8 film con Jack Nicholson che forse non hai ancora visto
Le celebri interpretazioni di Jack Nicholson hanno avuto un impatto enorme sulla memoria collettiva. Ma quali sono i film meno noti dove l'attore ha recitato?
Jack Nicholson non appare sugli schermi dal 2010 e, per quanto egli non abbia mai ufficializzato l’allontanamento dalle scene, la sua scomparsa cinematografica ha lasciato un grande vuoto, dando adito anche a numerose congetture.
Non è poi una grande novità: complici le numerose paparazzate (le fotografie dove si spalma infastidito la crema solare o il video dove si infuria durante una partita NBA degli amati Los Angeles Lakers), la sua caotica vita privata è stata fin troppo spesso sotto i riflettori.
Dallo scandalo della vera identità della madre alle teorie sulle origini misteriose del padre, l’oscura sfera personale di Jack Nicholson e il suo particolare temperamento potrebbero essere al centro di un romanzo o di una sceneggiatura per un film, magari diretto da Woody Allen, pieno di situazioni grottesche e giganteschi fraintendimenti.
Ma nella stesura di una biografia su un attore del suo calibro, l’approccio gossip è ormai da considerarsi un’operazione perlopiù noiosa e sfiancante, che nulla aggiunge a ciò che già sappiamo o crediamo di sapere.
[John Joseph Nicholson, detto Jack, nasce a Neptune City il 22 aprile 1937. A 17 anni si trasferisce a Los Angeles e inizia a partecipare ai corsi di arte drammatica di Jeff Corey, tenuti da Martin Landau, stringendo amicizia con diverse personalità del tempo come Dennis Hopper e Roger Corman]
Quello che è certo è che Jack Nicholson è uno dei simboli più importanti del Cinema contemporaneo e la sua eterogenea filmografia, inserita all’interno di una carriera estremamente prolifica, non fa altro che dimostrarlo.
Basta scorrere velocemente i film da lui interpretati per comprendere il fenomeno culturale insito nella sua arte recitativa.
Un’arte che ha incontrato non solo il talento dei principali registi del tempo ma che si è anche confrontata con i più disparati filoni cinematografici della New Hollywood, regalando al pubblico personaggi straordinari.
Non sembra tanto sbagliato supporre, perciò, che alle origini di tale celebrità vi sia anzitutto l’enorme successo scaturito dai suoi ruoli più importanti.
Un successo che l’attore ha inevitabilmente pagato, nel corso del tempo, scontrandosi con una difficoltà con la quale sono stati costretti a fare i conti molti altri celebri interpreti del Cinema.
Questo perché quando sei un attore di grande talento come Jack Nicholson e contribuisci alla formazione di personaggi tanto d’impatto nella cultura popolare, corri il rischio di incappare nel problema dell’identificazione, per cui il pubblico tenderà, nella maggior parte dei casi, a confondere la tua persona con quella del personaggio che hai portato in scena.
Un processo di mistificazione involontaria che certamente può agevolare la fama di un attore emergente ma che nel lungo periodo rischia di confinare lo stesso all’interno di uno schema fisso, una sorta di gabbia stereotipica dalla quale è impossibile uscire.
Non è un caso che, a partire da questi volti iconici, è possibile addirittura - e con una certa presunzione, lo ammetto - suddividere la filmografia dell’attore in 4 grandi blocchi: un primo blocco pre-Easy Rider (1958-1969), un secondo blocco da Easy Rider a Shining (1969-1980), un terzo blocco da Shining a Batman (1980-1989) e infine un ultimo blocco post-Batman (1989-2010).
Come se Jack Nicholson, all’inizio di ogni decennio, avesse consapevolmente deciso di vestire i panni di un personaggio destinato a divenire di fondamentale importanza per la sua carriera.
[Il celebre personaggio di Jack Torrance in Shining è esemplificativo rispetto al problema dell'identificazione: nell'immaginario collettivo, alterato e distorto dall'impatto dell'interpretazione, l'attore stesso finisce per essere identificato come un folle psicopatico]
Nel poco conosciuto periodo pre-Easy Rider il giovane Jack Nicholson tentò, con pochi risultati, di sfondare nel mondo del Cinema, sperimentando il rapporto con la macchina da presa attraverso alcune simpatiche apparizioni in B-movie di genere.
Grazie all’amicizia con Roger Corman, l’attore fu protagonista al suo debutto in The Cry Baby Killer e interpretò una serie di personaggi in alcuni suoi film: un paziente masochista e impresario di pompe funebri nell’horror grottesco La piccola bottega degli orrori oppure un giovane ufficiale francese perso in un’isola misteriosa e sedotto da un’ambigua figura fantasmagorica ne La vergine di cera.
