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Halloween: il 40° anniversario del film di John Carpenter

Un mercoledì di ordinario terrore.

È un mercoledí di Ottobre. Non uno da leoni.

Nemmeno uno di coppa e, per l'amore di Dio, nemmeno il giro di boa della settimana.

 

È un normale mercoledì di Ottobre. La stagione dell'Autunno.

In america Fall, un termine figlio dell'Inglese più arcaico che gli Inglesi, quelli del tè delle cinque e di William Shakespeare, hanno sostituito con un più elegante e trasognato Autumn.

 

Uno dei sogni ad occhi aperti ricorrenti è sempre stato quello d’incontrare una bella ragazza slanciata, una gazzella bipede, dagli occhi enormi e verdi, per poterle chiedere timidamente il suo nome e sentirmi rispondere, "Autumn".

Poi morire lì, sciolto in quella pozza di melassa e feromoni che qualcuno ha raccolto e condensato in un orribile film con il malato, intitolato Autumn in New York.

Statene alla larga.

Qualora la vostra compagna o ragazza chiedesse di vederlo, mettete in streaming Her e fingete il dissenso tecnico.

 

Ottobre, il mese delle castagne e delle caldarroste.

Ottobre delle foglie gialle e delle camminate calciando mucchi di fogliame secco, pensando di essere il vento o Kratos. Ottobre, però, è anche il mese che ci collega al Novembre dei morti, al giorno che apre il portale fra questo mondo e quell'altro.

 

Fantasmi, spiriti e parenti amati e non, tornano su questa terra per un abbraccio o per rimproverarci di quel Natale in cui abbiamo rovesciato, sul vestito nuovo di Zia Eusebia, una bollente cioccolata, densa come il magma.  

Eppure, tralasciando il bright side of the life, Ottobre è anche, in particolar modo per chi ama il genere, il mese di Halloween.

La notte delle streghe. La notte di Jack, re delle zucche. La notte in cui lui, l'uomo nero dalla maschera bianca, torna a casa.

 

In un mercoledí di questo mese meraviglioso, me ne vado in un cinema di Dublino, il Lighthouse, a vedere, per la prima volta a schermo, quel film che ha creato i mostri più memorabili del cinema horror: John Carpenter's Halloween.  

 

 

 

 

 

Vado per i fatti miei e siccome il mio smartphone è in assistenza, sono completamente disconnesso dal mondo moderno.

Così disabituato al lusso di un pezzo di plastica capace di fare tutto, da aver persino dimenticato d'indossare l'orologio. Arrivo alle porte del cinema e sono costretto a chiedere alla maschera l'ora. Questa mi guarda stranita, ma mi risponde. Ben gentile.

 

Sono in anticipo di circa trenta minuti.

Mi siedo su un confortevole divanetto e sfoglio un libro che, con Halloween ed il genere, non ha nulla a che fare. Quando entro in sala, cerco di placare il bambino interiore. L'emozione viene grossa.

 

Quasi paragonabile a quella di un paio d'anni prima, quando, per promuovere il suo nuovo disco, John "Master of Horror" Carpenter, venne a suonare a Dublino.

Io sono sotto il palco, in prima fila, in totale adorazione, mentre lui suona la sua tastiera, parla come fosse il migliore amico di tutti i presenti, ed alle sue spalle si alternano le immagini associate ai pezzi in scaletta. La maggior parte sono colonne sonore dei suoi film.  

 

Per distrarmi mi guardo attorno. La sala è piena di pischelletti.

A 31 anni posso dirlo. Alcuni, invece, sono della mia generazione. Pochi. Mi aspetto il peggio, ma con discreta curiosità.

Finalmente si abbassano le luci e dopo l'inesorabile giro di pubblicità, che Cthulhu possa portare nell'oblio chiunque abbia scagliato su di noi questa maledizione, parte una breve introduzione curata da Carpenter in persona.

 

 

[John Carpenter e Jamie Lee Curtis sul set di Halloween]


Il pubblico, per ragioni oscure, vede il suo volto e ridacchia. Carpenter è un hippie.

I capelli, quelli rimasti, sono lunghi. Il baffo primeggia arrogante sopra il labbro e lo spirito è lo stesso delle foto di repertorio.

Il pubblico più giovane è abituato a spocchiosi registucoli che si dichiarano artisti, si vestono Armani e parlano del loro ultimo film, un blockbuster girato con un bietolone inespressivo e troppa CGI, come se il cinema lo avessero inventato loro.

 

John Carpenter, invece, ha una camicia sfatta, una t-shirt anonima e dei pantaloni casual, dice un sacco di parolacce e parla di Halloween, un film che ha fatto la storia, con un candore ed un'onestà disarmanti. Quel film è stato fatto perché volevano girare un horror, non stavano pensando di fare arte elevata o di cambiare il cinema.

 

Amavano la storia e la loro sceneggiatura verteva su di un assassino, in parte sovrannaturale, che uccideva perché incarnazione del male puro. Non certo per un'improbabile movente psico-sociale.

Era il male. Punto.

Ed il pubblico, come me, e come il Dottor Loomis - aka Donald Pleasence -, ci credeva davvero.

 

Il pubblico ride. Non è abituato. Ride anche quando Carpenter parla delle recensioni che stroncarono il film e della loro ferocia.

Ne ride anche il buon Carpenter.

Ride quando John, sogghignando, ammette che ha scoperto del successo del film quando dei produttori hanno cominciato a chiamarlo, facendogli tanti complimenti e, all'improvviso, trattandolo con riguardo e rispetto. Ridiamo tutti.

 

Il film comincia. Il pubblico continua a ridere.

Non capisce che siamo negli anni '70 e non capisce gli snodi narrativi.

