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Perfect Days - Recensione: sguardi istantanei sul proprio mondo

Perfect Days di Wim Wenders è un film che riflette sul tempo attraverso lo sguardo di Hirayama, perennemente alla ricerca dell'istante che valga la pena essere catturato e sognato  

I Perfect Days cantati da Lou Reed che danno il titolo al nuovo film di Wim Wenders si possono collegare al concetto di “komorebi” giapponese.

 

Per “komorebi” si intende la luce del giorno che filtra attraverso le foglie, una sorta di sentimento che aiuta le persone che assistono a questo spettacolo a “ricaricarsi” dopo giornate difficili. 

 

Hirayama - nome che è un omaggio diretto a Yasujirō Ozu - trascorre il suo tempo vivendo la propria quotidianità nel modo più semplice possibile, pulendo i gabinetti pubblici e leggendo William Faulkner la sera.

 

[Il trailer di Perfect Days]

 

 

Perfect Days è un film che solo un autore ormai al giro di boa del proprio tempo avrebbe potuto realizzare.

 

Il viaggio è stato uno dei temi cardine del Cinema di Wenders - da Alice nelle città a Paris, Texas - tema figlio di un'irrequietezza generazionale dovuta all’assenza di una figura paterna (il regista tedesco cresce artisticamente con Easy Rider di Dennis Hopper).

L’urgenza giovanile di muoversi e di cercare un nuovo tipo di immagine che superasse il post-moderno, dove tutto è già stato visto e filmato, finisce con il bisogno di calma e serenità nel fotografare un istante qualsiasi che valga invece la pena di essere fermato e goduto a pieno.

 

Per questo Perfect Days è un magistrale film sul tempo, sia passato sia futuro, costruito sul corpo e il volto (specchio dell’anima) di Hirayama, personaggio essenziale che fa dell’uso della parola un monolite.

 

 

[Con Perfect Days Kōji Yakusho ha vinto il premio per la Migliore Interpretazione Maschile al Festival di Cannes]

 

Lo sguardo con cui Wenders osserva il presente è senza ombra di dubbio moralista, attraverso un protagonista che non riesce a confrontarsi con l’oggi e che non capisce le nuove generazioni digitali che hanno bisogno di incasellare tutto su una scala “da 1 a 10”.

 

Hirayama ascolta ancora le canzoni sulle musicassette, costruisce i propri oggetti da lavoro e cura nel minimo dettaglio ogni aspetto della propria pulizia. 

 

“Adesso è adesso. Un’altra volta è un’altra volta.” ripete alla propria nipote che le chiede di andare a vedere il mare.

Come per dire che bisogna pesare ogni momento della propria giornata, soffermandosi su ciò che successivamente plasmerà il nostro tempo. Concetti che in Perfect Days richiamano inevitabilmente il Cinema trascendentale di Yasujirō Ozu, dove il punto di vista soggettivo di Hirayama finisce per cogliere le dinamiche sociali e culturali del proprio tempo, trasformando il naturale in astratto e perciò le foglie fotografate durante la giornata in immagini oniriche la notte.

 

Non è un caso che il formato del film sia in 4:3, tutto a immagine del piccolo mondo di Hirayama, così come l’uso delle canzoni rock della giovinezza di Wenders (“Se non ci fosse stato il rock avrei fatto l’avvocato”) coincide sempre con lo sguardo del protagonista verso una torre che svetta nel cielo di Tokyo.

 

Uno scontro tra passato e presente che nell’in-azione di Hirayama trova un perfetto equilibrio spazio-temporale, come se si trattasse di un perenne flusso di coscienza senza parole, che non mostra eventi rilevanti proprio perché nel suo mondo gli eventi e il tempo si sono fermati.

 

 

[In Perfect Days gli omaggi a Ozu si sprecano]

 

Il trascorrere continuo della vita in Perfect Days è svuotato dalla superficie, dal digitale epidermico che scaccia la concretezza dell’agire - il collega di Hirayama non riuscirà mai a conquistare la ragazza che desidera - per abbracciare uno scardinamento dalla temporalità modernista à la Quentin de L’urlo e il furore di Faulkner.

 

Hirayama non può quindi fare altro che vivere secondo le proprie convinzioni, nascondendo il tempo sotto un’ombra oscura e lasciandosi andare ogni tanto a un pianto agrodolce, quello di chi è consapevole del proprio destino, felice e angosciante allo stesso modo.

 

Allo stesso tempo.

 

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1 commento

Nic Cage

3 mesi fa

120 minuti che "ti rimettono al mondo" .. un film che ti coinvolge nonostante la sua calma e metodicità ! apprezzata davvero la scelta della pellicola a 4:3, dei primi piani, delle musiche .. davvero gran bel film!!!

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