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Squid Game: quando a prevalere non è la violenza, ma l’umanità

In Squid Game, nonostante la violenza occupi buona parte della serie, sono anche presenti tante altre tematiche decisamente più positive ed edificanti 

È il fenomeno del momento: Squid Game, la nuova serie TV sud-coreana diretta da Hwang Dong-hyuk disponibile su Netflix, sembra davvero aver raggiunto le case di tutto il mondo, diffondendosi in ogni dove come un tornado impazzito.  

 

Subito non sono mancate le polemiche, vista anche la buona dose di brutalità che accompagna puntualmente ogni puntata e che molti ragazzini ultimamente hanno iniziato ad emulare per le strade. Tanto da essere già state firmate delle petizioni affinché la serie venga cancellata.

 

La trama, dopotutto, parla chiaro: un numeroso gruppo di persone, ognuna con gravi problemi finanziari alle spalle, accetta volontariamente di partecipare a una specie di torneo, che consiste nel superare sei giochi per bambini (come ad esempio "1, 2, 3... stella!"). 

 

Il premio finale consiste in una ricca somma di denaro, capace di estinguere qualsiasi debito.

Chi però viene di volta in volta eliminato dalle prove, muore.  

 

 

[La scena del gioco "1, 2, 3... stella!" in Squid Game]

 

Eppure, se si pone la debita attenzione ai giusti dettagli, non sembra essere la violenza il principale elemento su cui Squid Game intende affondare le proprie radici. Sono infatti presenti tante situazioni in cui ciò che emerge maggiormente non è di certo la mattanza o la crudeltà, ma al contrario la compassione, la nobiltà d’animo e l’altruismo.  

 

Si prenda ad esempio in considerazione una delle scene più struggenti della serie, precisamente quella del gioco a coppie delle biglie nella sesta puntata, Gganbu.

 

Dopo aver deciso di rischiare il tutto per tutto in un’unica partita all’ultimo minuto, prima dello scadere del tempo, Sae-byeok e Ji-yeong si scambiano vicendevolmente i racconti delle proprie vite, entrando sempre più in confidenza tra loro.

 

“Una volta uscite da qui, ti insegnerò come ci si tratta bene!“, si lascia addirittura scappare Ji-yeong a un certo punto, senza nemmeno più pensare al fatto che, da lì, le due non potranno mai andarsene insieme.

 

È un momento davvero toccante, in cui le ragazze, fino ad allora praticamente sconosciute l’una all’altra, sostituiscono il senso di prevaricazione con quello più intenso dell’empatia.

 

Un momento che culmina con il commovente sacrificio di Ji-yeong, che sceglie di salvare la sua compagna, perdendo di proposito la sfida con le biglie.

“Io non ho niente. Tu hai una ragione per andartene da qui. Io no. Meglio che esca chi ha un buon motivo per farlo. È la cosa giusta. Grazie… di aver giocato con me”.

 

 

[Ji-yeong e Sae-byeok in una scena della puntata Gganbu]

 

 

Altrettanto straziante è inoltre ciò che avviene tra Gi-hun e l’anziano giocatore 001, Oh Il-nam, sempre nel medesimo episodio.

A Gi-hun manca soltanto una biglia per assicurarsi la vittoria, dopo aver conquistato le altre sfere con l’imbroglio, sfruttando lo stato di demenza senile del povero vecchio.

 Squid Game

Ma, sebbene Oh Il-nam riveli improvvisamente al suo avversario di essersi accorto dell’inganno subito, decide comunque di consegnargli - in maniera totalmente spontanea - l’ultima pallina di vetro.

 

“Prendila. Noi siamo gganbu, non ti ricordi? Quando si è il gganbu di qualcuno, si condivide ogni cosa con quella persona. Grazie a te mi sono divertito, fino alla fine”.

 

Gganbu, cioè un legame speciale, profondo, indissolubile, quello che da bambini unisce due amici per la pelle.

Ed il rapporto tra Gi-hun e Oh Il-nam non è poi così diverso.

 

Tra i due sembra infatti esserci un sincero e reciproco sentimento d’affetto, lo stesso che solitamente lega un padre e un figlio.

