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Pacifiction - Un mondo sommerso - Recensione: la discoteca della politica

Lo psichedelico, ultimo lavoro dell'avanguardista Albert Serra

Pacifiction - Un mondo sommerso è forse il film più divisivo in cui potrete imbattervi quest'anno al cinema. 

 

Forte del primo posto nella classifica dei migliori film del 2022 secondo i Cahiers du Cinéma, del prestigioso Premio Louis-Delluc, di due Premi César e di altrettanti Premi Lumière, l'ottavo film di Albert Serra si presenta come una delle uscite più attese e al contempo controverse dell'annata cinematografica, proponendosi come un'esperienza del tutto unica.

 

[Il trailer internazionale di Pacifiction]

 

 

Non potrebbe essere diversamente per l'opera più acclamata di un regista che ama definirsi come "precursore di se stesso". 

 

Albert Serra, regista e video-artista catalano di nascita ma francese di adozione cinematografica, è uno dei più peculiari autori che potreste conoscere: il suo stile è del tutto sperimentale, incentrato sulla destrutturazione dell'immagine cinematografica, alla costante ricerca dell'avanguardia e dell'abbattimento dei cliché. 

Per Pacifiction ha abbandonato il consuetudinario impianto storico delle sue opere, concentrandosi su una contemporaneità che però - come avveniva anche per i suoi film in costume - appare del tutto sospesa nel tempo.

 

La pellicola narra di Monsieur de Roller, alto commissario francese a Tahiti interpretato da un eccezionale Benoît Magimel, e delle sue indagini sulla possibilità che la Francia torni a compiere a sua insaputa test nucleari segreti sull'isola, come già avvenuto dal 1966 al 1996 negli anni della così detta "folie atomique"

Nel farlo si imbatte nei personaggi più disparati: politicanti locali, militari ubriachi, funzionari di altri stati che hanno smarrito il passaporto e loschi fiancheggiatori delle parti in gioco.

 

Come potrete comprendere dalla stringata sinossi, Pacifiction è attanagliato da un senso di incombenza tipico dei noir e dei film di spionaggio, ma Albert Serra sceglie di percorrere le strade meno battute per instaurare un rapporto con lo spettatore. 

 

Secondo la sua prospettiva il nostro mondo è molto cambiato negli ultimi anni, a partire dal secondo dopoguerra: la gente è molto meno pura e decisamente incline alla perversione, pertanto c'è bisogno che anche il Cinema reagisca a questa nuova umanità, ragionando nuovamente sulla propria forma.

 

 

[Per la sua interpretazione in Pacifiction Benoît Magimel ha vinto il suo secondo Premio César consecutivo come Miglior Attore, il terzo in carriera]

 

 

L'intento dell'autore è tutt'altro che politico o di indagine storica.

 

Malgrado con ogni probabilità parte dell'ispirazione per Pacifiction sia arrivata con la riviviscenza della"folie atomique" del 2021 - quando Emmanuel Macron si è scusato con le popolazioni della Polinesia, assumendosi le responsabilità dei test nucleari e delle loro conseguenze per conto della Francia - il regista catalano preferisce subito mettere in chiaro che il suo intento non è quello di raccontare come i polinesiani siano una popolazione vessata. 

 

"Certo: quelle popolazioni sono vittime della storia, hanno subìto dei test nucleari.

Ma sono cose che sanno tutti e io, come regista, non ho nessun interesse verso di loro.

Come cittadino forse ne ho, ma come regista zero. Infatti non mi sono informato sulle popolazioni del posto, proprio per non cadere nei luoghi comuni. Non ho niente da dire su di loro, non ho niente da dire in generale.

Il mio compito è darvi qualcosa che non potete trovare sulle piattaforme streaming per 10 euro al mese".

 

Cosa c'è, dunque, al centro di Pacifiction?

