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Celebrare Toy Story: breve storia del franchise animato

Breve storia dell'amatissimo franchise di Toy Story 

Quattro lungometraggi, tantissimi corti, una serie animata e svariati videogiochi, senza contare l’enorme mole di merchandise a tema: chi ancora non conosce Toy Story?

 

Ottenuto il successo e l’approvazione del mondo sin da subito, il franchise creato da John Lasseter e Pete Docter ha influenzato il Cinema successivo e rivoluzionato completamente il modo di fare animazione.

 

[Il trailer di Toy Story - Il mondo dei giocattoli]

 

 

Per capire come mai Toy Story sia fondamentale è necessario tornare a quando, nel lontano 1986, Steve Jobs decise di acquisire quella che allora era la Lucasfilm Computer Graphics Project, rinominandola poi Pixar Animation Studios.

 

L’obiettivo di Jobs era inizialmente quello di sfruttare la potenzialità della CGI per pubblicizzare i propri prodotti Apple, ma ben presto si rese conto delle tante possibilità che quest'ultima poteva offrire.

 

Così, Jobs e un ex animatore Disney, John Lasseter, decisero di portare avanti una serie di cortometraggi in cui si sperimentavano le tecniche più disparate per raccontare vere e proprie storie, cambiando così quelli che erano gli obiettivi pianificati in precedenza dal fondatore di Apple.

 

 

 

Di questi cortometraggi, di fondamentale importanza per la nostra storia è Tin Toy (1988), il primo cortometraggio animato in CGI a vincere un Premio Oscar.

 

Il corto è rilevante non solo perché precede le idee poi sviluppate in Toy Story - Il mondo dei giocattoli, ma anche perché porta allo sviluppo di nuove tecniche di rendering, di sequenze e movimenti di macchina mai realizzati prima in un cortometraggio di questo genere.

 

 

[Woody all'inizio era stato pensato per essere un pupazzo da ventriloquo]

 

A questo punto non restava che provare a realizzare uno dei sogni di Lasseter, ovvero portare a termine un lungometraggio utilizzando queste nuove tecnologie con l’aiuto di pochissimi animatori (27 circa): da questa sfida nasce Toy Story - Il mondo dei giocattoli, che da qui in avanti chiamerò semplicemente Toy Story.

 

Come detto in precedenza, sulle basi di Tin Toy si sviluppa Toy Story, che vede come protagonisti dei giocattoli che assumono veri e propri comportamenti umani. 

 

La vicenda vede come protagonista Woody, un cowboy di pezza che è il giocattolo preferito di un ragazzino di nome Andy; quest’ultimo come regalo di compleanno riceve un nuovo giocattolo, Buzz Lightyear, uno space ranger che prende pian piano il posto di Woody. 

 

Woody, sempre più geloso, cerca di sabotare Buzz, ritrovandosi ad affrontare con lui una serie di avventure che faranno capire loro il valore dell’amicizia. 

 

[Live Action Toy Story è una follia ideata da Jonason Pauley e Jesse Perrotta: una riproduzione dal vivo del film originale shot-by-shot]

 

 

Attualmente parlare di animazione CGI è quasi scontato: la maggior parte dei prodotti animati, per bambini e non, vengono realizzati con questa tecnica.

 

Proprio per questo, a posteriori, è semplicemente incredibile pensare che che in moltissimi erano abbastanza scettici sulla riuscita di Toy Story.

 

Da un lato fiducioso, dall’altro preoccupato, Jobs decise di portare avanti il progetto di Lasseter, cercando di tenere il futuro lungometraggio e la Pixar intera il più indipendente possibile dalla casa di produzione principale, ovvero la Walt Disney Motion Studios Animation Pictures,

 

Tuttavia, non tutte le libertà creative desiderate vennero concesse dalla Casa del Topo.

 

Una delle revisioni più importanti, ad esempio, fu effettuata proprio sul personaggio di Woody, che secondo le intenzioni di Lasseter in una prima versione dello script avrebbe dovuto essere un "sarcastic jerk" ("idiota sarcastico") che prendeva in giro e trattava male tutti i giocattoli.

