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L'horror che non ha bisogno di alibi e spiegazioni scientifiche.
Il Seme della Follia come Lovecraft, Stephen King, Richard Matheson e Tiziano Sclavi.
L'horror è il genere più frainteso di tutti.
Forse perché il suo fondamento ruota attorno all'idea del mostrare qualcosa che la società non vuole venga mostrato.
Ideologicamente molto simile al porno, genere con il quale cammina talmente tanto a braccetto da essere stato integrato nelle regole dello slasher o di qualsivoglia buon horror.
It Follows, una delle pellicole più interessanti degli ultimi anni, è praticamente basato su di esso.
Al tempo stesso, l'horror sembra aver perso questa sua componente provocatoria, chiudendosi a riccio in case stregate, tavolette ouija, spiriti dispettosi che ci fanno rimpiangere quello punk e baviano incarnato da Michael Keaton nel Beetlejuice di Tim Burton, pov sempre più tragicomici e tutta una serie di canovacci innocui.
Per quante regioni possano esserci dietro questa rivoltante, nel verso sbagliato, evoluzione del genere, ho deciso arbitrariamente di prendere in esame una ragione ben precisa: la corrente lettura del concetto di horror.
Vi chiedo quindi di seguirmi, anche se sto sparando al bersaglio grosso.
Arriveremo da qualche parte.
L'horror lo abbiamo definito poco sopra: è un genere sovversivo che vuole mostrare qualcosa che il contesto sociale ritiene unanimemente scabroso.
Il compianto George A. Romero ci ha costruito una carriera, inventando lo zombie moderno, evolvendo il caraibico concetto del white zombie, uno schiavo soggiogato dalla magia, reinterpretandolo nella forma di un ritornante mangiacarne capace di portare a galla le idiosincrasie del presente.
Tornando indietro a Mary Shelley, l'orrore si configurava in un mostro: Frankenstein. Un racconto capace di mostrare la vera faccia dell'uomo civilizzato, ancorato ai suoi istinti più atavici, portandolo a diventare violento e senza scrupoli nella nuova figura di animale sociale e capace di divenire violento con il diverso.
Dagli anni '50, fra un Mostro della Laguna Nera e il Dracula della Hammer interpretato da Christopher Lee, l'horror si muove fra i classici della letteratura e la nuova frontiera che, da lì a poco, avrebbe causato una delle più famigerate battaglie ideologiche del mondo moderno: lo spazio.
Il pericolo veniva da questo luogo freddo e buio sconosciuto all'uomo.
Tra letteratura e cinema, i racconti si sprecavano e per lungo tempo avrebbero continuato a rappresentare un classico, aiutando anche un genio come Steven Spielberg a diventare il re della fantascienza.
L'orrore è stato anche slasher, fatto di assassini sovrannaturali e non, inseguendo quell'ideologia da Ai Confini della Realtà, quel The Twilight Zone che sembra stia per ritornare, che è già tornato con Black Mirror, e dove il centro focale atto a destabilizzare lo spettatore, risiedeva nell'inconcepibile, in storie dove l’ignoto, l'assurdo, la rottura della logica, arrivava a far sudare freddo il pubblico.
Per chi scrive, questo meccanismo, lo fa tutt'ora.
Nel mondo moderno, dove tutto ha bisogno di eccessive spiegazioni che arrivano a inseguirci anche fuori dal cinema o lontani dallo schermo televisivo, l'horror è diventato innocuo e noioso.
L'obiettivo è anche quello di blockbusterizzare uno dei pochi generi che porta ancora le masse al cinema, e quando devi massificare devi semplificare, e quando semplifichi fai due più due e quando fai due più due traduci horror con paura. La paura, però, sappiamo tutti non essere un qualcosa di univoco. Non per semplificazioni, perlomeno.
Non quando non sei Romero e non sai tradurre il presente in un archetipo orrorifico.
Di rimbalzo siamo finiti al cinema jumpscare, quello che alza il volume di scatto, fa passare un'ombra e genera, biologicamente, una reazione accostabile alla paura, ma che si traduce in un bello spavento.
Su Youtube li chiamano "scherzi di coppia".
Uno dei miei videogame preferiti, Alan Wake, che rende omaggio a Stephen King ma anche a David Lynch e a molta altra letteratura orrorifica, si apre con una frase attribuita allo scrittore del Maine:
"Gli incubi esistono al di fuori della ragione e le spiegazioni divertono ben poco; sono antitetiche alla poesia del terrore."
Zio Stephen, Mr King, il Re, se vogliamo giocare con quel cognome che casca a pennello, ha detto qualcosa di oltremodo giusto e che condivido pienamente.
L'horror che insegue la ragione non ha senso ed è, dio quanto è bella questa frase, "antitetico alla poesia del terrore".
Zio Stephen ha nutrito questo credo attraverso la fruizione di altri autori che hanno instillato e influenzato il suo credo, formandone il carattere e il talento; se siete amanti del genere, consiglio di leggere Danse Macabre per approfondire.
Uno su tutti, impossibile da dimenticare, H.P. Lovecraft.
Lo scrittore, vissuto tra la fine dell'800 e i primi del '900, non ha avuto fortuna in vita. Era incompreso e i suoi racconti precorrevano ampiamente i tempi.
Lovecraft è stato ritenuto un maestro solo successivamente, ma al cinema non ha avuto molta fortuna.
