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La commedia italiana in costume: da Il marchese del Grillo a Il Principe di Roma

Il nuovo film di Edoardo Falcone e il ricordo di alcune grandi commedie italiane in costume del nostro Cinema

Il Principe di Roma di Edoardo Falcone è una commedia in costume orgogliosamente popolare. 

 

Presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma 2022, Il Principe di Roma è ispirato al Canto di Natale di Charles Dickens e racconta la storia di Bartolomeo (Marco Giallini), un ricco e avido nobile romano del 1829 alle prese con un viaggio mistico alla scoperta di sé.

 

Il regista attinge ad alcune fasi del nostro passato cinematografico, artistico e letterario per costruire una storia semplice e dal carattere universale, contaminata da una serie di riferimenti al genere - la commedia italiana in costume - che è di fatto un filone dai confini sfumati al quale appartengono differenti declinazioni.

 

[Il trailer ufficiale de Il Principe di Roma]

 

 

L’habitus del costume arcaico nel Cinema italiano ha origine nei kolossal di età giolittiana che cercavano di rappresentare storie dell’antichità sul grande schermo, gettando le basi per la costruzione del mito della romanità che il regime fascista adottò come strumento simbolico per descrivere la propria specificità politica.

 

L’apice di questo periodo fu sicuramente toccato da Quo vadis? di Enrico Guazzoni, opera fondamentale per lo sviluppo del genere che venne poi riproposta da Mervyn LeRoy con il suo pluripremiato e immortale rifacimento. 

A partire dagli anni ‘50 infatti tale consuetudine si ampliò nel contesto del peplum, della massiccia produzione di film hollywoodiani negli stabilimenti di Cinecittà e della nascita dei cosiddetti cappa e spada, film focalizzati principalmente sul racconto medievale e rinascimentale.

 

Questa tipologia di Cinema ricreava visivamente le gesta cavalleresche letterarie attraverso uno stile libero e violento senza dimenticare di preservare la dimensione dell’avventura finalizzata all’evasione tramite l’introduzione di scenette comiche divertenti, a volte persino in forma di parodia.

 

 

[Il sogno di Zorro di Mario Soldati parodizza la grandiosità di Zorro, personaggio archetipo dei cappa e spada apparso nei romanzi pulp di Johnston McCulley]

 

 

Non a caso, al quasi tramonto del genere corrispose l’inizio di una grande stagione nel Cinema nostrano - la commedia all'italiana - che, seppur estremamente lontana dalle finalità della commedia generica, partorì casi cinematografici singolari di stampo satirico e con ambientazione storica.

 

L’esempio più emblematico è certamente L’armata Brancaleone, commedia fatta e pensata dal Maestro del filone Mario Monicelli per il grande pubblico e nel quale il grande pubblico, ancora oggi, riesce magicamente a riconoscersi.

 

Un film che ha saputo raccontare il popolo italiano attraverso una banda di anarchici e strampalati mezzi eroi provvisti di cappe, cavalli e spade; così incisivo nell’immaginario nazional-popolare da riuscire ad entrare addirittura nel dizionario italiano.

 

Il Principe di Roma assorbe indubbiamente l’eredità di un cult di tale portata e, per quanto effettivamente distante dall’opera, sembra in qualche modo consapevole del grande lavoro compiuto da Monicelli tanto nella raffigurazione di un eroe-uomo comune, impersonato da uno straordinario Vittorio Gassman, quanto nella rappresentazione di un Medioevo carnevalesco.

 

 

[Una scena de L'armata Brancaleone con Vittorio Gassman Gian Maria Volonté]

 

 

Molte commedie in costume, così come fa indirettamente Il Principe di Roma, attinsero alla letteratura e al teatro con l’obiettivo di attualizzare in senso critico alcuni aspetti presenti nelle opere originali: La bella mugnaia di Mario Camerini, ispirato al romanzo Il cappello a tre punte di Pedro Antonio de Alarcón, racconta le vicende di Luca (Marcello Mastroianni) e Carmela (Sophia Loren), due mugnai che nel corso dell’occupazione spagnola, in una Campania oppressa da tasse e imposte di varia natura, approfittano dei propri privilegi subendo non poche conseguenze.