 

La produzione odiò questa caratteristica, tanto da far riscrivere gran parte del film.

 

 

[In una prima versione del film il nome di Buzz era Lunar Larry]

 

Anche la scelta dei doppiatori fu complessa, non tanto per Woody, per cui Lasseter aveva già in mente Tom Hanks, quanto per Buzz, la cui lista di candidati era molto più lunga.

 

Tra i candidati vi erano infatti John Travolta, Kevin Costner, Pierce Brosnan, David Hasselhoff, Richard Gere, Michael Keaton, Keanu Reeves, Kurt Russell (e tantissimi altri): la scelta finale ricadde su Tim Allen.

 

La colonna sonora fu affidata a Randy Newman, che scrisse una delle canzoni più memorabili della Storia del Cinema: You've Got a Friend in Me.

 

A fine lavorazione la preoccupazione era alle stelle: Toy Story era davvero un’impresa folle per un tempo in cui lo sviluppo tecnologico era preponderante, ma durante il quale non si pensava potesse risultare utile per la creazione di produzioni di fantasia o artistiche, nonostante Pixar avesse già dimostrato come il suo sguardo fosse rivolto sempre al futuro dell’animazione.

 

La speranza di successo si concretizzò: Toy Story esplose al botteghino diventando non solo uno dei film più redditizi del 1995, ma anche dell’animazione in generale, superando il film di punta della Disney di quell’anno: Pocahontas.

 

 

[Mrs. Nesbit resta uno dei personaggi più esilaranti del primo capitolo]

 

John Lasseter ottenne un Premio Oscar per i Contributi Speciali (Special Achievement Award), una novità assoluta per un film di animazione interamente in CGI, specialmente se si tiene conto che all’epoca non esisteva ancora la categoria Miglior Film di Animazione, introdotta solo nel 2002.

 

Fu un punto di totale di svolta per l’animazione, in particolar modo quella americana, e si cominciarono a studiare nuovi modi per sviluppare al meglio la tecnica 3D, creando anche ibridi singolari in tecnica mista (disegno tradizionale e uso della CGI).

 

Toy Story determinò anche una rivoluzione aziendale interna: il lungometraggio di Lasseter mise in moto una serie di film animati in maniera sempre più complessa e ambiziosa, dalle trame via via più intricate, fino ad arrivare al cosiddetto “stile Pixar” che, successivamente, molti studi di produzione cercarono di imitare.

 

 

[Lisa Kudrow era stata pensata come voce per Bo Peep, ma poi venne affidata a Annie Potts]

 

Il grandissimo successo del film portò Disney a commissionare dei brevissimi frammenti animati chiamati Toy Story Treats, usati come “intermezzi” per il Saturday Morning dell’ABC - successivamente giunti nel resto del mondo in home video - ove vengono mostrati i vari personaggi di Toy Story intenti a fare le cose più diverse, dalle sfide a scacchi al gioco delle ombre cinesi. 

 

Se il primo film fu un lavoro titanico, il secondo capitolo può essere considerato un’impresa terribile e dolorosa, dimostrando che il successo al botteghino non è tutto.

 

A un mese dall’uscita di Toy Story, Lasseter decise che la storia aveva necessariamente bisogno di un sequel, ripristinando così materiale precedentemente eliminato e buttando giù nuove idee per Woody e Buzz. 

 

Il capitolo per come lo conosciamo oggi vede Woody finire nelle mani di un collezionista e, in seguito, salvato e riportato a casa dagli altri giocattoli suoi amici. 

 

 

[Il Pizza Planet Truck compare come easter egg in ogni film della Pixar, fatta eccezione per Gli Incredibili]
 

 

Nonostante Disney avesse commissionato cinque lungometraggi con nuovi soggetti non prevedendo sequel, i costi per Toy Story 2 - Woody e Buzz alla riscossa (conosciuto anche come Toy Story 2) erano troppo alti per rilasciarlo esclusivamente in home video senza proiettarlo anche al cinema.

