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Final Destination Bloodlines - Recensione: chi non muore si rivede

Dopo 15 lunghi anni Zach Lipovsky e Adam Stein rimettono mano, con tanta passione ma ben poca innovazione, a una delle saghe horror più iconiche degli anni 2000

Final Destination Bloodlines è un film diretto da Zach Lipovsky e Adam Stein su sceneggiatura di Jon Watts, sesto capitolo di una delle saghe simbolo del nuovo orrore d'inizio secolo.

 

Volessimo imbastire, così su due piedi e a grandi linee, un’analisi quanto più possibile oggettiva riguardo la (ri)nascita del Cinema horror a cavallo del nuovo millennio, uno dei primi titoli che istintivamente balzerebbero subito all’occhio del nostro filmico cuoricino sarebbe certamente quello di Final Destination.  

 

[Il trailer di Final Destination Bloodlines]

 

 

Una saga storica, apicale e a dir poco imprescindibile; la quale, più nel bene che nel male, tra alti e bassi – quali e quanti lo lascio decidere a voi – ha avuto il grande merito di saper raccogliere gli scampoli di quei timidi brividi ancora superstiti dagli ultimi tremolanti fuochi degli stanchi anni '90 per trascinarli di peso fuori dalla desolante palude teen nella quale stavano seriamente rischiando d’impantanarsi, traghettadoli così verso una dimensione decisamente più matura e dichiaramente post-moderna.

 

Niente male per quella che in origine, secondo la penna – ma soprattutto l’ancora giovane e incosciente passione – di un misconosciuto Jeffrey Reddick avrebbe dovuto divenire nulla più che una delle tante sceneggiature speculative destinate a dar televisivo corpo a una delle innumerevoli puntante facenti parte della gloriosa lore di X-Files.

Salvo poi cadere nelle lungimiranti grinfie di un'allora floridissima New Line che, con in tasca solamente una delle sue proverbiali intuizioni e una modesta iniezione di danarosa linfa, scrivi che ti riscrivi, allunga che ti riallunga, si ritrovò infine con uno script di novanta paginette fra le mani e un pensiero fisso nella testa: “Sai che c’è? Qui si sta per fare la Storia!”

 

La critica, come ben sappiamo, in origine non fu affatto clemente con quello che sarebbe stato il decennio di tiratura, dal 2000 al 2011, dei ben cinque capitoli che avrebbero costruito la meritatissima fama di Final Destination.

 

Ma noi, che all’epoca di cinema ancora non scrivevamo ma già assai ne consumavamo, intuimmo subito che, in barba ai parrucconi da TV Sorrisi e Canzoni, qualcosa di nuovo e potenzialmente straordinario stava per apparecchiarsi dinanzi ai nostri vispi occhietti da Millennials.  

 

 

[Brec Bassinger protagonista del focoso incipit di Final Destination Bloodlines]

 

 

Un progetto, quello di Final Destination, benedetto dallo scoccare del nuovo secolo e che, più per tragedia che ironia della sorte, con quell’ormai iconico incidente aereo a bordo del disgraziato volo 180 in apertura delle sue accidentate danze avrebbe inquietantemente predetto ciò che, di lì a un indelebile annetto, sarebbe accaduto paro paro al cuore pulsante del tracotante e impreparato Mondo Libero.

Coincidenze? Tutto può essere.

 

Anche se, come i cari vecchi Simpson ci insegnano, a fantasticare, soprattutto entro i confini di uno schermo, spesso e volentieri si rischia seriamente di vedere molto molto lontano.

Va detto tuttavia che questa saga – che, alla lunga, è divenuta una vera e propria sagra – della sfiga simbolo del nuovo Cinema de paura degli anni 2000 ha finito per trovare la propria iconica e forse unica vera protagonista degna di nota in quell’occulta Nera Signora da tutti temuta nonché conosciuta con il nome di Morte.

 

Esatto, proprio lei: quella Cupa Mietitrice di falce armata e, a quanto pare, per gli scacchi assai edotta; rappresentata per la primissima volta in vita – pardon, in morte – sua alla stregua di un rigido, inflessibile e metodico ragioniere disposto a tutto – anche ai più creativi, truculenti e improbabili deus ex machina – pur di far quadrare gli ultramondani conti che compongono il proprio insondabile Progetto. 

