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Oxygène - Recensione: la suspense che tenta di togliere il fiato

Il thriller claustrofobico firmato Alexandre Aja che vi lascerà con il fiato sospeso

Oxygène si è presentato al pubblico sulla piattaforma digitale Netflix a maggio del 2021.

 

Diretto da Alexandre Aja e interpretato da una coinvolgente Mélanie Laurent, Oxygène – di produzione francese e statunitense – ha tutte le sembianze di un thriller claustrofobico, di natura suggestiva, capace di regalare spunti di riflessione sui dilemmi etici riguardanti la scienza, la tecnologia e sull’indole umana.

 

[Il trailer ufficiale di Oxygène]

 

 

Oxygène narra le vicende di Elizabeth Hansen, una giovane donna che destatasi all’improvviso da un sonno criogenico, si ritrova imprigionata all’interno della capsula predisposta alla salvaguardia delle sue funzioni vitali, edificata per proteggerla durante un lungo riposo.

 

Ben presto però, la capsula si trasforma in una trappola mortale. 

Elizabeth ha poco tempo per trovare una via di salvezza: l’ossigeno a disposizione si sta esaurendo, la morte per asfissia sembra palesarsi come unico scenario possibile, dipingendosi direttamente dinanzi agli occhi della donna e, come ulteriore ostacolo, un’amnesia improvvisa le impedisce di ricordare il suo passato.

 

La protagonista di Oxygène non conosce la propria identità, non ricorda neppure il suo stesso nome e non riesce a rammentare le motivazioni e le modalità che l’hanno condotta all’interno di quella sorta di sarcofago tecnologico. 

 

 

[Mélanie Laurent in - Oxygène]

 

 

A mano a mano che il film dipana la sua trama, comprendiamo al pari di Elizabeth alcuni pezzi della sua storia.

 

Le informazioni all’interno del film vengono fornite agli spettatori solo nel momento in cui è Liz – nome con cui sceglie di rinominarsi per sostituire l'asettico nome assegnatole Omicron 267 – a ricostruire tutti i tasselli del complicatissimo puzzle sulla sua vita.

 

Ad accompagnarla in questo sforzo di ricostruzione della memoria, teso a trovare una via di sopravvivenza, troviamo Milo: un’intelligenza artificiale abilitata ad avviare le comunicazioni con l’esterno e a mantenere sotto costante controllo tutte le funzioni operative della capsula in cui Elizabeth si trova forzatamente rinchiusa.

 

I flashback, le immagini sullo schermo della cabina della sua vita passata, gli articoli accademici di cui è lei stessa protagonista, ci permettono di comprendere che Liz è direttamente coinvolta in quella che pare essere una missione di salvataggio per preservare il futuro dell’umanità gravemente colpita da un virus letale.

 

In questo tentativo di salvezza rivolto al futuro della nostra specie vediamo però immediatamente intrecciarsi lo sforzo di sopravvivenza di Elizabeth, la cui corsa contro il tempo sembra essere fatalmente destinata ad infrangersi contro un destino prossimo e inevitabile che non sembra lasciare speranza di fuga.  

 

 

[La protagonista Elizabeth Hansen all’interno della cella criogenica in Oxygène]

 

 

Tutto quello che apprendiamo nel corso della narrazione di Oxygène ci rende sempre meno avversa la situazione che Liz è costretta a sopportare; saremo tenuti fino all’ultimo minuto con il fiato sospeso in cui i toni del thriller si faranno via via più incalzanti.

 

Una trama già di per sé molto avvincente fornisce inoltre numerosi spunti di riflessione arrivando a mantenere i ritmi della suspense a livelli elevatissimi. 

Alla fine di Oxygène avremo a disposizione abbastanza elementi per continuare a riflettere su ciò a cui abbiamo appena assistito.

 

La nostra valutazione riguarderà sicuramente l’impatto che la scienza assume oggi nelle nostre esistenze e soprattutto su quelle future, portandoci a riflettere sulla possibilità di ritenere etico e morale sobbarcare nuove - e forse già antiquate - vite per consentire la prosecuzione della specie umana costantemente in pericolo di sopravvivenza. 

Molti sono gli elementi che il film utilizza per amplificare il suo discorso.

 

Fattore centrale della narrazione è la voce con cui l’attrice si interfaccia per tutta la durata del film.  

 

 

[A sinistra Milo, l’Intelligenza Artificiale di Oxygène, a destra HAL 9000, il tirannico computer di 2001: Odissea nello spazio]

 

 

Milo, l’intelligenza artificiale che controlla i comandi della capsula, ricalca molto il dispotico computer di 2001: Odissea nello spazio del 1968 di Stanley Kubrick - ma questa volta non si tratta affatto di una tecnologia folle, ma piuttosto di un dispositivo capace di poter offrire valido aiuto alla protagonista.

