccicato alla protagonista, che accompagna in un percorso fatto di piccole scoperte, intimità condivise e grandi silenzi.
È un film che non giudica, che osserva con attenzione amorevole, che preferisce i non detti agli scontri e il turbamento alla dichiarazione.
[Nadia Melliti e Park Ji-min ne La petite dernière]
La petite dernière è un vero e proprio coming of age nel senso più pieno del termine: racconta il passaggio dall’adolescenza all’età adulta in tutte le sue complessità, senza mai separare la questione dell’identità sessuale da quella più ampia della costruzione del sé.
In questo senso l’incontro con Ji-Na - una giovane infermiera coreana (interpretata con intensità da Park Ji-min) - segna uno spartiacque emotivo e narrativo: per Fatima è la prima relazione che va oltre il semplice esperimento, la prima ferita profonda che lascia il segno.
Fatima però non è definita solo dalle sue relazioni amorose. La petite dernière la segue lungo un anno che vede molti passaggi cruciali della sua vita: l’esame di maturità, l’ingresso in un’università più aperta e bohemienne, la paura di deludere la madre e di uscire allo scoperto in un ambiente dove l’omofobia può anche essere sottile, ma non per questo meno presente.
La scena con l’imam e Fatima che cerca risposte per una “amica con certe tendenze” è in questo senso emblematico: tenero, leggero e amaro allo stesso tempo, restituisce la solitudine interiore di una ragazza che non trova appigli né nelle istituzioni religiose né nella famiglia.
Herzi evita con eleganza ogni cliché: ne La petite dernière la famiglia non è dipinta come un nemico, anzi le scene con le la madre o le sorelle sono tutte utili a capire da dove arriva Fatima e di quanto amore in realtà la casa sia piena; la religione non è demonizzata e al contrario è invece un approdo e un appoggio.
Perfino le scene più intime e quelle più spinte - entrambe spesso difficili da trattare sullo schermo - sono girate con grande rispetto, sensuali ma mai voyeuristiche.
Credo ci sia in questo caso un’eredità rielaborata e profondamente personale di Abdellatif Kechiche, regista che lanciò Hafsia Herzi con Cous cous nel 2007 e che 6 anni dopo scandalizzò Cannes con La vita di Adèle (scandalo che però vinse la Palma d'oro), ma se il suo Maestro amava l’eccesso e l’urgenza viscerale, Herzi preferisce il dettaglio, la sfumatura, il silenzio che dice più di mille parole.
[Regista e protagonista de La petite dernière sulla Montée des Marches a Cannes 2025]
Grande merito dunque alla regia che sa cogliere la bellezza nei gesti quotidiani, nei volti non professionisti scelti con cura, nelle scene corali sempre piene di vita; la cinepresa di Herzi è vicina ai corpi ma non li invade, ascolta più di quanto parli e ci restituisce un mondo credibile, umano, profondamente empatico.
Impossibile poi non rimanere affascinati da Nadia Melliti: la fotografia la esalta ma è evidente che anche la cinepresa non riesce a fare a meno di lei e dei suoi sguardi, i mezzi sorrisi e i pensieri che passano dietro gli occhi: ne La petite dernière sono rare le inquadrature che non la coinvolgono e a memoria non esiste neanche una scena senza il personaggio di Fatima.
La recitazione pudica e potentissima dell'attrice è una scoperta che lascia il segno.
La petite dernière è a mio avviso un piccolo gioiello, un film raro e prezioso, capace di parlare di temi difficili con una leggerezza che non è superficialità, ma grazia.
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