 

D’altronde com’è che si dice? “Per pagare e morire c’è sempre tempo”, giusto? 

Diciamo pure che la Prima Donna (in Nero) al centro di Final Destination non ha mai dato adito di pensarla in questi termini…  

 

Comunque sia, ridendo e scherzando – e, nel mentre, filmicamente languendo – era ormai da quasi quindici anni che questo ormai cultissimo memento mori cinematografico non bussava ai nostri grandi e piccoli schermi per farci sapere di essere ancora morto e vegeto; nonostante le costanti e accorate rassicurazioni di quell’allora già acciaccato – e ormai compianto – Tony Todd che, seppur in qualità di obitoriale cameo,  proprio della cosmogonia di Final Destination sarebbe divenuto fin da subito uno dei volti più amati, venerati e immediatamente riconoscibili.  

 

 

[Se un diamante è per sempre, un dito non lo è di certo in Final Destination Bloodlines]

 

 

Mai dire mai, tuttavia. 

 

È così che, grazie a un certosino lavoro di scripting – rimasto a lungo in modalità Top Secret – compiuto a quattro mani da Guy Busick, Lori Evans Taylor e, udite udite, nientemeno che dall’ormai spider(Man) dipendente Jon Watts questo tanto chicchierato Final Destination Bloodlines ha potuto finalmente vedere la proverbiale luce in fondo a quell’altrettanto proverbiale tunnel nel quale un po’ tutti lo davamo ormai bello che (s)perduto.  

 

Sequel? Certo che sì. 

Reboot? Ovvio come la mOrte e le tasse. 

Remake? Per forza di cose, seppur solamente nello spirito.

Anche perché, così come Zach Lipovsky e Adam Stein – già autori di quel piccolo misconosciuto gioiellino (anti)supereroistico di Freaks, così come pure del modestissimo live action dinseychanneliano su Kim Possibile – ben sanno, i tempi, le mode e soprattutto i generi sono ormai irrimediabilmente cambiati.

 

Ciononostante, quantomeno per ciò che concerne la sua intera esplosiva sequenza d'apertura, Final Destination Bloodlines rivela anzitempo e tutt'altro che a sopresa la propria intrinseca natura di sano e onesto prequel.

 

Tutto ha infatti inizio in una radiosa e cromata mattina di un canterino – ma già potenzialmente disgraziato – 1968, durante la quale la bella e giovane Iris (Brec Bessinger), fresca di proposta di matrimonio avanzatale a sorpresa dall'impomatato compagno Paul (Max Lloyd-Jones), grazie alla solita apocalittica premonizione giunta nel posto giusto e al momento giusto riuscirà per il rotto della cuffia a mettere in salvo sé stessa e il nutrito gruppetto d'incauti avventori accorsi a centinaia di metri d'altezza per presenziare all'inaugurazione della prestigiosa Skyviewer Restaurant Tower.

 

Un inizio coi fiocchi, non c'è che dire; il quale, apostrofato non certo casualmente dalle spensierate note di Raindrops Keep Fallin' On My Head di BJ Thomas, contribuisce a mettere fin da subito le cose in chiaro facendoci ben comprendere, più che mai letteralmente, da che piano stavolta s'intende cascare. 

Balzo in avanti di ben mezzo secolo e ci ritorviamo dunque al cospetto della vera protagonista di questo Final Destination Bloodlines, ovvero la tribolata studentessa fuorisede Stefani (Katlyn Santa Juana) che, in qualità di nipote della fu provvidenziale sibilla di qui sopra, da lungo tempo è attanagliata da terribili incubi aventi come oggetto lo scampato disastro del summenzionato - e incriminato - locale panoramico nel quale parecchia gente avrebbe potuto e dovuto perdere malamente la vita.

 

Avrete forse già intuito dove si andrà a brevissimo a parare, vero? Bene, pazientante e le vostre intuizioni saranno certamente saziate; così come d'altronde quelle della nostra bella e dannata Stefy.

