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Joy e il problema con il Mocio Vileda

Entro quali limiti si possono utilizzare marchi registrati in un film?

Il film Joy, con la regia di David O. Russell e un cast che comprende Jennifer Lawrence, Robert De Niro, Bradley Cooper e Isabella Rossellini, è ispirato alla biografia di Joy Mangano, la geniale imprenditrice che negli anni '90 inventò un innovativo tipo di scopa per pulire pavimenti con straccio auto-strizzante: il Miracle Mop, che la rese milionaria.

 

L'opera è stata oggetto di controversia dovuto all'uso nel film del marchio Mocio, la famosa scopa per pavimenti della Vileda che ha chiamato in causa le produttrici del film.

 

La ricorrente, la FHP di R. Freudenberg s.a.s. - società appartenente al Gruppo multinazionale Freudenberg che distribuisce in Italia i prodotti per la cura della casa a marchio Vileda - ha lamentato l’indebito impiego ossessivo e non autorizzato per ben 40 volte del proprio marchio Mocio, nella versione doppiata in italiano di Joy, giacché utilizzato per contraddistinguere una scopa per lavare i pavimenti. 

 

[Trailer italiano di Joy]

 

 

Dunque in un film non si possono utilizzare marchi registrati?

 

No, al contrario, ma sempre nel rispetto della legge che tutela i marchi.

Nel caso del film Joy e del Mocio, il Tribunale (Tribunale Milano (ord.), 18/05/2016), ha giudicato l'uso nel film non idoneo a ledere il marchio.

 

Infatti l’uso del marchio altrui in opere letterarie, scientifiche e artistiche, quale deve ritenersi un’opera cinematografica, è giudicato da attenta dottrina come “uso civile” e non commerciale, quindi in sé escluso dall’alveo dell’illecito. 

 

 



In ogni caso, ove invece si voglia privilegiare il fatto che la produzione di un film costituisca anche indubbiamente una operazione economica, l’impiego del segno litigioso nella versione italiana del film Joy è in funzione descrittiva, giacché non usato per presentare un prodotto delle resistenti sotto il marchio altrui, o per creare un collegamento con quest'ultimo.

 

Esso viene invece utilizzato solo “come un segmento del linguaggio, come elemento della comunicazione”.

 

Infatti alla locuzione Mocio sono ricorsi esclusivamente gli adattatori e i doppiatori nella sola versione in lingua italiana, con finalità meramente descrittive della scopa per pavimenti, inventata dalla protagonista e dotata di funzioni simili, ma distinte rispetto al Mocio Vileda, una scopa auto-strizzante e lavabile in lavatrice.

 

 

[Jennifer Lawrence: Joy Mangano in Joy]

 

 

Il Tribunale ha inoltre ritenuto non sussistere nell'utilizzo del marchio Mocio, neppure una condotta parassitaria (neppure prospettata) né denigratoria a danno della ricorrente.

 

Sotto quest’ultimo profilo, in Joy l’impiego del segno Mocio non è utilizzato in chiave critica o parodistica.

Non si pone dunque, neppure in astratto, la questione del bilanciamento tra il diritto di critica e il diritto alla reputazione del segno distintivo (Trib. Milano 8.7.2013, Enel s.p.a. Greenpeace Onlus).

 

In un'opera cinematografica prevale l'espressione della libera manifestazione artistica, tendente alla trasfigurazione della realtà, e lo spazio di tutela dei diritti dei terzi (anche, assoluti, della persona quali la reputazione e l’immagine) eventualmente confliggenti è ristretto, giacché lo spettatore

“Non si aspetta di essere posto al corrente di notizie vere, attendendo piuttosto la manipolazione della realtà, finalizzata al raggiungimento di mete ulteriori ed ideali” (Cass. n. 10495/2009).

 

[Trailer internazionale di Joy]

 

 

La rappresentazione cinematografica presuppone in sé uno iato tra le immagini e le parole che lo accompagnano e la realtà, che lo spettatore sembrerebbe in grado di recepire e comprendere.

 

In definitiva, l’impiego censurato non appare illecito, ma conforme ai principi della correttezza professionale, violati secondo la Corte di Giustizia quando l’uso del segno: 

a) avvenga in modo da far pensare che esista un rapporto commerciale tra i terzi e il titolare del marchio;

b) pregiudichi il valore del marchio traendo indebito vantaggio dal suo carattere distintivo o dalla sua notorietà;

c) causi discredito o denigrazione di tale marchio;

d) il terzo presenti il suo prodotto come un’imitazione del prodotto recante il marchio di cui egli non è titolare (Corte di Giustizia, CE, 17 marzo 2005, caso Gillette). 

 

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