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Mi país imaginario - Recensione: sinfonia di libertà - Cannes 2022

La recensione dell'ultimo documentario di Patricio Guzmán, presentato al Festival di Cannes 2022 

Sono più di cinquant’anni che Patricio Guzmán utilizza la macchina da presa per raccontare il Cile, suo Paese Natale: Mi país imaginario rappresenta l’ultimo tassello di questa narrazione fatta di rivoluzioni, dittatori, speranza, morte e libertà.

 

La democrazia non è un traguardo né facile, né rapido, come stiamo vedendo nelle attuali dinamiche geopolitiche dei paesi dell’ex Unione Sovietica e come sa bene anche il Cile, nazione liberatasi da appena trent’anni dalla feroce dittatura militare di Augusto Pinochet.

 

Creare un substrato politico (e in certi casi addirittura civile) che possa muoversi pienamente all’interno di uno spirito democratico e progressista è una faccenda complessa: le abitudini autoritarie, repressive e inique sono difficili da dismettere, da eradicare dal cuore della politica.

 

 

 

 

Così, nonostante trent’anni di elezioni e apparente democrazia, il Cile si è ritrovato nel secondo decennio del duemila con una diseguaglianza sociale spaventosa, infrastrutture non funzionanti, privatizzazione di servizi essenziali come istruzione e medicina, oltre a una condizione di vita media ben al di sotto della dignità (al 2018 il 39% della popolazione viveva in condizioni di povertà e il 50% dei lavoratori guadagnava meno di 400 euro al mese).

 

L’insofferenza popolare è montata per anni, decenni, fino ad esplodere a Santiago il 7 ottobre 2019 a causa della - proverbiale - goccia che fa traboccare il vaso: l’aumento del prezzo della metropolitana di 30 pesos.

Da quel momento in avanti per due anni hanno avuto luogo le Estallido social, rivolte cominciate dai movimenti studenteschi, poi divampate anche nel resto della popolazione e culminate nella più grande manifestazione di piazza della Storia del Cile, quella di Plaza Baquedano che accolse un milione e duecentomila persone.

 

Il film di Guzmán come di consueto è dominato da un tono intimo e commovente, racconta le insurrezioni popolari - violente e non - attraverso le parole dei suoi partecipanti attivi (dimostranti, membri della croce rossa, giornalisti) e quelle di sociologi, storici e artisti cileni.

 

In Mi país imaginario osserviamo la sollevazione di un popolo intero che, libero da leader rivoluzionari e volti politici, alza il pugno contro la corruzione politica e i soprusi perpetrati da polizia e militari, insulso braccio violento utilizzato da un sistema ormai marcio. 

I selciati vengono quindi sbriciolati dalla folla per ottenere le pietre, uniche armi possibili contro i poliziotti che sparano proiettili di gomma ad altezza uomo, accecano i cittadini con gli idranti e affondano i manganelli fino al sangue.

 

 

[Lottare per la dignità: il milione e duecentomila manifestanti di Plaza Baquedano a Santiago]

 

La protesta del Cile è univoca e palesata in diverse forme espressive, ivi comprese la poesia, l’arte e gli slogan meravigliosi creati per le dimostrazioni cittadine.

Il ritmo delle pentole percosse, dei sassi sbattuti sui muri e dei motti scanditi da centinaia di migliaia di persone diventano così suoni di libertà, sinfonia del cuore di un Paese intero che esige la propria dignità.

 

Dietro alle sassaiole dei manifestanti si nascondono fiori, musiche, etnie differenti e volti sorridenti di una schiera infinita di giovani (e non) che lottano per diritti di cui, probabilmente, non fruiranno appieno: questa lotta è per il futuro, per i figli e le figlie del Cile di domani.

 

Perché la democrazia non è un processo facile né rapido.  

 

La chiusa di Mi país imaginario, fortunatamente, è generosa nel fornire prospettive positive per il futuro di una nazione martoriata: la modifica della “costituzione rotta” da parte di un'assemblea eletta direttamente dalle cittadine e dai cittadini del Paese sudamericano, oltre all’elezione a Presidente della Repubblica del giovane democratico Gabriel Boric, ci invitano alla speranza.

 

Toccante, coinvolgente, ben scritto e montato, l’ultimo documentario di Patricio Guzmán è un “Must See” da non perdere per nulla al mondo, sempre che qualcuno in Italia ci faccia la grazia di distribuirlo.

 

Biografilm Festival e Cineteca di Bologna, ora pro nobis, grazie.

 

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