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Tratto da un racconto di Haruki Murakami, Piercing è un divertissement di 80 minuti del regista newyorkese Nicholas Pesce.
Racconta l'incontro tra Reed (Christopher Abbott) sposato con Mona (Laia Costa), fedele, ma con l'irrefrenabile impulso di uccidere una donna e la sua vittima Jackie la prostituta (Mia Wasikowska).
Il film sembra darci la motivazione del gesto di Reed già nella primissima inquadratura del film, perchè questo sentimento che aveva già in parte appagato da giovane si è risvegliato e lo spinge verso un atto così crudele: lui è a casa e sta puntando il rompighiaccio che vuole usare in seguito su sua figlia.
Lo stress dell'essere diventato da poco genitore sembrerebbe essere la goccia che ha fatto traboccare l'antico vaso allora svuotato.
L'uomo è metodico, prova e riprova in sequenza i gesti e le battute del suo spettacolo, ma percepiamo subito che la sua inesperienza lo condurrà in un'avventura diversa da quella che si era immaginato.
È impaziente, tanto da sentire i suoni dei gesti che compie. Poi arriva il primo campanello d'allarme: la prostituta che aveva ingaggiato non potrà esserci, gliene manderanno un'altra al più presto, ovvero Jackie.
Lei è tutto l'opposto, si sveglia ed è di corsa, impreparata, svogliata.
Accetta il lavoro senza neanche rispondere al telefono.
I due si incontrano e subito i piani vanno in frantumi: Reed è goffo nel cercare di non lasciare impronte, mentre Jackie è disinvolta e totalmente a suo agio.
Lei prova a iniziare la sua serata di lavoro, ma una risata nervosa dell'uomo la offende e così si sposta in bagno dove inzia la follia di questo film fino ad ora anche troppo semplice e lineare.
Dopo un po' di minuti lui apre la porta e la trova intenta a pugnalarsi la gamba con delle forbici: da questo momento in poi la coppia entrerà in un gioco tra gatto e topo in cui in realtà forse le parti non sono così chiare.
Tra i due sembra esserci chimica, sul taxi tutto sembra spingerci verso il pensiero che possa non finire così, ma qualcosa in Jackie inizia a non convincerci.
Arrivano a casa sua e lì iniziamo a conoscere davvero la prostituta che fino a questo punto era rimasta più una silhouette poco delineata che un personaggio tridimensionale.
Una cura maniacale per la casa, per la cucina, per tutti i dettagli, un nuovo punto in comune con l'assassino con cui la chimica è sempre più grande.
Qui prima Reed finalmente palesa il suo intento, stupendo Jackie, poi dopo un bellissimo "Can we eat first?" le parti si invertiranno, lui viene sedato e lei inizia a torturarlo, poi gatto e topo si invertono ancora ed infine ancora.
Non vedremo l'atto conclusivo, ma solo un altro "Can we eat first?" tra due anime affini.
Il film di Pesce alterna attimi di cura estetica e gusto per il dettaglio e per la pulizia dell'immagine a derive folli e concitate con sequenza di azione, sangue e visioni.
Nei fumi del narcotico l'uomo inizia a vedere il suo passato mischiarsi ai suoi più reconditi desideri e ci viene spiegato in maniera anche troppo didascalica come tutto nasca da un trauma della sua infanzia legato alla madre e come la prima donna che ha pugnalato fosse proprio lei durante un'accesa discussione.
Un atto d'amore verso un certo cinema tra il thriller e l'horror che usa come sua principale arma la seduzione e l'erotismo, tant'è che a più riprese troviamo citazioni sia visive sia musicali con l'uso della colonna sonora di Profondo Rosso di Dario Argento e de La Dama Rossa uccide sette volte di Emilio P. Miraglia.
In questo senso anche la totale assenza di telefoni cellulari, con la presenza di una serie di telefoni classici dei film di Brian De Palma e del cinema giallo italiano degli anni '70, nonostante tutto indichi un mondo contemporaneo.
Un film grottesco ed esagerato, ma allo stesso curato e totalmente coinvolgente in cui nonostante la follia dei gesti, delle situazioni e delle visioni non ci troveremo mai davanti alla sensazione di posticcio.
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