Ride delle ragazze, con tanta iniziativa e molta intraprendenza - questo fa paura a tutti i movimenti, dal metoo a quello delle budella.

Ride dei ragazzi fichi della scuola che a letto, quando vanno oltre i 35 secondi, festeggiano un record mondiale. Troppo abituati a vedere il sesso mitizzato, e gratuito, online.

 

Troppo abituati a non trattarlo, il sesso, rinchiudendo il tema “La tua prima volta” in un cassetto marchiato Hot Topic e giù le mani.

Troppo abituati a non vedere il sesso, e le tette, al cinema. Tanti ridono anche delle tette e del corpo femminile.

 

 

 

[Michael]

 

Il pubblico ride quando appare Michael. Ride quando c'è un omicidio.

Ride quando Michael viene ferito.

 

Ride perché non capisce la trama, di una semplicità cristallina, poiché il cinema moderno spiega e non mostra mai, infarcendo anche l'horror di battute che terminano quasi con l'occhiolino al pubblico ed un assistente di regia che entra in campo e dice, "Avete capito?! Ridete! Swipate per trovare lo spiegone offerto da TheGreatestGuyEverBeenOnYoutube95".

 

 

Ride quando, alla fine, il Dottor Loomis realizza di aver liberato, per davvero, il male puro.

Io rido perché so che in quel momento, Carpenter, ha creato un mito del genere. Il pubblico ride quasi per l'intero film.

Io non rido mai. Se non quando il film vuole effettivamente farmi sorridere.

 

Quando esco dalla proiezione, a film terminato, riprendo il mio libro e mentre sto sulla Luas - un tram - sento i commenti del pubblico più giovane.

Non hanno capito perché Michael uccide. Non hanno capito perché le baby sitter sono a casa da sole - davvero? -.

Non hanno capito perché, nella notte di Halloween, in un quartiere suburbano del 1978, una ragazza di 16 anni che si mette a gridare aiuto, alla porta del vicino, mentre fuori tutti si vestono da diavoli e fantasmi gridando “Dolcetto o Scherzetto”, viene ignorata - davvero? -.

Su Youtube non c'è un video "Halloween: Spieghiamo il finale" - davvero? -.

Una ragazza azzarda una tesi: l'assenza di tecnologia. Negli anni 70 non avevano la tecnologia e quindi tutti potevano entrare in casa di tutti - eh?! -.  

 

Il pubblico  che ha paura quando il film alza il volume, ha riso di un prodotto che, a conti fatti, è un indie del 1978, con un budget di circa 300mila dollari, bruscolini, girato quasi interamente con la steadicam; tecnica nuova del momento.

 

Un film che ha, inevitabilmente, i limiti della sua epoca, ma che ha sortito sulla generazione che lo ha visto in televisione ed al cinema, i medesimi effetti di quel The Thing - aka La Cosa - di Howard Hawks, ammirato con terrore, durante la notte di Halloween, dal piccolo Tommy Doyle; seppur confortato dalla sua baby sitter di quartiere, Laurie - aka Jamie Lee Curtis.

Carpenter guarda La Cosa mentre gira Halloween e La Cosa guarda Carpenter.  

 

In sala ero, molto probabilmente, uno dei pochi ad essere stato terrorizzato, alla prima visione di molti anni fa, dal film di Carpenter. Forse uno dei pochi a ri-vederlo. Il tema, ancora oggi, mi da i brividi ed aver potuto guardarlo al cinema mi ha emozionato, divertito e conquistato.

 

 

 

[Donald Pleasence (il Dottor Loomis) in una scena del film]

Halloween di John Carpenter è un caposaldo del genere, un film che ha contribuito a gettare alcune delle regole dello slasher.

 

Se negli anni '60 ed in parte dei '70, grazie a Mario Bava e Dario Argento, il terrore passava per l'assassino guantato e con il cappellaccio, nell'era di Carpenter diventa una maschera inespressiva.

Il volto bianco di Michael, rubato dallo scaffale di un ferramenta di provincia, nella sua inespressività, rappresenta la perfetta esternazione di un killer che non è umano, ed in quanto tale non ne ha le motivazioni, conservando solamente gli istinti più primordiali.

Non he ha alcun bisogno.

Michael Myers, citando nuovamente il Dottor Loomis, è il male puro. L'horror di Carpenter ha poco sangue, non è graficamente esplicito o splatter, eppure ha il sesso, i bambini, i teenager, l'alcool, la droga e lascia il mondo adulto ai margini.

 

L’horror che evolve e sposta le regole delle strisce di Charlie Brown, create da Schultz, abbandonando l’anarchia del jazz ed inserendo l’elettronica, portando i Peanuts alla pruriginosa adolescenza, portando le staccionate bianche della provincia in una sfera del disordine controllato delle rivoluzioni sociali e sessuali dei 70.

 

Sono regole sacre ed importanti, che uno come Wes Craven celebrerà molti anni dopo, creando un nuovo mito, seppure in ombra di Michael e che non sarà mai la strega, l'uomo nero, il male dagli occhi bui e senza bisogno di parola o movente per incarnare un incubo.

Se avete l'occasione di guardare Halloween sul grande schermo, andate. Così da poter sentire, chiaramente, i respiri di Michael alle vostre spalle, apprezzare l'incalzare perfetto della musica, godendo oltretutto del formato widescreen scelto da Carpenter per girare il film.

 

Se non potete guardarlo sul grande schermo, guardatelo in salotto.

Magari con una ciotola di popcorn sulle gambe, una pizza, una birra e, se proprio volete onorare le sacre regole dello slasher, qualcuno al vostro fianco. Horror e porno.

 

Sangue e sesso. Paura e desiderio.

Due cose che vanno proprio a braccetto.

 

 

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