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Disco Boy - Recensione: ho danzato con l'altro - Berlino 2023

Recensione dell'esordio di Giacomo Abbruzzese, dalla 73ª edizione del Festival Internazionale del Cinema di Berlino

Disco Boy è l'unico film italiano in concorso alla 73ª edizione del Festival Internazionale del Cinema di Berlino: l'opera affonda la maggior parte delle proprie radici estetiche al di là delle Alpi (e al di là dei giudizi di valore in questo senso), sia che si voglia passare il Brennero sia che si preferisca il Monte Bianco. 

 

Riecheggiano il Cinéma du Look - Leos Carax in testa - e alcune rotture à la Gaspar Noé, così come una rarefazione, nel ritmo e nella concezione formale, affine alla Berliner Schule e ai padri putativi dei suoi esponenti. 

 

Sul piano più strettamente discorsivo Giacomo Abbruzzese - qui nel lungometraggio d'esordio - fa propri dei modelli orientati decisamente altrove: il suo Disco Boy non è un film di genere, ma la sua matrice concettuale è in parte rinvenibile, più che in una patina stilistica che comunque tenta di creare significati ulteriori, in quell'eterogeneo filone in cui spiccano Ho camminato con uno zombi e, in tempi recenti, prove come Scappa - Get Out e Zombi Child.

 

Il campo di riferimento è fin troppo ampio; ciononostante la pellicola ha come principale intento proprio la creazione di un ragionamento (estetico e politico) emancipato dal tradizionale registro impegnato, invero non più incisivo di opere che, d'altra parte, hanno saputo incarnare filmicamente delle istanze (o meglio, delle visioni del mondo) altrimenti schiacciate dal didascalismo proprio operando sull'interazione tra forma e contenuto più che esclusivamente sul secondo polo.

 

[Il trailer di Disco Boy]

 

 

Seguendo il tentativo di emigrazione clandestina del bielorusso Alexei (Franz Rogowski) in terra transalpina e il successivo periodo (forzato) nella Legione straniera, Abbruzzese affronta il tema dello sradicamento, apparentemente diviso - nel quadro del susseguente emergere di una sofferenza - tra imposizione e auto-imposizione ma in fin dei conti esaurito, al netto della superfice, dal primo caso.

 

Lo schema risulta però complicato nella misura in cui il protagonista diventa ingranaggio dello stesso meccanismo che l'ha fagocitato, senza per questo perdere la propria individualità.

 

Al fondo possiamo forse rintracciare qualcosa di vagamente petzoldiano, specie se Christian Petzold è pure un cineasta che parla di fantasmi, di Gespenster: rivolgendoci a una filmografia piuttosto compatta, se Dafne Franceschetti e Luca Pacilio possono infatti scrivere ugualmente a ragione, rispettivamente, di Yella (il personaggio) come Ofelia e del cineasta tedesco come un "irriducibile umanista", si può magari capire meglio come forze strutturali e forze individuali possano, confrontandosi, dar vita a percorsi stimolanti.

 

In Disco Boy è il passaggio nella Légion étrangère - edificata, come ricorda l'iscrizione di Pascal Bonetti, sul "sang versé" - a fungere da banco di prova.

 

Alexei e commilitoni sono inviati in Nigeria per recuperare dei connazionali tenuti in ostaggio da un gruppo locale, che imbraccia le armi ribellandosi al (neo)colonialismo economico che ha deturpato la zona e che è guidato da Jomo, distinto dagli altri sia per il colore delle iridi sia per un'abilità nella danza che, in un'area priva di discoteche e pervasa da altri discorsi culturali, si realizza in una ritualità religioso-stregonesca tutta centrata sul corpo.

 

Espressione di una concettualità diversamente mediata e legata a doppio filo all'aprirsi (politico) degli occhi - iconograficamente nodali - di Jomo e compagni, nel quadro di un processo più ampio che, come vedremo, riguarderà anche il protagonista. 

 

Non che le discoteche e i discorsi culturali occidentali siano del tutto assenti: le prime sono richiamate dalle ottime composizioni di Vitalic che Abbruzzese colloca ambiguamente - forse appoggiandovi troppo la partitura sentimentale del film - sul confine tra diegetico/extradiegetico, i secondi si insinuano parzialmente, rischiando di minare l'efficacia comunicativa, nelle forme di un etnocentrismo che comunque scalfisce la rappresentazione della banda.

 

 

[Franz Rogowski in Disco Boy]

 

 

Giunto sul delta del Niger, Alexei si trova catapultato di fronte a un villaggio in fiamme che nulla ha a che fare con la missione della sua squadra e - insieme, su un piano più basilare ma non meno rilevante - di fronte a dei nemici che per lui nemici non sono (oltre a uno specifico casus belli individuale - certo un'eccezione in ambito militare - manca pure un'eventuale spinta ideologica e/o emozionale così connotante).

 

Dalle strade imboccate in questi crocevia - e per poterle imboccare la chiave è anche visiva, e di visori - dipende il resto del film, con un'eco che lo traghetta cinematograficamente in territori più sfumati (anche in termini nazionali, come si accennava), meno ancorati al realismo e aperti all'incorporazione di istanze contenutistiche diverse, alla loro concretizzazione narrativa, tramite strategie affascinanti ma non sempre risolte.

 

Anche in questo caso emerge il livello corporeo, poi segnatamente percettivo in senso onirico-paranoico: passato per un disciplinamento militaresco che è anche disciplinamento politico, Alexei - che fuori dalla Legione è un "fantasma" - vede alterato il proprio rapporto con il mondo su più fronti.

 

Non può cantare Non, je ne regrette rien perché colpito dal più classico dei disturbi da stress post-traumatico (su cui, pure, si potrebbero innestare letture feconde), può solo andare lì dove il disco boy Jomo avrebbe fatto faville e, insieme, reinventare una storia, essere reinventato: tra spie concretissime come un mal di ginocchio e squarci in merito a cui domandarsi lo statuto di realtà pare sterile, un nuovo ponte franco-(bielorusso)-nigeriano sorge in pista.

 

Sarà - e la domanda è rivolta al fruitore, non al regista, che ha già dichiarato il suo intento - un altro scempio ambientale, il principio di un'invasione magari in direzione opposta, oppure il germoglio di un ordine altro, di un ordine fondato sull'altro?

 

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