 

Il prodotto presentato in quel momento sembrava destinato a un ulteriore successo.

 

Sicuramente famoso è l'aneddoto che racconta quando il 90% del film venne (quasi) cancellato per sbaglio nel 1997, ma pochi sanno che dopo quell’episodio Toy Story 2 subì una batosta ben più dura.

 

Ripristinato il materiale (che si credeva perduto per sempre), Lasseter - e gran parte del team creativo - si rese conto che il tutto non funzionava affatto: Toy Story 2 andava dunque rivisto da cima a fondo, dalla sceneggiatura agli aspetti tecnici e grafici.

 

Come se non bastasse, c’era l’urgenza di terminarlo al più presto: il 22 novembre 1999 era la data di uscita non procrastinabile per Disney, nonostante Steve Jobs avesse chiesto di ritardare la scadenza oltre i nove mesi rimanenti.

 

 

[Jessie in origine avrebbe dovuto essere un cactus chiamato Señorita Cactus]

 

Disney si convinse che non ce l’avrebbero fatta, ma Toy Story 2 uscì al cinema puntuale.

 

Il sequel confermò il successo al botteghino del film precedente e vinse diversi premi e candidature, tra i quali il Golden Globe come Miglior Film Commedia o Musicale e la nomination agli Oscar per la Miglior Canzone, andata a When She Loved Me di Randy Newman.

 

In termini umani, però, Toy Story 2 costò tantissima fatica.

Dietro le quinte ci furono nove mesi di stress e lavoro intenso che provocarono problemi a diversi animatori, tra cui la sindrome del tunnel radiale, del tunnel carpale e lesioni da sforzo ripetitivo. 

Pare che non fu la Pixar a imporre tutte quelle ore di straordinari al team: furono gli animatori stessi, uniti dall'obiettivo comune di concludere la produzione entro i tempi, a decidere di lavorare senza tregua.

 

Si può dire dunque che una pellicola come Toy Story 2 abbia funzionato grazie a un gruppo di persone unite, che lavorarono fianco a fianco senza buttarsi giù - di fronte a difficoltà all’apparenza insormontabili - esattamente come Woody, Buzz e i loro amici? 

 

 

[Lotso era stato pensato da Lasseter per il primo Toy Story, ma venne cancellato per possibili problemi legati all'animazione del pelo]

 

Una domanda del genere forse non avrà risposta, ma è bello pensare che in questo caso si sia andato oltre il concetto più semplice di lavoro e soldi, abbracciando l’amore più sincero per il Cinema Animato. 

 

Cavalcando l’onda del successo, Walt Disney Television Animation sviluppò una serie TV formata da 65 episodi intitolata Buzz Lightyear da Comando Stellare, che conobbe un discreto successo e contribuì ad aumentare le vendite dei gadget legati allo space ranger.

 

Nel 2007 venne finalmente confermata la produzione di un terzo capitolo della saga, diretto da Lee Unkrich (che già aveva collaborato come co-regista al precedente capitolo cinematografico) e non più da Lasseter, che decise di dedicarsi solamente a soggetto e sceneggiatura in un lavoro a più mani. 

 

[Il trailer di Toy Story 3 - La grande fuga]

 

 

Come in precedenza vennero riprese sia le opzioni scartate sia nuove idee, che portarono alla creazione di un ulteriore road movie per gli amati giocattoli protagonisti. 

 

Andy ha ormai diciassette anni e, in procinto di partire per il college, decide di portare con sé solo Woody e raccoglie tutti gli altri giocattoli in un sacchetto; sua madre, per errore, lo scambia per un sacchetto dei rifiuti.

I giocattoli, per non finire tra la spazzatura, decidono di nascondersi in uno scatolone indirizzato all’asilo Sunnyside Daycare.

 

Woody decide di seguirli per riportarli a casa. 

 

In Pixar, nel corso degli anni, si erano susseguite produzioni animate di grande qualità, si erano messe in campo nuove soluzioni e tecniche innovative; così, alla sua uscita in sala, Toy Story 3 - La grande fuga aveva l’ambizione di essere non solo un ottimo prodotto d’animazione, ma un ottimo film sotto ogni singolo aspetto. 