 

 

[Un funerale tira l'altro in Final Destination Bloodlines]

 


Tornata al periferico ovile per ricongiungersi cok padre Marty (Tinpo Lee), il fratellino Charlie (Teo Briones) nonché zii e cuginetti assortiti, la nostra figlia d'arte e presentimenti deciderà di far luce una volta per tutte su questi terrificanti vaticini che le rendono assai spiacevoli tanto le notti quanto i giorni; andando a trovare direttamente a domicilio quella cara, vecchia e sopravvissuta nonnia (Gabriele Rose) della quale, all'atto pratico, non sa di fatto nulla di nulla.

 

Quest'ultima, rea di aver cresciuto la propria prole – compresa la desaparecida Darlene (Rya Kihlstedt), madre dimissionaria di Stefani – all'insegna di una paranoia suvuvalista che nemmeno la Jamie Lee Curtis del miglior Halloween si sarebbe mai sognata – vive infatti da anni reclusa nel buco dello sfintere del più profondo nulla; asserragliata in una blindatissima catapecchia protetta da recinzioni, palafitte e altri contudenti strumenti di deterrenza che non avrebbero certo sfigurato quale antifurto del Fosso di Helm, così come alle porte della famigerata Cittadella di Mad Max: Fury Road.

 

Proprio alla corte di questa sua ruvida e incattivita consaguinea la terrorizzata Stefani verrà a conoscenza del famigerato Segreto di Pulcinella che cova sornione fin dalle prime battute di questo Final Destination Bloodlines: il solito infingardo piano della Morte che prevede stavolta di accoppare malamente e senza troppi complimenti tutti i discendenti di coloro i quali scamparono a tradimento a quel primo sessantottino rendez-vous

Una sanguinaria filosofia non poi così differente da quella del Buon Dio del Vecchio Testamento; con l'unica fondamentale differenza che per la nostra Woman in Black le fantomatiche bloodlines da castigare non parebbero proprio destinate a fermarsi alla canonica settima generazione.

 

D'altronde se si è disposti a chiudere un occhio o, all'occorrenza, a deflagrare un pestifero bambinello a nemmeno cinque tocchi di lancetta dai titoli di testa, allora state pur sereni sul fatto che niente potrà davvero stupire troppo d'ora in avanti.

 

 

[La morte non si fa certo prendere per il naso in Final Destination Bloodlines]

 


Destreggiandosi tutt'altro che agevolmente nel mezzo di inevitabili redcon, easter egg a misura di fan service, simpatiche strizzatine d'occhio alla mortifera lore dell'intera saga – piazzate appositamente per saggiare tempra e cultura degli aficionados più incalliti – nonché di un carosello di "accidentali" e gustosamente truculente dipartite nient'affatto malvagie, la nostra predittiva eroina e il suo sempre più sparuto manipolo di resiziali affetti dovranno cercare di battere ancora una volta sul tempo gli oscuri piani della Cupa Mietitrice.

 

Ben consapevoli del fatto che, come cinque esaurienti capitoli dovrebbero ormai averci ben insegnato – sempre per bocca del criptico William "Tony Todd" Bludworth – due soli parrebbero i modi per fregare il suo implacabile mortal delivery: il sacrificio di una vita per una vita o, alla peggio, una morte apparente con imminente indotta resurrezione. 

La morale, in fondo in fondo, è sempre quella: far merenda con Girella e dar sempre retta a quelle subliminali e insidiose red flag che in più di un'occasione possono letteralmente salvarci la vita.

 

Non è dunque un mistero che, in barba ai fior fior d'ingannevoli annunci e timide indiscrezioni che nel corso degli ultimi anni han fatto più volte subodorare un deciso cambio di rotta, Final Destination Bloodlines si è rivelato infine né più né meno che la perfetta prosecuzione dell'infausto mood, dell'irriverente spirito e del grandguignolesco stile tipico di un franchise che ormai abbiamo imparato col tempo a (ri)conoscere e apprezzare pur con tutti i suoi limiti e connaturate ingenuità .

 

 

[Tony Todd nella sua ultima lotta con la Nera Signora in Final Destination Bloodlines]

 

 

Il film che un po' tutti ci aspettavamo e che, in cuor nostro, speravamo di vedere; il quale, fosse stato concepito e filmato in una tale forma nel 2005 così come nel 2015 non avrebbe oggettivamente fatto molta differenza.

 

Nel cinema così come nella vita "chi lascia la strada vecchia per quella nuova, sa quel che lascia ma non sa quel che trova!"