Il salto decisivo verso quella grande macchina produttiva chiamata Hollywood arrivò grazie al film manifesto di Dennis Hopper dove Jack Nicholson interpretò un avvocato alcolizzato e incline all’enunciazione di discorsi strampalati, ricevendo la sua prima nomination ai Premi Oscar.
[Il famoso monologo sulla libertà recitato da Jack Nicholson in Easy Rider]
Il decennio successivo spinse Jack Nicholson da Easy Rider fino a Shining, passando per Chinatown e Professione: reporter.
Numerose interpretazioni contribuirono alla costruzione della sua fama di affascinante antieroe e, soprattutto con Qualcuno volò sul nido del cuculo, intorno alla sua presenza scenica iniziò a costituirsi una vera e propria mitologia.
Il film di MilošForman, inoltre, gli valse finalmente il suo primo Premio Oscar come Migliore Attore Protagonista.
[Una delle scene più memorabili di Qualcuno volò sul nido del cuculo: l'interpretazione di Jack Nicholson è considerata ancora oggi una delle sue migliori in assoluto]
L’anello di congiunzione tra questo decennio e il successivo fu Stanley Kubrick il quale, dopo un primo interesse manifestato nei confronti dell’attore ai tempi di Easy Rider, lo scritturò come protagonista in Shining.
Nonostante l'enorme fama del personaggio di Jack Torrance e l’indiscutibile impatto che il film di Kubrick continua ad avere persino nelle produzioni cinematografiche odierne, protagonista di questo periodo fu anche Il postino suona sempre due volte, remake dell’omonimo film del 1946 dove Nicholson recitò a fianco di Jessica Lange.
Sul finire degli anni ‘90 l’attore fu chiamato ad interpretare Joker in una nuova versione cinematografica di Batman firmata daTim Burton.
L’aspetto fumettistico e il terrificante ghigno che caratterizzavano la versione cinematografica da lui proposta dello storico antagonista di Bruce Wayne costituirono un’importante eredità con la quale furono costretti a confrontarsi tutti i successivi capitoli della saga dedicata all’uomo pipistrello.
Tim Burton e Jack Nicholson collaborarono una seconda volta con il genialeMars Attacks!dove l’attore ricopriva ben due ruoli: quello del Presidente degli Stati Uniti e quello di un avido immobiliarista di Las Vegas.
[Michael Keaton, Tim Burton e Jack Nicholson sul set di Batman]
Il post-Batman nella carriera di Jack Nicholson prese pieghe piuttosto insolite all’interno di un percorso tortuoso e ricco di zone d’ombra, tra grandi successi e notevoli fallimenti.
Nonostante due candidature ai Razzie Award come Peggiore Attore, non mancarono interpretazioni notevoli tra le quali si distinse, a livello di successo popolare, quella di un affermato scrittore ossessivo compulsivo in Qualcosa è cambiato.
L’approdo definitivo alla commedia per l’attore arrivò dunque alla soglia dei suoi 60 anni, grazie a una collaborazione con l’amico James L. Brooks iniziata in realtà più di 10 anni prima con Voglia di tenerezza e Dentro la notizia - Broadcast News.
Il personaggio di Melvin gli si attaccò addosso immediatamente, facendogli ottenere la sua seconda statuetta d’oro in coppia con Helen Hunt (non era mai successo nella Storia degli Academy Awards che due attori vincessero i premi di punta per lo stesso film) e aprendogli una serie di opportunità in altre commedie del nuovo millennio tra cui A proposito di Schmidt, Terapia d’urto e Tutto può succedere.
L’ultimo significativo ricordo cinematografico di Jack Nicholson risale al 2006, anno in cui l’attore recitò per la prima volta per Martin Scorsese.
Dopo una breve pausa infatti, si ritrovò ad interpretare il boss mafioso di origini irlandesi Frank Costello in The Departed - Il bene e il male, il film Premio Oscar e remake di Infernal Affairs di Andrew Lau.
Costello fu per lui l’ennesimo personaggio dal grande appeal capace di farsi spazio nell’immaginario comune come un vero e proprio mito, confermando l’esistenza di una forma di divismo che, fino alla presunta fine della sua carriera, non sembra averlo mai abbandonato.
Ma se il percorso artistico di Jack Nicholson risulta disseminato, come abbiamo visto, da una serie di imprescindibili prove recitative, è anche vero che all’interno dello stesso percorso è possibile ricordare alcune interpretazioni meno note che, a causa della concorrenza di molteplici fattori, non sono riuscite a riscuotere lo stesso successo e hanno perso la possibilità di farsi spazio con maggiore tenacia nella memoria collettiva.
