Articoli



#articoli
Eddington è uno di quei film creati per fare impazzire chi lo guarda: con un sontuoso e camaleontico Joaquin Phoenix al centro del delirio statunitense, Ari Aster firma un’opera disturbante, imperfetta e forse indispensabile.
Nel panorama cinematografico contemporaneo sono pochi i registi in grado di polarizzare le opinioni come Ari Aster; dopo Hereditary, Midsommar e l’eccentrico Beau ha paura, il regista newyorkese arriva in concorso al Festival di Cannes 2025 con Eddington, un film che sembra concepito apposta per dividere, far discutere e - soprattutto - provocare: a mio avviso riesce perfettamente in tutti e tre gli intenti.
[Il trailer di Eddington]
Eddington è una cavalcata selvaggia e grottesca attraverso il caos pandemico del 2020, con Joaquin Phoenix nei panni di Joe Cross, uno sceriffo smarrito di una cittadina del New Mexico, apparentemente immune - o almeno così crede - ai grandi sconvolgimenti del mondo esterno, ma sarà proprio questa falsa sensazione di isolamento che darà il via alla spirale tragicomica che travolgerà lui e l’intera comunità del paesino di Eddington, che conta appena tremila abitanti.
Il film è un western atipico, ambientato nel presente e attraversato da temi roventi: pandemia, complottismo, razzismo sistemico, fratture sociali, violenza politica e bulimia digitale: Eddington non ha nessuna intenzione di offrire spiegazioni né soluzioni, al contrario nega attivamente ogni possibilità di ordine o di senso.
Aster sembra dirci che la confusione, l’angoscia e la disconnessione degli ultimi anni non sono interpretabili e dunque vanno solo vissute.
Lo fa con un linguaggio cinematografico che mescola generi, toni e stili, a volte con brillantezza, altre con eccesso; forse non tutto è riuscito, forse l'esagerazione a volte sembra sfuggirgli di mano e probabilmente la prima ora di film, dove vengono sparse le pedine sulla scacchiera prima di dar loro fuoco, setta il tono dell'opera in modo troppo ordinario per far sì che funzionino davvero gli atti successivi.
Credo però che anche i momenti di caos nella messa in scena e nella scrittura siano intenzionali, per rappresentare il discorso generale di Eddington.
Joaquin Phoenix è ancora una volta fenomenale: il suo Joe è un uomo ridicolo, patetico e a tratti pericoloso, che trova nel dibattito sulle mascherine anti-COVID19 un’insperata occasione di protagonismo e il suo percorso da sceriffo riluttante a candidato sindaco populista è tanto assurdo quanto tristemente credibile.
Intorno a lui ruotano figure altrettanto disturbanti come la moglie Louise (Emma Stone), invischiata in teorie cospirazioniste, la suocera Dawn (Deirdre O’Connell) che rilancia qualsiasi bufala complottista trovi su Internet e il sindaco Ted Garcia (Pedro Pascal), un liberale apparentemente positivo ma che nasconde più di un secondo fine.
Aster ambienta il tutto in una Eddington che diventa il microcosmo degli Stati Uniti, dove ogni personaggio vive in una propria realtà filtrata da feed, video virali e influencer politici.
Eddington è un film che fa ridere, rabbrividire e riflettere in quantità e spesso nello stesso momento; le immagini della fotografia di Darius Khondji sono potenti e mai didascaliche, sia nei momenti di accecante sole del New Mexico sia in quelli bui della notte a colpi di mitragliatore e il montaggio tiene insieme l’incredibile quantità di eventi con un ritmo sorprendente soprattutto nel terzo atto.
Eddington non è per tutti: è un film denso, saturo di stimoli, che richiede attenzione e tolleranza per le digressioni, per le esagerazioni e per la quantità inusuale di finali che il film inanella da un certo punto in poi.
La sottotrama del giovane attivista autodidatta e quella del predicatore ultraconservatore interpretato da Austin Butler sembrano volutamente lasciate a metà, come se Ari Aster fosse più interessato a mostrare la frammentarietà della realtà contemporanea, invece che a raccontare una storia coesa.
Per alcuni spettatori la cosa potrebbe risultare frustrante.
Il modo "leggero" in cui vengono trattati temi delicati come l'omicidio di George Floyd o le proteste antirazziste potrebbe sollevare polemiche: da una parte si può leggere come coraggioso atto satirico impregnato di black humor, dall'altra è lecito vedere il tutto come una provocazione fine a sé stessa, ma è proprio questo sottile confine tra la critica e il cinismo che a mio avviso rende il film tanto affascinante quanto, senza dubbio, discutibile.
Eddington è un’opera ambiziosa, imperfetta e urgente, il film di un autore che si è evidentemente preso tutte le libertà a lui concesse e che riflette con lucidità sull’impossibilità di trovare un linguaggio comune in un’epoca in cui persino le tragedie condivise vengono vissute in bolle separate.
Forse non piacerà a quel pubblico che cerca la linearità o i messaggi lampanti, però penso che il caos del film sia anche la sua forza: così come un fuoco d’artificio lanciato in una stazione di benzina, Eddington a un certo punto esplode in mille direzioni, lasciando dietro di sé fumo, fiamme e tante domande.
Chi invece ama il Cinema che osa, che non mette a proprio agio e che si prende il rischio di sbagliare, non può ignorare un film come Eddington.
Anche solo per parlarne, per discuterlo o per arrabbiarcisi; anche questo fa parte dell'esperienza ed è forse l'unica lezione che il film ci regala: nessuna persona è un'isola e siamo tutti costretti volenti o meno a confrontarci con il prossimo e a condividere ciò che viviamo, evitando di pensare egoisticamente soltanto al metro quadrato che circonda i nostri piedi.
Ora che ci penso, probabilmente è proprio questa la cosa che darà più fastidio di Eddington.
___
CineFacts segue tantissimi festival cinematografici e non potevamo certo mancare a quello più importante del mondo!
Per il 7° anno di fila - che sarebbe l'8° se non ci fosse stata la pandemia - vi aggiorniamo quotidianamente su tutto ciò che è Cannes con recensioni, stories, video, podcast, foto, messaggi vocali e qualsiasi altra cosa ci venga in mente!
Articoli
Articoli
Articoli