 

Sebbene non si possa parlare di un computer benevolo, Milo è una tecnologia tutt’altro che ostile, efficiente e abile nell’assolvere le funzioni per il quale è stato programmato, motivo per il quale risponde solo ai comandi che considera comprensibili nel suo linguaggio-macchina.

 

La scienza dunque come ricetta per sopravvivere al presente e poter preservare la nostra specie oltre il futuro.

 

In realtà vi è un ulteriore leitmotiv di Oxygène che si presenta come ingrediente cardine della narrazione: la claustrofobia.

Resa a più livelli in tutta la storia, tale tematica risulta ai nostri occhi sorprendentemente familiare ed impietosamente attuale.

 

Ma non solo.

 

 

[Elizabeth Hansen e Lèo Ferguson, i personaggi protagonisti del film Oxygène]

 

 

La malattia che colpisce gli abitanti del pianeta, lo spaesamento vissuto da Elizabeth al suo risveglio, la tensione per l’incertezza nel futuro e ancora l’idea della morte per mancanza di ossigeno, ma soprattutto la prigionia in un luogo così stretto da portare alla claustrofobia anche lo spettatore nel corso della narrazione…

 

Questi e molti altri sono elementi che sembrano rimandare all’esperienza vissuta in prima persona, da ciascuno di noi, durante le interminabili giornate del lockdown nel 2020.

 

Ogni ripresa di Oxygène sembra studiata appositamente per restituire la costrizione, l’immobilità e l’impossibilità di uscire al di fuori, verso un luogo tanto agognato quanto oscuro e minaccioso esattamente come il mondo che ci attendeva all’esterno delle nostre mura domestiche nei primi mesi di scoperta della COVID-19 nel nostro paese.

 

Un pericolo reso ancor più immobilizzante proprio perché sconosciuto.

 

La panoramica totale mostrata nel corso di una scena di Oxygène, rivela completamente l’interno della capsula in cui è costretta Liz, costringendoci quasi a trattenere il fiato in una sensazione di apnea e confusione che potrà cessare solo nel momento in cui la macchina da presa avrà esaurito la sua vorticosa orbita su se stessa.

 

In questo quadro dai contorni piuttosto angusti, Oxygène propone un altro interessante spunto alla nostra riflessione morale.  

 

 

[L’interno totale della capsula claustrofobica in cui è tenuta prigioniera Elizabeth in Oxygène]

 

 

Esattamente come Elizabeth, durante tutto il film, faremo fatica a comprendere verso chi o cosa riporre la nostra totale fiducia.

 

Fino al termine della narrazione non sarà possibile stabilire di chi potremo fidarci, noi come spettatori e Liz come protagonista: verso l’IA Milo, verso gli altri, ma anche verso Elizabeth stessa le cui amnesie destano nello spettatore sospetti fin dalle prime immagini persino su di lei.

 

Ma l’amore, anche in questo caso, fa da collante a questa disgregazione interiore. 

Come un istinto biologico, una predisposizione genetica, sarà proprio l’amore a portare un po’ di lucidità nei ricordi informi della protagonista.

Avvincente, coinvolgente e riflessivo.

 

Lo sforzo umano che ci costa seguire Oxygène è comparabile a lavori di simile portata e meditazione come Oblivion, uscito nel 2013 per la regia di Joseph Kosinski; oppure, ancor meglio, un precedente esempio ancor più apprezzabile: Moon, diretto nel 2009 da Duncan Jones.  

 

 

[Da sinistra: Tom Cruise in Oblivion 2013, Sam Rockwell in Moon 2009 e Mélanie Laurent in Oxygène]

 

 

Qui però non vediamo Tom Cruise girovagare per le ambientazioni di un mondo post-apocalittico, né Sam Rockwell che tenta di scoprire la verità sulla sua ampia stazione spaziale in cui è costretto a soggiornare.

 

In Oxygène c’è solo il volto disperato di Mélanie Laurent - attrice nota soprattutto per aver interpretato il personaggio di Shosanna Dreyfus in Bastardi senza gloria di Quentin Tarantino -  che tenta di mettere ordine nel caos che affolla la sua mente in uno spazio troppo ristretto per ospitare il terrore di una morte tanto palpabile quanto cristallina.

 

Non c’è nient’altro che si possa dichiarare ulteriormente senza spoilerare completamente il film, rovinando in tal modo in maniera irreversibile il piacere della visione di Oxygène.

 

Ma un’altra cosa mi sento di aggiungerla.

Guardatelo nella versione originale.

 

Dopotutto il francese è una lingua piuttosto gradevole.

 

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