La seconda collaborazione di Jack Nicholson con Bob Rafelson (dopo aver prodotto Sogni perduti, sulle disavventure musicali di un finto gruppo rock) è un film piuttosto rappresentativo del Cinema hollywoodiano a cavallo tra gli anni ‘60 e '70.
Cinque pezzi facili comunica la disillusione del sogno americano attraverso la metafora del nomadismo.
Il protagonista, Robert Eroica Dupea, vaga indeciso tra i rimorsi di un passato solo apparentemente archiviato, che lo avrebbe visto proseguire una gratificante carriera da apprezzato pianista, e la speranza di raggiungere finalmente una forma - anche effimera - di rincuorante pace.
Il personaggio interpretato da Nicholson, il cui secondo nome appunto richiama la celebre Sinfonia n. 3 di Ludwig van Beethoven, è un uomo che esprime a pieno il senso di inadeguatezza e il disagio esistenziale, ergendosi a simbolo di un Paese prossimo alla perdita definitiva di un’identità socio-politica.
Nicholson porta in scena l’utopia del progresso e della trasformazione proletaria e il disprezzo per il conservatorismo borghese, recitando la silenziosa sofferenza di un uomo costantemente distaccato, apatico, il quale atteggiamento è sintomo di un rifiuto naturale alla questione ideologica e di una vita vissuta al di fuori della realtà, in una condizione continua di isolamento sociale e incomunicabilità.
Il film di Rafelson riscuote un discreto successo ai Premi Oscar e ai Golden Globe del 1971, ricevendo numerose nomination, tra cui quella di Migliore Attore Protagonista per Jack e di Migliore Attrice non Protagonista per la straordinaria interpretazione di Karen Black.
Disponibile in home video e a noleggio su Chili e Apple TV
Posizione 7
Conoscenza carnale
di Mike Nichols, 1971
In Conoscenza carnale, quarta regia del celebre regista de Il laureato, Jack Nicholson interpreta Jonathan, un uomo benestante della middle-class, piuttosto liberale e apparentemente sofisticato.
Al centro delle vicende la sua amicizia con Sandy, interpretato da un giovane Art Garfunkel, iniziata al college e proseguita con il raggiungimento dell’età adulta.
Il film è suddiviso in tre atti al centro dei quali è sempre protagonista il sesso: il primo racconta la dinamica di un classico triangolo amoroso nel quale Jonathan finisce a causa dell’incertezza di una ragazza; il secondo affronta una fase più matura dell’uomo nel rapporto con l’unica donna che riesce a trascinarlo in una relazione seria; mentre il terzo rappresenta l’inevitabile epilogo del personaggio, confinato nelle tristi perversioni di una virilità ormai perduta.
In pieno spirito da controcultura, Nicholson regala al pubblico il ritratto di un uomo dal sorriso strafottente, la cui arroganza è il riflesso di una patologica ansia da prestazione scaturita dal confronto con una mascolinità necessaria all’effettivo inserimento in società.
L’attore incarna alla perfezione la crudeltà e la sensualità perversa di un narcisista cronico, un essere umano profondamente interessato al proprio successo e al raggiungimento di una qualsiasi forma di potere, economica e sessuale.
La sua prova recitativa conferisce al personaggio un’aura tristemente affascinante, portando alla luce una scioccante misoginia interiorizzata, frutto di un sistema di ruoli femminili prestabiliti e rappresentati attraverso stereotipi all’interno dello stesso film.
Un marinaio diciottenne (Randy Quaid), con una recidiva inclinazione alla cleptomania, viene condannato a otto anni di reclusione a causa di un piccolo furto.
Due colleghi (Jack Nicholson e Otis Young), incaricati di scortarlo alla prigione, decidono di impiegare il tempo del viaggio nel miglior modo possibile, per far vivere al condannato una serie di esperienze giovanili che avrebbe inevitabilmente perso a causa della futura reclusione.
L’ultima corvé, scritto da Robert Towne (lo stesso sceneggiatore che un anno dopo avrebbe scritto Chinatown), appare come un road movie di formazione, ma il centro dell'attenzione è più che altro di Nicholson che interpreta l'agitato Billy Somawsky.
Connotato da caratteristiche lo rendono immediatamente un’icona (come i grandi baffi che porta con fierezza) e da un atteggiamento incline alla ribellione e al cinismo imperante, il marinaio più anziano interpretato dall’attore presenta alcune analogie con il successivo Randle in Qualcuno volò sul nido del cuculo.