 

Dal punto di vista grafico vennero ripresi tutti i modelli precedenti dei personaggi e delle ambientazioni, studiati nei minimi dettagli e migliorati. 

 

Una sfida fu presentare alcuni nuovi personaggi come Lotso, un orso di peluche che ai tempi risultò essere uno dei personaggi che richiese più ore di lavoro, a causa della necessità di renderlo più “morbido” e realistico possibile.

 

 

[Questa è qui solo per farvi piangere]

 

 

Si decise anche di escludere alcuni personaggi per sottolineare che i giocattoli vengono regalati, buttati via, se ne acquistano di nuovi mentre altri scompaiono, come nel caso di Bo Beep, la pastorella di porcellana. 

 

Interessante anche l’asilo, per il quale ci fu uno studio meticoloso dato che avrebbe dovuto rappresentare qualcosa di claustrofobico, dal quale era difficile fuggire: si optò, dunque, di studiare da vicino il carcere di Alcatraz e trarne gli aspetti più convincenti e funzionali per il film. 

 

Si superarono le riprese “statiche” e “da videogioco”, attraverso una cura tale che facesse sembrare i movimenti di macchina reali e non virtuali.

 

Facendo un confronto tra Toy Story 2 e Toy Story 3, senza considerare il miglioramento estetico raggiunto negli anni dallo studio di animazione, si può notare come nell’ultimo vi sia una maggiore attenzione al dettaglio (nelle texture, nei riflessi della luce, etc.) che è lo scoglio successivo da superare per ottenere un risultato eccezionale e quasi fotorealistico. 

 

 

[Anche questo frame è qui solo per farvi piangere]


Se a questo si unisce un soggetto straordinario che richiese ore e ore di revisioni, frutto del team work di chi aveva già lavorato al resto della saga, ci si trova dinanzi a un lavoro difficilmente dimenticabile. 

 

Toy Story 3 uscì nelle sale statunitensi il 18 giugno 2010 (in quelle italiane il 7 luglio) e consacrò ancora una volta Pixar come uno degli studi di animazione più geniali e innovativi; il terzo capitolo del franchise divenne uno dei film che hanno incassato di più nella Storia del Cinema, vinse l’Oscar come Miglior Film di Animazione e ricevette la candidatura a Miglior Film: un onore concesso solo ad altre due pellicole animate, ovvero Up e La bella e la bestia

 

Altri progetti per il franchise erano già in programma e, uno dopo l’altro, uscirono Vacanze hawaiiane (2011) che precedeva la proiezione di Cars 2Buzz a sorpresa (2011) ouverture prima del film de I Muppet, e Non c’è festa senza Rex (2012) corto introduttivo alla riconversione 3D di Alla ricerca di Nemo

 

 

[Lee Unrickh ha affermato che Rex e Trixie vengono dalla stessa collezione di giocattoli]

 

Tutti e tre i corti non fanno altro che prendere dei personaggi amati della saga (rispettivamente Ken e Barbie, Buzz e Rex) e creare delle brevi vicende “post Toy Story 3”, dove ogni dinamica comincia da Bonnie, la nuova proprietaria dei giocattoli di Andy. 

 

Negli anni successivi a queste produzioni seguirono altri due corti, questa volta per la TV: uno speciale di Halloween intitolato Toy Story of Terror! (2013) e uno speciale di Natale intitolato Toy Story: Tutto un altro mondo (2014). 

 

Tra tutti questi quello maggiormente memorabile è sicuramente Toy Story of Terror! che, accompagnato dalle fantastiche musiche di Michael Giacchino, presenta i nostri soliti protagonisti (in particolar modo Jessie) in una storia divertente e “terrificante” allo stesso tempo.

Una soggetto che riesce a catturare in soli ventidue minuti lo spirito della saga, risvegliando nuovamente quel calore lasciatoci in eredità dal terzo capitolo.