 

A maggior ragione è nel contesto del teatro, luogo in cui notoriamente si sono sviluppati i principali luoghi comuni narrativi riproposti nelle storie destinate al grande schermo, che anche un film contemporaneo come Il Principe di Roma trova alcuni interessanti riscontri.

 

Infatti, il personaggio di Teta (Giulia Bevilacqua), governante del ricco Bartolomeo, rappresenta la rielaborazione cinematografica del celebre topos, presente in numerose opere teatrali tra cui ovviamente La locandiera di Carlo Goldoni, della servetta desiderata dal nobile marchese.

 

 

[Teta, il personaggio interpretato da Giulia Bevilacqua ne Il Principe di Roma]

 

 

L’associazione film in costume-teatro diede vita anche a opere più controverse come La mandragola di Alberto Lattuada che infatti contribuì suo malgrado allo sviluppo del decamerotico (film semi-erotici ambientati nel tardo medioevo italiano) sfociato poi in un sotto-filone meno colto rappresentato appieno da Quel gran pezzo dell’Ubalda tutta nuda e tutta calda di Mariano Laurenti.

 

Il Principe di Roma prende enormemente le distanze dalle derive decamerotiche del genere e, anzi, sembra più che altro guardare a un mito oltremodo consolidato nell’immaginario comune, soprattutto nella costruzione del suo cinico e sfacciato protagonista.

 

Tocca scomodare, ancora una volta, il grande Mario Monicelli perché il protagonista de Il Principe di Roma sembra voler replicare il Marchese Onofrio del Grillo, Duca di Bracciano, Guarda Nobile e Cameriere Segreto di Sua Santità Pio VII.

 

Senza scadere nel mero citazionismo, Edoardo Falcone costruisce una figura simile all’eterno personaggio di Alberto Sordi, soprattutto nell’atteggiamento sprezzante della nobiltà verso il popolare.

 

[Una delle scene più famose de Il marchese del Grillo]

 

 

Certamente il Sor Meo di Giallini ne Il Principe di Roma è svuotato della dimensione dello scherzo come strumento per far fronte alla noia e non presenta alcuna volontà di ribaltamento sociale.

 

Egli non è minimamente interessato a mostrare le ipocrisie della società, anzi il suo scopo è quello di approfittare di un privilegio, stabilendo la sua posizione di prestigio nei confronti di un popolo al quale non vuole affatto appartenere.

Entra in gioco in questo senso l’ottima capacità dell'attore romano, già confermata in non poche performance precedenti a questa, di indossare la maschera del burbero uomo di potere, uno Scrooge dickensiano che bofonchia frasi in dialetto romanesco e che nasconde in profondità un animo buono e sofferente.

 

Dunque, a Il marchese del Grillo Edoardo Falcone attinge anche per quanto riguarda la messa in scena, esasperando la comicità di alcuni elementi tipici del film storico come la ghigliottina e la caratterizzazione di alcuni subordinati alla nobiltà tra cui il fedele cocchiere del marchese (qui Gioacchino interpretato da Antonio Bannò) e l’amministratore di denaro (nel film è Duilio, interpretato da Massimo De Lorenzo).

 

Tutto ciò ambientando la sua storia nella stessa Roma papalina, a soli 20 anni di distanza dai fatti raccontati da Monicelli, non mancando di inserire la rivoluzione giacobina simboleggiata a livello narrativo dal ribelle Eugenio (Andrea Sartoretti).

 

 

[Marco Giallini e Sergio Rubini ne Il Principe di Roma interpretano rispettivamente il marchese Bartolomeo Proietti e il Principe Accoramboni. Due individui ai quali paradossalmente lo stesso Onofrio del Grillo farebbe con piacere qualche pesce d’aprile]  

 

 

A partire dagli anni ‘80 il costume nella commedia italiana è riscontrabile in poche produzioni, alcune delle quali figlie di cicli comici di lunga vita e grande successo come Superfantozzi, altre in grado di confermarsi film di culto per generazioni e generazioni di spettatori come Non ci resta che piangere.