L’approccio è infatti raffinatissimo: l’attore non oltrepassa mai il limite dell’eccesso, ma cura minuziosamente i dettagli più insignificanti e quotidiani, contribuendo al realismo melanconico di un film duro che fa del linguaggio sboccato da esercito un suo grande punto di forza.
Per questa prova, che Nicholson considerava ai tempi la migliore in assoluto della sua carriera, gli fu assegnato il premio per la miglior interpretazione maschile al Festival di Cannes, ma non l’ambito Premio Oscar.
Disponibile in home video e a noleggio su Chili e Apple TV
Posizione 5
Missouri
di Arthur Penn, 1976
Con Missouri, Arthur Penn torna al western per l’ultima volta, realizzando un film atipico dai toni goliardici della commedia, con un finale oscuro senza vinti né vincitori.
Partendo da un intreccio piuttosto comune nel genere, Missouri si tiene in vita grazie principalmente a due grandi interpretazioni che riescono a salvare il film persino dai suoi tempi più morti.
Al centro delle vicende il conflitto antitetico tra il capo di una banda di ladri di cavalli (Jack Nicholson) e un folle mercenario intenzionato a porre fine alle loro nefandezze (Marlon Brando).
Reduci da due grandi ruoli - Qualcuno volò sul nido del cuculo e Ultimo tango a Parigi - i due attori celebrano la loro prima volta all’interno della stessa produzione, realizzando due prove recitative in perfetta sintonia.
L’istrionismo di Brando - in totale stato di grazia nella parte di un folle omicida regolatore di conti, ossessionato dall’igiene e da assurdi travestimenti - non oscura affatto la più contenuta interpretazione di Nicholson, a testimonianza della sua indiscussa grandezza scenica.
Scontrandosi con lo scenario tragico dei compagni uccisi e impiccati, il desiderio di pace rappresentato dal suo personaggio - riscontrabile nel modo in cui egli inizia a dedicarsi con cura all’orto del suo nuovo ranch o nel rapporto che instaura con la dolce Jane (Kathleen Lloyd) - diventa il cuore pulsante della narrazione.
Disponibile su NOW
Posizione 4
Reds
di Warren Beatty, 1981
Reds è un kolossal politico drammatico, nato dalla volontà di Warren Beatty di raccontare la vita dello scrittore John Reed, la storia d’amore con Louise Bryant e le preziose testimonianze della Rivoluzione d’ottobre riassunte straordinariamente nella sua opera più celebre: I dieci giorni che sconvolsero il mondo.
Un progetto complesso e rischioso per il suo contenuto, che riuscì a guadagnarsi un ampio spazio agli Oscar di quell’anno - ricevendo 12 nomination e ottenendo 3 statuette - e che non ebbe paura di dichiarare la propria posizione facendo emergere una riflessione sulla rivoluzione proletaria e sulla propaganda del pensiero comunista, socialista e anarchico.
Nonostante ciò il film dimostra di sposare perfettamente lo spirito hollywoodiano commistionando generi e registri nelle scene fotografate da Vittorio Storaro e, oltre ad arricchirsi di interviste a persone reali, punta i riflettori sulle magistrali interpretazioni dei protagonisti: lo stesso Beatty e Diane Keaton.
All’interno di questo contesto s’inserisce la prova di Jack Nicholson nei panni del drammaturgo Eugene O’Neill, figura fondamentale per il teatro statunitense dell’epoca, arte pressoché inesistente a causa dell’ostracismo puritano che caratterizzava il Paese.
Un Nicholson inedito, più serio e distaccato, interpreta egregiamente l’uomo che seppe attingere al teatro del passato, mescolando melodramma, realismo ibseniano e espressionismo, per criticare la corruzione e l’alienazione della civiltà statunitense.
Nonostante lo scarso minutaggio in scena sulla durata complessiva del film (3 ore e 20') le sue sporadiche apparizioni si stagliano sulla narrazione come momenti di grande potenza drammatica, esprimendo lo scetticismo di un intellettuale diffidente dalla rivoluzione “chiacchierata” della borghesia.
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Posizione 3
Le streghe di Eastwick
di George Miller, 1987
George Miller firma una commedia nera incentrata su tre amiche single, le quali vite rimangono sconvolte dall’arrivo di un miliardario eccentrico “non troppo bello, ma fascinoso” appena trasferitosi nel tranquillo paese di Eastwick.
