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Red Rocket - Recensione: Bye Bye Bye Sogno Americano

Recensione di Red Rocket, il nuovo film di Sean Baker

Le abitazioni color pastello contornate dalle staccionate in legno, i vicini di casa che si aiutano a vicenda, ognuno con il proprio pezzettino di terra, la tanto sudata proprietà privata: quello di Red Rocket è il classico quartiere statunitense che abbiamo visto centinaia di volte al Cinema, il simbolo del Sogno Americano.

 

Quando però dietro la macchina da presa c’è Sean Baker, regista tuttofare che produce, scrive e monta i suoi film, uno che ha sempre raccontato il lato oscuro della luna dell’American Dream, allora le storie mostrate sono quelle di chi non ce l’ha fatta.

 

Di chi per sopravvivere ha dovuto il più delle volte vendere se stesso.

 

[Il trailer di Red Rocket]

 

 

In Tangerine le protagoniste erano due sex-worker transessuali, nello struggente Un sogno chiamato Florida una bambina la cui madre era costretta a prostituirsi per poter mantenere la figlia: in Red Rocket a diventare “oggetto” non è più il corpo, bensì l’immagine.

 

Mikey “Saber” Davis è un ex pornostar sull’orlo del fallimento, tornato nella tanta odiata Texas City dalla moglie - anche lei con un passato nel mondo del porno - per avere un posto dove dormire e rimettersi in carreggiata.

 

In un negozio di Donuts, Mikey si innamora della cassiera Suzanne, una ragazza di diciassette anni che non vede l’ora di lasciare la vita di provincia americana.

 

 

[Simon Rex, grazie alla sua prova in Red Rocket, ha vinto il premio come Migliore Attore Protagonista agli Independent Spirit Award]

 

Fuggire: Sean Baker ci aveva lasciati nel 2017 con la corsa agrodolce dei bambini di Un sogno chiamato Florida verso Disneyland e, cinque anni più tardi, sembra non essere cambiato nulla.

 

Resta il rosa delle case - così come era rosa il Motel del film precedente - resta la discrepanza in un raggio di pochi chilometri tra due status sociali, resta soprattutto quel senso di insoddisfazione per una nazione che ha abbandonato i propri cittadini a loro stessi.

Gli Stati Uniti che ci vengono mostrati in Red Rocket sono quelli del 2016, quando le campagne elettorali di Donald Trump e Hillary Clinton occupavano la maggior parte delle trasmissioni televisive.

Un Paese di critici e di censori - come sottolinea il futuro Presidente in uno dei suoi discorsi - pregno di contraddizioni e allo sbando totale.

 

Sean Baker, attraverso una mai velata ironia, mette alla berlina il periodo storico con una serie di immagini abbastanza esemplificative: cartine con la bandiere a stelle e strisce usate per fumare marijuana, programmi TV che fanno della violenza il loro punto di forza, fino ad arrivare ai nomi dei negozi per strada come Donut Hole.

 

 

 

 

Nel mondo di Red Rocket ogni cosa diventa merce, propensa a soddisfare quell’incessante desiderio di tutti noi di guardare ed esser guardati.

 

A Mikey Saber non resta perciò che vendere la miglior immagine di sé, quella della pornostar, l’unica possibile per sopravvivere; anche perché in un Paese come gli Stati Uniti per Mikey trovare un impiego “normale” è impossibile dato che il suo passato, secondo i datori di lavoro, andrebbe a rovinare l’immagine (!) dell’azienda. 

La scelta di far interpretare il protagonista a Simon Rex da questo punto di vista si instaura perfettamente nel cinema-verità cercato da Sean Baker, in quanto l’attore statunitense ha avuto davvero un passato da pornostar.

 

La realtà si fonde con la rappresentazione, dove tutto è pornografico - il sesso viene raffigurato con il linguaggio tipico de mondo del porno - risultando inevitabilmente normale, anche quando ci viene sbattuto in faccia, e non più volgare. 

La differenza tra un film porno amatoriale e le riprese di un catastrofico incidente stradale viene meno, perché in un “Paese di critici e censori” il nostro desiderio di diventare immagine - la voglia della moglie di Mikey di farsi intervistare dalla televisione  - supera ogni cosa.

 

Il sogno americano di Red Rocket si riconduce solo a una ipotetica speranza che trova nell’estetica del film (girato in pellicola 16mm) la sua idealizzazione, ma che nasconde uno squallore sociale desolante.

  

 

 

 

Le corse in bicicletta di Mikey tra il suo isolato e quello altolocato diventano il simbolo del film e di un personaggio, che anche di fronte a una ragazza frustrata dalla vita di provincia non si fa scrupoli a cercare di renderla merce, di vendere la sua immagine per restare a galla.

 

Sean Baker con Red Rocket realizza un nuovo tassello della sua filmografia sull’altra faccia degli Stati Uniti, forse meno d’impatto rispetto ai precedenti - soprattutto per quanto riguarda l’ultima mezz’ora - ma che ribadisce sotto le note di Bye Bye Bye degli NSYNC la fiducia svanita nel proprio Paese.

 

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