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Alla Mostra del Cinema di Venezia The Promised Land si inserisce come un film senza particolari ambizioni, cercando invece una pragmaticità del racconto e delle immagini che danno respiro al resto del concorso.
Un campo lungo apre lo schermo verso una terra isolata, non coltivata.
Una brughiera che appartiene al re e che il capitano Ludwig Kahlen (Mads Mikkelsen) ha l’ambizione di bonificare e successivamente rendere una colonia.
Siamo nel 1755 nello Jutland, un mondo che giace sulle fondamenta delle caste medievali ma ri-articolato dal regista Nikolaj Arcel seguendo i canoni del genere western.
[Il trailer di The Promised Land]
Il West è prima di ogni cosa un luogo mitico e inospitale, che fronteggia il capitalismo mediante la natura stessa.
La storia di The Promised Land perciò si relaziona direttamente con l’ambiente, trasformando i personaggi in pedine metafore dell’animo vorace dell’uomo. L’ideologia pionieristica di Ludwig Kahlen insegue uno sviluppo verso un ipotetico occidente, colonizzando inizialmente anche dei nomadi - i quali possono essere visti come dei nativi americani - per aumentare sempre di più la forza lavoro.
Il sezionamento della proprietà privata trova spazio nelle linee tracciate dai fili metallici issati per erigere un confine. La costruzione del mondo coloniale passa da un’esclusione, un monopolio che è l’estensione del potere personale sulla terra conquistata.
The Promised Land parte da questa base cinematograficamente western, per poi sviluppare gradualmente anche il dramma umano dei suoi personaggi.
Se inizialmente Ludwig Kahlen potrebbe esser visto come un neo-Daniel Plainview, il rapportarsi con due donne - rispettivamente una serva e una cugina di un latifondista spietato - cambia lo sguardo sul mondo dello stesso protagonista.
[The Promised Land potrebbe rivelarsi una mina vagante in ottica premi]
The Promised Land
Il sentimento interrompe quindi il processo di disumanizzazione capitalista messo in atto dal personaggio interpretato da Mads Mikkelsen: in particolare l’attore danese è eccezionalmente bravo nel saper calibrare ogni sfaccettatura di Kahlen solo mediante l’uso espressivo degli occhi, passando dall’essere glaciale all’essere impacciato nei dialoghi con il sesso opposto.
I grandi spazi di The Promised Land, fotografati magnificamente dal direttore della fotografia Rasmus Videbæk, vedono nel privato delle grandi dimore signorili il controcampo ideale, accentuando la natura duplice del film, specchio del suo protagonista.
Il titolo originale è infatti Basterden, riferito al personaggio di Ludwig Kahlen, un generale decorato ma senza titolo nobiliare in quanto figlio senza un padre.
La ricerca di un proprio posto nel mondo, che passa per l’appunto dalla conquista della terra isolata, con il trascorrere dei minuti abbraccia la discesa di Kahlen verso il caos, nella violenza più efferata provocata dallo scontro con il proprietario terrario Frederik de Schinkel.
Ma ancora una volta è la donna a togliere l’uomo dalla condizione caotica della propria esistenza, che altrimenti tornerebbe alla natura bastiale e predatoria figlia del capitalismo western messo in scena nel primo atto.
La terra promessa dal titolo del film è in conclusione uno stato d’animo: malinconico come lo sguardo di Mads Mikkelsen e appagante come il respiro degli spazi incontaminati della brughiera danese.
CineFacts segue tantissimi festival, dal più piccolo al più grande, dal più istituzionale al più strano, per parlarvi sempre di nuovi film da scoprire, perché amiamo il Cinema in ogni sua forma: non potevamo dunque mancare l'appuntamento con la Mostra di Venezia!
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