 

Di certo non la Storia, quella del colonialismo francese e delle sue conseguenze, ma neanche la storia di Monsieur de Roller, che si snoda lungo i 165 minuti di pellicola. Al centro dell'opera c'è l'immagine.

O meglio, c'è la volontà del cineasta spagnolo di ragionare su cosa sia, al giorno d'oggi, l'immagine cinematografica.

 

La forma, appunto: ancora una volta Albert Serra decide di lasciare che la narrazione fluisca direttamente dalla messa in scena, prediligendo la potenza dell'immagine rispetto a quella della narrazione che poggia interamente su quelle che l'autore definisce "sensazioni impressionistiche" messe per iscritto.

 

 

[In Pacifiction il mare è foriero di spettacolo e pericolo]

 

Il film è infatti fondato sul concetto di destrutturazione: in Pacifiction tutto è decomposto, deformato, rielaborato. 

 

Le tempistiche sono molto dilatate, la fotografia è dominata dagli split bicromatici, i dialoghi sono quasi del tutto inconcludenti. 

Sono deformati anche due dei pilastri fondanti del Cinema: l'immagine cinematografica e l'interpretazione del protagonista, che lo stesso autore non ha esitato a definire come grintosa e del tutto unica nel panorama cinematografico odierno.

 

Benoît Magimel, la cui presenza domina integralmente l'opera, è ben lontano dall'immagine di sé a cui ci aveva abituato nelle sue opere giovanili come La pianista: dopo averlo fatto con Jean-Pierre Léaud ne La Mort de Louis XIV e con Helmut Berger in Liberté, Albert Serra torna a distruggere la vanità dei propri attori protagonisti mettendone in scena i lati meno esteticamente appaganti.

 

Per quanto concerne l'immagine l'autore ha scelto di lavorare per accumulo di "impressioni": ha affermato di aver realizzato circa 540 ore di girato, a partire dalle quali ha cominciato in prima persona a comporre una bozza di montaggio definitivo, prima che gli altri montatori Artur Tort e Ariadna Ribas lo coadiuvassero. Il numero di ore dichiarato sembra decisamente iperbolico, ma ci aiuta a comprendere il suo reale intento iconoclasta. 

 

Non a caso, raccontando del proprio metodo di lavorazione, Albert Serra ha dichiarato di aver mentito ai propri collaboratori, dicendo di voler girare l'opera in 1.66:1 e poi realizzandola nel formato 2.39:1 con cui possiamo ammirarla, stravolgendo completamente il senso delle composizioni e del quadro. 

 

Il tutto, ancora una volta, per ricercare l'avanguardia e rifuggire i cliché, anche sotto un profilo tecnico.

 

 

[Tra i premi vinti da Pacifiction c'è anche il Premio César per la fotografia di Artur Tort]

 

 

Girando in digitale con tre operatori e dirigendo gli attori attraverso indicazioni a volte spiazzanti fornite in cuffia, Albert Serra si è imbarcato in un progetto di ricerca dell'organicità della sua opera del tutto unico nel panorama cinematografico odierno. 

 

"Io lavoro con tre operatori. 

Il primo, che è anche Direttore della Fotografia, sa esattamente quello che voglio. Gli altri due li scelgo coscientemente secondo questo criterio: il secondo deve sapere solo il 50% di ciò che desidero e il terzo non deve sapere assolutamente nulla. 

In questo modo ciascuno coglie dettagli diversi e del tutto non programmabili, che possono servirmi per rendere organica la mia opera".

 

A questo punto della recensione vi sarete resi conto di quanto puntualmente l'autore voglia ritornare sul concetto di organicità nei suoi film. 

 

Il suo lavoro di ricerca paga in effetti eccellenti dividendi, distogliendo completamente lo spettatore dal senso di verosimiglianza dell'opera e rendendo Pacifiction un'autentica esperienza a tutto tondo.