 

Il film scritto, diretto e interpretato da Roberto Benigni e Massimo Troisi ha poco in comune con Il Principe di Roma, eccetto le modalità comico-dialettiche che dominano l’intera narrazione e la rievocazione esplicita di personaggi storici realmente esistiti. 

Anche Falcone infatti inserisce nomi noti del nostro passato all’interno del suo film, ma al contrario di Non ci resta che piangere sceglie di raccontarli attraverso il Canto di Natale di Charles Dickens, un romanzo che ha già ispirato centinaia di versioni teatrali e più di 50 adattamenti cinematografici, televisivi, radiofonici e fumettistici.

 

Un Canto che qui, grazie a un’ottima intuizione del regista e degli sceneggiatori Paolo Costella e Mario Martani, viene privato della sua dimensione natalizia attraverso la rielaborazione di un ulteriore topos - tipico di un certo Cinema della festività, vedi La vita è meravigliosa - che volge la propria attenzione al percorso di rinascita affrontato da un personaggio irrisolto.

 

Nel tentativo dunque di romanizzare ulteriormente l’opera rivestendola di un umorismo buffo, ne Il Principe di Roma Falcone fa incontrare a Bartolomeo i suoi fantasmi del presente, del passato e del futuro.

 

C’è Beatrice Cenci (Denise Tantucci) che, consapevole del proprio destino di parricida, invita il protagonista a riscoprire le proprie origini; Giordano Bruno (Filippo Timi) che con il suo sarcasmo da filosofo naturalista rinascimentale mostra il presente sotto diverse prospettive e infine il nepotista libertino Papa Alessandro VI Borgia (Giuseppe Battiston) che profetizza a Bartolomeo un futuro di morte e solitudine.

 

 

[Filippo Timi nei panni di un inquietante e spettrale Giordano Bruno ne Il Principe di Roma]

 

 

Altri fantasmi riecheggiano - senza effettivamente palesarsi - nell’Urbe de Il Principe di Roma: tra Cagliostro, avventuriero ed esoterista condannato dalla Chiesa cattolica per eresia, e Nerone, uno dei più controversi imperatori romani della Storia. 

 

Non a caso Falcone tenta di costruire una coerenza nell’ambientazione anche attraverso lo studio delle stampe di Bartolomeo Pinelli, le stesse che ispirarono Pietro Cossa per la scrittura del suo dramma Nerone poi adattato in una versione cinematografica firmata da Luigi Magni e Arrigo Frusta.

 

D’altronde è lo stesso regista ad ammettere quanto il ricordo della visione di Nell’anno del Signore di Magni lo abbia ispirato nella realizzazione de Il Principe di Roma e quanto siano state fondamentali per l’elaborazione della messa in scena le opere di Gioacchino Belli, “miniera inesauribile di lunga, curiosità e tradizioni popolare", e le litografie di Antoine Jean Baptiste Thomas, “istantanee meravigliose di un tempo che non c’è più, ma che vive nella nostra memoria”.  

 

[Ne Il Principe di Roma è presente la canzone Vola vola l’aritornello, celebre stornello di Gabriella Ferri]

 

 

Il Principe di Roma prosegue quindi una tradizione di lunga durata riportando il costume nel Cinema italiano in chiave comica, così come hanno fatto alcuni progetti analoghi degli ultimi anni tra cui Moschettieri del re - La penultima missione e il relativo sequel, Il primo Natale e il più recente Il pataffio.

 

Rielaborando i codici stilistici dei suoi predecessori e dimostrando una sincera affezione al genere, Edoardo Falcone dà vita a una Roma preziosa e romantica in cui si rintracciano lo spirito disincantato del popolo, i misteriosi segreti dei vicoli della città e molti altri significativi archetipi della Capitale.

 

Il risultato è infatti un film gradevole e marcatamente popolare che, in equilibrio tra dramma e comicità, sottopone lo spettatore a una riflessione sulla vera nobiltà - quella d’animo - e sull’inestimabile valore degli affetti.

 

Il Principe di Roma sarà nelle nostre sale a partire dal 17 novembre, distribuito da Lucky Red. 

 

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