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Baby Reindeer - Recensione: un eccezionale male necessario

Baby Reindeer è la serie Netflix più vista del periodo, è esplosa grazie al fatto di essere una storia vera ed è soprattutto una storia che fa davvero male: per questo è bene vederla 

Dovete guardare Baby Reindeer se volete farvi male, se volete soffrire, essere disturbati tremendamente e allo stesso tempo comprendere che tutto questo male è assolutamente necessario. 

 

Questa è la prima affermazione che credo sia doveroso fare riguardo a questa serie, creata in modo da fare scalpore e con le premesse che riguardano la sua genesi e composizione, ma sarebbe bene non soffermarsi solo su questi elementi, bensì partire da questi per poi definire ragioni ben più profonde per cui Baby Reindeer andrebbe guardata e perché merita il boom di popolarità che sta vivendo. 

 

[Il trailer di Baby Reindeer]

 

 

Baby Reindeer è innanzitutto una storia vera: una storia di stalking, con un protagonista maschile che viene stalkerato da una donna di nome Martha. 

 

Molti hanno definito Baby Reindeer come una sorta di "You al contrario" (tanto più che il protagonista è doppiato in italiano da David Chevalier, lo stesso che doppia anche Penn Badgley, protagonista di You).

In realtà la situazione è ben più particolare e ha subito incuriosito il pubblico.  

 

Il protagonista Richard Gadd è infatti la stessa persona che ha subito lo stalking, ha scritto la sua storia ispirandosi alla propria esperienza (i nomi sono stati cambiati) trasformandola in un monologo teatrale e poi nella serie TV per Netflix. Questo elemento ha incuriosito tantissimo gli spettatori: pensare che una persona sia disposta a rivivere esperienze orrende ha stupito molto: in Baby Reindeer Donny, l'alter ego di Gadd, rivive infatti traumi che soprattutto nell'episodio 4 sono già difficili da pensare, figuriamoci da recitare. 

 

Purtroppo questa particolarità della serie è anche a mio avviso la sua rovina. 

 

 

[Baby Reindeer: Richard Gadd è produttore, sceneggiatore e protagonista]

 

 

L'aspetto legato alla realtà rischia di farla sprofondare in un tornado mediatico, cosa che è già accaduta se pensiamo che la vera Martha (che mantiene l'anonimato) ha rilasciato dichiarazioni a Vanity Fair mostrandosi offesa della rappresentazione che ne è stata fatta e cambiare i nomi forse non proteggerà Gadd da un'insidiosa azione legale. 

 

La polemica rischia di distogliere da quel male necessario che Baby Reindeer rappresenta. 

Il fatto che sia una storia vera rende tutto ancora più significativo, ma non deve per questo indurci alla spettacolarizzazione del dolore, come se il punto fosse il sadismo nel vedere il vero protagonista ricordare, oppure la vera "stalker" sentirsi rappresentata e soffrire.

 

Baby Reindeer è una storia vera perché dimostra di essere reale, proprio perché non spettacolizza il dolore ma anzi lo rappresenta in modo estremamente lucido e anche disturbante. 

È un cerchio che si completa dall'inizio alla fine con un drink offerto, dove non esistono davvero vittime né carnefici e viene messo in luce come le storie reali non presentano la semplificazione di bene e male come definiti, perché nemmeno la vita li presenta così. 

 

In tal senso a partire dalla propria esperienza, ma sempre in modo certamente maturo, Richard Gadd racconta in Baby Reindeer senza sconti temi attuali, importanti, difficili da affrontare. 

Li racconta senza dipingersi vittima, ma ribaltando perfino i pregiudizi che inducono al gossip facile di chi cerca la realtà di questa storia nella vita reale, senza coglierne il profondo quadro emotivo che dipinge: quello del male.

Non il mostro sotto il letto che temevamo da bambini, non il cattivo al 100%, non il vicolo buio dove troveremo qualcuno ad aspettarci, non il male esterno: il male dentro di noi. 

 

Il male esistenziale ed epidermico che suggerisce, che divora e non lascia più lo spettatore per un bel po' di tempo al termine della visione. 

 

 

[Baby Reindeer: una eccezionale Jessica Gunning interpreta Martha]

 

 

Donny non è la vittima senza macchia di Martha e soprattutto nel finale mostra come tutti possiamo ritrovarci in determinate situazioni. 

 

La narrazione di Baby Reindeer non sembra voglia giustificare qualcosa, quanto farci riflettere su come tutto sia davvero più complesso di come pensiamo, perché la vita è complicata, il male è una scala di grigi, l'abuso non segue la logica del "no" detto, della molestia subita e della denuncia.

È molto difficile che la vita corrisponda a criteri così semplici, così banalizzanti dei problemi, dove cerchiamo appunto sconti. 

Questi sconti, come detto, Baby Reindeer non ce li dà.

Non offre allo spettatore nemmeno un attimo di pace, lo confonde, lo rapisce, resta appiccicata addosso a lui non in quanto una storia vera, ma in quanto una narrazione reale. 

 

Il male che lascia, perché ne lascia davvero tanto, è per questo assolutamente necessario.

Perché non è sempre necessaria la leggerezza, l'intrattenimento e nemmeno la semplicità puerile del lupo cattivo contro le pecore innocenti, il bene contro il male, la forza contro la debolezza.

Ogni essere umano può danneggiarsi o rompersi in qualche modo, cercare un senso perfino negli aspetti per molti inquietanti o inappropriati.

È necessario allora farci male, soffrire sette episodi di cruda realtà e alla fine comprendere che un giorno tutti noi potremmo sederci in un bar e scoppiare a piangere davanti a qualcuno, suscitandone la pietà.  

 

Su come reagiremo, su cosa faremo, Baby Reindeer non deve fornire la risposta.

Indaga, tuttavia, su quello stesso male che racconta e ne tira fuori il meglio e il peggio insieme; Il meglio perché incolla allo schermo e, in modo tutto suo, di fatto intrattiene come fa una serie TV di questo genere.

 

Il peggio perché non consente certezze e mette in dubbio tutto in modo malsano, eppure estremamente reale. 

 

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