 

 

[Mostrare ciò che gli attori vogliono nascondere: una delle idee perseguite da Albert Serra in Pacifiction]

 

Tra gli snodi principali della trama vi è, ad esempio, la presenza di un sottomarino francese nelle acque di Tahiti, che riemergerebbe ogni notte per accogliere delle prostitute locali. 

 

Lo spettatore si ritrova tanto assorbito dal ritmo ipnotico dell'opera - e dall'assurdità di alcuni personaggi che si susseguono sullo schermo - da dimenticarsi dell'assoluta improbabiltà di un simile assunto. 

Davvero lo stato francese potrebbe permettere la spesa di centinaia di migliaia di euro per il piacere dei propri soldati?

Certo che no. Ma appunto, non è questo il focus di Pacifiction

 

La pellicola si concentra al contrario sulla possibilità di creare un risultato così organico da riuscire a nascondere in bella vista le proprie incongruenze: l'intento, dichiarato sin dal titolo, è quello di creare una finzione confinata dentro quell'ovattato paradiso terrestre sull'Oceano Pacifico, nascondendo delle briciole di verosimiglianza nei dettagli.

 

 

[Una clip officiale del film in cui emerge la natura composita di Pacifiction: un film in cui la danza tribale è decisamente in primo piano rispetto alla politica, anche a livello concettuale]

 

 

Nel lunghissimo monologo principale di Monsieur de Roller l'intento anti-realista e apolitico dell'autore emerge in tutta la sua evidenza: il protagonista paragona la politica a una discoteca, i cui avventori si muovono scomposti e sudati, mentre il suo compito è quello di accendere le luci, fermare le danze e mostrare quanto ridicoli siano tutti i figuranti a centro pista.

 

Nella successiva sequenza che rimanda chiare eco da Querelle de Brest, sulle note psichedeliche composte da Marc Verdaguer si incrociano tutti gli improbabili personaggi che abbiamo potuto incontrare lungo l'opera, che si mescolano come figurine nella celebrazione della paradossalità del loro intreccio.

 

La rappresentazione dei personaggi di potere - per certi versi simile a quella catatonica che Nicolas Winding Refn ha reso celebre nelle sue opere - rende però vacuo anche l'intento del protagonista: perfino in un mondo irreale e sconclusionato come quello di Pacifiction, il disagio è la componente dominante, le tragedie sono ineluttabili e probabilmente nessuno è davvero in grado di accendere la luce.

 

[L'intrigo geopolitico secondo Pacifiction: solo un modo diverso di mostrare i muscoli] 

 

 

Malgrado la sua natura fortemente respingente, Pacifiction è stato designato Film della Critica dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani (SNCCI), inanellando l'ennesimo grande riconoscimento di un percorso tutt'altro che lineare, ma al contempo pieno di soddisfazioni. 

 

Presentando il suo film in una delle anteprime italiane, Albert Serra ha detto: 

"Siete fortunati perché state per vedere quello che è universalmente considerato il mio miglior film. 

Nel caso in cui non lo sappiate, il film dura 2 ore e 45 minuti. La buona notizia è che sono quasi tutti unanimi nel dire che l'opera contiene almeno 45 minuti ottimi.  

 

Per vostra sfortuna quelli sono gli ultimi 45 minuti del film, prima dei quali ci saranno i miei tanti, soliti, momenti di disagio". 

 

Raramente potrete incontrare un regista al contempo così interessato a frustrare lo spettatore, ma al contempo così concentrato sul fornirgli qualcosa di mai visto prima.

 

In ogni caso, a questo stravagante regista catalano non manca di certo la lucidità: al fine di raggiungere la propria compiutezza, Pacifiction sarà decisamente esigente nei vostri confronti.

Raggiunta la fine, però, non potrete negare in alcun modo la natura organica - e quasi oppressiva - della visione. 

 

In ogni caso una cosa è sicura: una volta che l'avrete visto non dimenticherete mai Pacifiction.

 

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