Il quartetto di attori scelto è assolutamente di alto livello: Cher, Michelle Pfeiffer e Susan Sarandon interpretano tre donne libere e indipendenti, rimaste sole per diversi motivi, mentre Jack Nicholson regala al pubblico una delle più insolite rappresentazioni del demonio nel Cinema.
L’attore impersona il Diavolo con grande talento, riuscendo a far collimare tutte le contraddizioni del luciferino: il suo Daryl Van Horne è tanto ammaliante quanto spregevole, tanto elegante quanto volgare, non solo un diavolo tentatore ma una vera e propria bestia soprannaturale rivestita in giacca e cravatta, amante della sincerità, del lusso ma soprattutto sedotto dallo straordinario e orrorifico potenziale inespresso femminile.
Il film di Miller è, in effetti, una grande allegoria alla condizione della donna nella società, spesso oppressa da modelli familiari imposti e matrimoni soffocati dalla monotonia, e dà alle sue protagoniste l’occasione, seppur diabolica, di poter finalmente rifiorire.
“Questo è soltanto un altro esempio di un mondo dominato dal maschio in ogni settore e della repressione delle donne per i suoi egoistici propositi.
Che paraculo sono questi uomini, non trova? Non occorre che risponda.
Hanno paura. Quando si confrontano con donne di indubbia forza, gli si smoscia! E allora, che fanno?
Le chiamano streghe, le bruciano, le torturano, finché ogni donna ha paura.
Ha paura di sé, ha paura della paura degli uomini: quella di perdere la loro erezione!”
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Posizione 2
Il grande inganno
di Jack Nicholson, 1990
Nel 1990 Jack Nicholson per la sua ultima regia compie un atto di mirabile coraggio: lo scopo è quello di realizzare un sequel di Chinatown di Roman Polański, uno dei capisaldi della sua carriera nonché una delle sue interpretazioni di maggiore successo.
Il grande inganno fa arrabbiare molti cinefili, richiamando in tutto e per tutto il film del regista polacco, seguendo la sua falsa riga e utilizzando frammenti della storia originale attraverso timidi flashback da stress post-traumatico.
Il tormento di Nicholson nella realizzazione di questo film - si dice che l’attore smontasse e rimontasse le parti più e più volte - è assolutamente palpabile, a partire dal contenuto diluito della commistione tra privato e sociale e del ritmo della narrazione che, troppo spesso, rischia di far dimenticare allo spettatore l’obiettivo del detective al centro delle indagini.
Nonostante ciò, pur considerando il terribile fiasco che ne conseguì, la regia di Nicholson presenta piacevoli atmosfere, sostenute da una fotografia morbida e da alcune raffinatezze stilistiche.
Il film è inoltre l’ennesima conferma del suo professionismo attoriale: rivestire i panni di Jack Gittes dopo così tanto tempo lo mette a rischio di apparire ridicolo, sottolineando l’inevitabile e naturale decadimento al quale tutti, a causa del passare del tempo, siamo sottoposti.
Ma la sua prova risulta piuttosto dignitosa, impreziosita con grazia e incantevole controllo.
Disponibile in home video e a noleggio su Amazon Video
Posizione 1
La promessa
di Sean Penn, 2001
Per la sua terza regia Sean Penn realizza un thriller di forte impatto emotivo, mettendo al centro delle vicende le indagini di un detective di polizia interpretato da Jack Nicholson.
Jerry Black è infatti un apprezzato ispettore che, alla soglia del suo pensionamento, si imbatte in uno spregevole caso di stupro destinato a divenire per lui una vera e propria ossessione.
Nicholson interpreta divinamente il protagonista, mettendo in luce la pazienza strategica alla base del suo lavoro, ormai completamente dedicato a scoprire l’identità di un serial killer apparentemente inesistente.
Alla base della sua prova il delicato equilibrio tra ragione e follia che lascia costantemente dubitare allo spettatore che si tratti di una ricerca vana, spinta dal delirio di un uomo solo, depresso e profondamente malato.
Penn dirige un film lontano dai canoni del poliziesco, scegliendo di ripudiare la logica come strumento necessario per la soluzione di un crimine ed enfatizzando il senso ostinato di giustizia con ogni lecito mezzo, all’interno di un’atmosfera estremamente desolante, tra zone rurali e polverose abbagliate dal sole e gelidi paesaggi innevati.
“Ho fatto una promessa, Eric: tu hai l’età per ricordarti di quando questo contava”.
LaTati23
1 anno fa
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Terry Miller
1 anno fa
Dei suoi ultimissimi, mi era piaciuto anche Non è mai troppo tardi, ho un debole per storie del genere.
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