Dopo gli eccessi a tre dimensioni del quarto cacofonico capitolo e l'autoironico too much della quinta reiettata puntanta, la regia di onestissimo mestiere – e a tratti decisamente ispirata – di Lipovsky e Stein ci regala una sesta (dis)avventura tutto sommato seplice, diretta, circolare come da ormai consolidata tradizione nonché perfettamente in grado di filare liscia come l'olio  o come il sangue se preferite  sino all'ultimo dei suoi cento ritmati e ben dosati minuti.

 

È davvero curioso notare come, da un certo punto di vista, con questo nuovo Final Destination Bloodlines si assista a una sorta di fiero e consapevole ritorno alle origini; prediligendo una narrazione più asciutta e senza troppi fronzoli condita con un bouquet di simpatiche, genuinamente gustose e assai elaborate dipartite stavolta decisamente più "credibili" del solito pur nella loro conclamata implausibilità d'ordinanza. 

 

Se tuttavia la sceneggiatura di Watts & Company possiede l'indubbio merito quantomeno di tentare di rimescolare un minimo le solite mortifere e ormai rodate carte in tavola, altrettanto vero è che, se la matematica non è ancora divenuta una questione d'opinione, pur modificando l'ordine degli addendi il risultato finale difficilmente potrà cambiare così radicalmente, giusto?

 

 

[La Cupa Mietitrice è il vero idolo di Final Destination Bloodlines]

 

 

Ci vuole infatti ben poco per rendersi conto di come, senza scomodare i soliti maxi tamponamenti a catena, crolli strutturali su larga scala, barbecue del malaugurio, montagne russe in carenza manutentiva e lettini abbronzanti dal carattere decisamente focoso, in questo frangente basti solo il coccio di vetro sbagliato al momento più sbagliato possibile per ravvivare un tantinello un altrimenti risaputo e, alla lunga, stiracchiato ingranaggio. 

 

Dimostrando una volta per tutte quanto Final Destination Bloodlines valga alla fine ben più di quel modesto nichelino che, così come la celeberrima bottiglietta d'acqua co-protagonista dell'esagitato Bullet Train di David Leitch, un ruolo assai importante finirià per assumere nel destino di questa godereccia filmica carneficina.

 

"La vita è preziosa, dunque assaporatene ogni momento!".

Una massima stranamente più consolatoria e in un certo qual modo propositiva del solito. 

Certamente ben più accomodante rispetto all'ormai canonica tagline che da ormai due decenni ci mette puntualmente in guardia sul fatto che "La morte non può essere corrotta né tantomeno ingannata".

 

Ancor più strano, e in un certo senso persino inquietante, se a pronunciarla  seppur per meno di cinque minuti complessivi  è nientemeno che un emaciato ma pur sempre tenebroso Tony Todd destinato di li a poco a scrutare realmente e definitivamente in volto quella più volte evocata Nera e Trista Signora. 

Da brividi,vero?

 

Sarà un caso, il destino o pura e semplice coincidenza, sta di fatto che, pur con tutta la forza e lo humor nerissimo provenienti da un più che mai azzeccato unhappy ending, ciò che realmente inqueta in quest'ultimo Final Destination Bloodlines non è tanto l'atavica e fisiologica paura della Morte che un'opera come questa è in grado di evocare e cinematograficamente esorcizzare.

Men che meno la creativa e grandguignolesca cattiveria con la quale la diretta interessata è solita anche stavolta reclamare il proprio insindacabile debito di sangue.

 

Ciò che rende Final Destination Bloodlines un racconto genuinamente raggelante è la consapevolezza che uno dei suoi volti più iconici e amati si trovi ora al cospetto di colei che, seppur all'interno di un disgraziato universo di celluloide, per ben un quarto di secolo ne ha fatto il proprio sibillino e provvidenziale advertiser.

Anche se, come sbaitava a suo tempo quel giovane addetto al volantinaggio nel mezzo di quel predestinato terminal del malaugurio giusto al principio degli anni 2000, "La morte non è la fine!".

 

Poiché dunque solitamente tendo a dar parecchio credito ai matti del villaggio così come a quelli di un qualsivoglia aeroporto, sono pronto a scommetere quel sopracitato nefasto nichelino che nemmeno quest'ultimo capitolo sarà davvero l'ultimo.

Box office permettendo, ovviamente!

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