 

Nel 2014, quasi a sorpresa, venne confermata l’uscita di Toy Story 4, che sarebbe stato affidato alla direzione di John Lasseter.

 

[Il trailer di Toy Story 4]

 

 

La storia di Toy Story 4 non avrebbe toccato i capitoli precedenti, arrivati a una conclusione come ebbe a dichiarare Lee Unkrich nel 2010. 

 

“Non è nei piani girare un quarto capitolo [...]

Vogliamo che i personaggi restino in vita e lo stiamo facendo in altri modi attraverso i cortometraggi.

Ma in termini di film, abbiamo davvero cercato di fare un'eccezionale trilogia".

 

Il nuovo film sarebbe stato quindi uno spin-off sulla ricerca di Bo Beep da parte di Woody e Buzz. 

A seguito di divergenze creative, il team iniziale lasciò la produzione e la regia venne affidata a Josh Cooley

 

Toy Story 4 vede come protagonista Woody che, come gli altri della combriccola, viene escluso sempre più da Bonnie, che preferisce giocare con oggetti creati da lei come la sua ultima creazione: Forky, una forchettina di plastica.

 

Quest’ultimo, dotato di una scarsissima autostima, decide di lanciarsi improvvisamente fuori dal camper della famiglia di Bonnie.

Woody lo segue per recuperarlo, consapevole del dispiacere che potrebbe provocare alla bambina la scomparsa del “forchetto”.

 

Durante il loro viaggio di ritorno verso il camper i due si ritrovano in un enorme Luna Park: è qui che Woody si imbatte in Bo Peep, che credeva ormai perduta da tempo. 

 

 

[Bo Peep ha subito un restyling completo in Toy Story 4]

 

 

Da quel momento in poi Woody vivrà una serie di eventi che lo porteranno a trovare un nuovo posto nel mondo.

 

Sulla scia di Toy Story 3, con Toy Story 4 si accentua l’accuratezza realistica del dettaglio: si potrebbero perdere ore e ore a fissare ogni singolo frame, affascinati da come quanto mostrato sia così tangibile, come i materiali di cui sono fatti i giocattoli sembrino veri, come gli ambienti diano l’illusione di una realtà spezzata dall’animazione stessa.

 

A differenza dei precedenti film però, i temi sono diversi: si indaga più sull’amore che sull’amicizia, si ragiona sulla crescita individuale a discapito della crescita di gruppo, si pone l'accento sull’accettazione di se stessi piuttosto che sul cambiamento.

 

Premiato agli Oscar 2020 come Miglior Film di Animazione, Toy Story 4 risultò comunque un prodotto controverso capace di far discutere tutti, compresi gli appassionati di una saga durata molti anni, come mai era successo in precedenza.

 

[Il trailer di Pixar Popcorn]

 

 

Con l’avvento di Disney+ arriva sugli schermi Vita da Lampada (2019), un cortometraggio sequel-prequel sul personaggio di Bo Beep che mostra cosa le è accaduto a seguito degli eventi di Toy Story 2.

 

Un’altra serie molto breve, sempre disponibile su Disney+, è I perché di Forky (2019-2020), in cui il forchetto si pone gli interrogativi che sono soliti porsi i bambini.

 

Pixar Popcorn (2021) è invece una serie di corti simili a Toy Story Treats, ma che include vari personaggi della Pixar: vi è un corto dedicato a Buzz, Verso il fitness e oltre, e due imperdibili episodi di Parlando di fuffa con Ducky e Bunny, i nuovi, colorati e matti personaggi visti in Toy Story 4.

 

Risulta quindi evidente, alla luce anche del prossimo arrivo di Lightyear, che Toy Story abbia accompagnato le nostre vite fin dal 1995 senza mai abbandonarci, anche se in molti forse non se ne sono nemmeno accorti.

 

Toy Story ha segnato un punto di partenza incredibile per tutta l’animazione successiva, ma è stato anche capace di superare la freddezza dello schermo e di farci affezionare a quei personaggi. 

 

Personaggi che, come per Andy e Bonnie, non sono mai stati solo giocattoli. 

 

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