L'ultimo mai nato viene dalla mente di uno degli uomini più belli del mondo, aka Guillermo del Toro, che aveva avuto l'ardire di cercare di portare sul grande schermo Alle Montagne Della Follia.
Vi prego di recuperare il libro.
Lovecraft ha inventato i miti di Cthulhu, gli antichi, divinità intrappolate in una dimensione parallela alla nostra e dalla quale possono uscire solo se il loro culto prende forza, nutrendosi delle credenze del genere umano - detto in soldoni.
I suoi romanzi hanno sensazioni, costruiscono un contesto narrativo capace di annidarsi sottopelle, sedimentare l’uovo di un terrore freddo e incognito e crescere.
Un inspiegato sentimento primitivo, una paura che non si razionalizza e non si può ricercare fra le pieghe della società, ma fra quelle più stratificate della natura umana.
Molti registi, tra i quali il sopracitato Guillermone, hanno palesato una certa simpatia nei confronti delle opere di Lovecraft e, se siete appassionati del genere, avrete sicuramente letto uno dei suoi libri. Brian Yuzna e Stuart Gordon, Roger Corman e Sam Raimi, Lucio Fulci e John Carpenter.
Questi ultimi accoppiati non a caso, considerando che entrambi hanno avuto la faccia tosta di realizzare delle trilogie, narrativamente non collegate a filo diretto, basate sui miti e le logiche narrative di Lovecraft.
Quindi non credete a chi vi dice che James Wan è il primo regista ad aver creato un universo orrorifico.
Qualcuno lo ha fatto prima.
Qualcuno lo ha fatto meglio.
Parlare di questi film è ben oltre lo spazio che ci è concesso e, dovendo sceglierne uno, Il Seme delle Follia di John Carpenter è forse quello che, per chi vi parla, è più riuscito ed esponente massimo di questa idea di cinema horror.
Il Seme della Follia, titolo che tanto in italiano quanto in originale - In the Mouth of Madness - s'impegna nel gioco dei rimandi strizzando l'occhio all'opera sopracitata di Lovecraft, che in inglese è At the Mountain of Madness.
Il film è una tesina, meravigliosamente macabra, del racconto Lovecraftiano, che strizza l'occhio a King e si fa tenere la mano da Richard Matheson, prendendo in analisi il concetto di realtà.
Il protagonista, interpretato da Sam Neill, è un investigatore assicurativo, assunto dalla casa editrice del famoso romanziere horror Sutter Caine, allo scopo di ritrovare lo scrittore, scomparso con la copia dell'atteso, ultimo, romanzo.
John Trent, questo il nome del protagonista, è uno scettico per natura e per professione, perfettamente convinto di sapere cosa sia la realtà.
Noi spettatori del 2018 siamo, vista l'introduzione di questo pezzo, lui.
Carpenter, fin dai primi minuti, aiutandosi con un crescendo ritmato e sapientemente sincopato, ci trascina in una storia dove i concetti di realtà e razionalità vengono piegati dal racconto.
Il mondo come lo conosciamo si deforma senza quasi che ce ne rendiamo conto, mettendo in discussione tutto, a volte reiterando gli spaventi, torturando lo spettatore convinto di conoscere le meccaniche di un genere che, in quel momento, sta e non sta guardando.
La realtà schematica dell'horror, le regole sulle quali fare affidamento, non esistono.
Sono l'illusione e archetipo sulle quali si regge la struttura reale e che Carpenter vuole destrutturare, mettendo in scena situazioni sempre più assurde, sopra le righe, mutando la storia in qualcosa che inseguiamo poiché trascinati dalla struttura, apparentemente coerente, tipica dei sogni o degli incubi, guidati dagli istinti primari alla base dell’essere umano.
Nel 1994 John Carpenter costruisce uno degli horror più Lovecraftiani di sempre, dove l'incubo, scusate se mi ripeto, dà prova di poter esistere al di fuori della ragione, senza spiegarsi e dare spiegazioni, sostituendosi al reale e avviando, ad un certo punto, una catena di discorsi metaletterari e metacinematografici, meravigliosamente messi in scena.
Il Seme della Follia non è un film di mostri, non è un film di alieni, non è un film di assassini, non è un horror psicologico, ma una storia dell'orrore nella sua rappresentazione più pura e alta, dove l'obiettivo non diventa la paura, ma la destabilizzazione delle certezze dell'uomo e del suo personale concetto di realtà, rendendo impossibile cercare di minare la storia con la ragione o le spiegazioni.
Sebbene l'ossatura della trama esista ed è coerente con le regole, se così si possono chiamarle, del mondo narrato.
Il film di John Carpenter è un perfetto film dell'orrore, un vero e proprio incubo su celluloide, sclaviano negli intenti, una di quelle pellicole che non può invecchiare, esattamente come i racconti di Lovecraft, poiché interconnesso ai pilastri della nostra natura.
Un film che non vuole farvi distogliere lo sguardo o gridare di terrore, ma che cerca di calarvi nell’incubo e destabilizzarvi, di attirare la vostra attenzione e distogliervi dal mondo circostante costringendo voi, in quanto spettatore, a domandarvi se siete ancora tale o parte della sceneggiatura.
Quante volte sei caduto in trappola per colpa di un titolo clickbait che poi ti ha portato a un articolo che non diceva nulla? Da noi non succederà mai.
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