 

Come fossero, rispettivamente, un Enea e un Anchise moderni, Gi-hun e Oh Il-nam nutrono l’uno nei confronti dell’altro ammirazione, rispetto ed anche un particolare senso di protezione, che consentono ad ambedue non solo di andare avanti nella competizione, ma anche di crescere (e migliorarsi) a vicenda dal punto di vista morale.

 

 

 [Gi-hun e Oh Il-nam in una scena della puntata Gganbu]

 

Si tratta di concetti che prevalgono in maniera dirompente in più di una sola occasione nel corso della storia.

Soprattutto nel criptico finale di stagione, quando sarà ancora una volta Oh Il-nam a costituire per il protagonista quel deus ex machina pronto ad aiutarlo durante i momenti di difficoltà e smarrimento.

 

È passato un anno dagli Squid Game. Gi-hun, dopo esserne uscito vittorioso ed aver incassato il prestigioso montepremi, si aggira per le strade della sua città come un fantasma, essendo rimasto profondamente turbato dal terribile spettacolo a cui si è sottoposto.

 

Vestiti logori, barba e capelli incolti, viso sporchissimo, sguardo spento e un attanagliante disagio interiore a divorargli la coscienza.

Non ha speso un centesimo di quel premio milionario.

 

A questo punto Oh Il-nam riappare incredibilmente sulla scena, svelando di essere proprio lui la vera mente dietro allo Squid Game.

Il suo personaggio però non sembra essere così negativo come inizialmente potrebbe apparire. Anzi, quel contorto gioco mortale, che lui stesso ha ideato, pare abbia avuto uno sconvolgente impatto emotivo anche sul suo animo.

 

“Grazie a te ho potuto ricordare cose del passato che avevo dimenticato da tempo”, dice a Gi-hun prima di spirare, ormai consumato dalla sua malattia, come una sorta di ultimo ringraziamento personale a un uomo che lo ha condotto a riscoprire non solo i valori dell’infanzia, ma anche quanto può esserci di buono in noi stessi e nel prossimo.

 Squid Game

Ed è proprio da qui che Gi-hun riparte. La sua rinascita coincide con la morte di quello che è stato, sì, il suo burattinaio silenzioso, ma anche (e soprattutto) la sua guida onnisciente.

 

Nell’istante in cui intravede quel senzatetto soccorso da un passante, la sua fiducia nel genere umano torna a sgorgare dal proprio cuore dolente, come un fiume in piena. Una fiducia che Oh Il-nam aveva probabilmente già riassaporato, proprio grazie a Gi-hun, e che adesso intende far riassaporare anche al suo affezionato gganbu, come ultimo ed estremo atto di riconoscenza.

 Squid Game

Perché quando si è il gganbu di qualcuno, si condivide ogni cosa con quella persona, anche una fede ritrovata.

 Squid Game

 

[Gi-hun in una scena di Squid Game]

 

Un altro eloquente ritaglio di sequenze in cui a predominare sono ancora misericordia e benevolenza è nell’ottava puntata, Front Man.

 

L’ultima notte Gi-hun, accecato dalla rabbia e da un incontenibile istinto omicida, mentre si sta recando con un coltello verso il suo rivale addormentato, Sang-woo, viene richiamato dalla tenue e flebile voce di Sae-byeok, ormai in fin di vita per una grave ferita precedente.

 

“Non farlo… non sei quel tipo di persona”, gli intima la giovane ragazza, dissipando così in lui ogni pensiero malevolo e riportandolo sulla retta via attraverso la propria ammirevole umanità, fino a quel momento rimasta per lo più celata.

 

Squid Game non è solo dunque quell’efferato e scontato ritratto di feroce bestialità che si pensa voglia a tutti i costi rappresentare.

 Squid Game

Come briciole di pane sparse lungo il proprio ambivalente sentiero narrativo, all’interno della serie sono disseminate altrettante tematiche positive ed edificanti, che le conferiscono una chiave di lettura decisamente contrapposta (oltre che parallela) alla più invece lampante violenza di facciata.

 Squid Game

Basta soltanto allungare l’occhio un po’ in là per essere in grado di scorgerle.

 

[A cura di Marco Tartaglione]

 

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