#Goodnight&Goodluck
Buonanotte amici della notte... Vorrei parlare di un film che, personalmente, ritengo essere uno dei più rilevanti degli ultimi 20 anni. Perdonate se mi dilungherò ma, il regista e la pellicola in questione meritano tutto lo spazio possibile. (Bisogna vedere se sarò in grado di rendergli onore!)
«Sono sempre stato interessato alla differenza tra “fatto” e “verità”.
E ho sempre sentito che esiste qualcosa come una verità più profonda. Esiste nel cinema, e la chiamerei “verità estatica”.
È più o meno come in poesia.
Quando leggi una grande poesia, senti immediatamente, nel tuo cuore, nelle tue budella, che c’è una profonda, inerente verità, una verità estatica. […] è misteriosa ed elusiva, e può essere colta solo per mezzo di invenzione e immaginazione e stilizzazione»
[Werner Herzog]
Il tentativo di dare una definizione marcata e sintetica dell’opera artistico-cinematografica di Werner Herzog può risultare un compito tanto improbo quanto cercare di infilare un cammello nella più proverbiale cruna dell’ago.
Nato nel ’42 in Germania, il giovane Werner si trasferì in Baviera con la madre e i fratelli dove visse un’infanzia felice seppur caratterizzata da stenti, privazioni e difficoltà economiche.
Studente mediocre ma con un’enorme capacità di osservazione, terminati gli studi iniziò a girovagare (a piedi) per l’Europa, fra Inghilterra e Grecia; in seguito andò alla scoperta del Sud America e si ritrovò a guidare un camion in giro per l’Africa con l’obiettivo di raggiungere il Congo, senza mai approdarvi per aver contratto una malattia lungo la strada.
"Sono convinto che quel che ci impongono di imparare a scuola venga dimenticato nel giro di un paio d’anni.
Ma ogni cosa che impari per placare la tua sete non la dimentichi mai."
A 19 anni il suo primo cortometraggio (Ercole), autoprodotto con i soldi ricavati dopo aver lavorato in una fonderia.
Di qui inizia una lunga carriera che lo porterà a essere considerato uno dei padri fondatori del cosiddetto “Nuovo cinema tedesco” oltre che uno dei più grandi cineasti viventi.
La sua filmografia, composta da oltre 70 pellicole, comprende capolavori del calibro di Aguirre, furore di Dio, Fitzcarraldo e molti altri ancora (la lista sarebbe interminabile).
Come detto, Werner Herzog è uno dei registi più “dinamici” e “avventurieri” della Storia del Cinema: ha girato diversi film nella selvaggia foresta amazzonica (in Fitzcarraldo fece issare su per un colle un battello tramite un sistema di carrucole e argani manovrati dagli indios – perché questo prevedeva la storia – e si rifiutò di ricorrere a ricostruzioni con modellini), ha affrontato i deserti arroventati dell’Africa per catturare con l’obiettivo della macchina da presa la sua Fata Morgana, ha girato un film con l’intero cast sotto effetto di ipnosi (Cuore di vetro) e ci ha spiegato che Anche i nani hanno cominciato da piccoli.
In breve: Werner Herzog ne sa una più del demonio.
Il suo cinema è caratterizzato dalla potenza e dalla “nitidezza” delle immagini che vengono catturate dalla cinepresa: ogni anfratto di foresta tropicale o duna rossiccia, ogni volto segnato da follia, stanchezza o genio sembrano balzare fuori dallo schermo tanto è potente la loro carica evocativa.
[Klaus Kinski in Aguirre, furore di Dio,1972]
Nel 2005 il regista tedesco realizzò un film documentario montando il materiale ripreso da una delle figure più controverse e discusse degli ultimi decenni: Timothy Treadwell.
Chi era costui?
Treadwell era un giovane americano, appartenente alla middle class, con trascorsi abbastanza anonimi tra una famiglia amorevole e problemi di alcolismo.
Tim, da sempre animalista convinto, per 13 stagioni consecutive (dal 1990 al 2003) visse in Alaska in mezzo a una delle bestie più pericolose del globo terracqueo: il grizzly.
Fermamente convinto di essere stato scelto dalla provvidenza come “paladino” di una specie a rischio, Timothy realizzò circa 100 ore di riprese della sua vita insieme alle mastodontiche creature in una cornice spettacolosamente ostile e selvaggia come quella del parco nazionale di Katmai.
Nel corso degli anni diventò una celebrità nazionale: presentò nelle scuole una campagna di sensibilizzazione verso i grizzly (senza mai chiedere un soldo), parlava con la gente, si batteva per i diritti dei suoi amici ursidi e arrivò a essere intervistato persino da David Letterman che ne predisse la morte.
Raccontare in poche righe il rapporto fra Treadwell e la natura è deleterio.
Sognatore dal cuore d’oro, amante della bellezza del mondo o semplice mitomane incallito?
Difficile dirlo.
Quello che fece Herzog fu di montare il materiale a disposizione e, nel mentre, ripercorrere la storia di Tim, attraverso le parole degli amici e dei parenti, dall’infanzia fino alla sua morte.
Nel percorso biografico dell’uomo dei grizzly si scontrano gli universi dei due protagonisti: Treadwell con il suo amore fanatico e viscerale per l’ambiente e per le creature che lo popolano, dove tutto è in armonia e meraviglioso; e poi quello di Herzog, con una natura matrigna conosciuta nell’ostilità dell’Amazzonia e nei deserti bruciati di mezzo mondo.
Luoghi che fecero maturare nella mente di Herzog il pensiero che la natura, l’universo e, perché no, la vita stessa siano dominati
“Non dall’armonia ma dal caos, l’ostilità e l’omicidio”.
«È un luogo dove la natura non è ancora completa…
un luogo dove Dio, se esiste, ha creato con rabbia… anche le stelle nel cielo appaiono in confusione»
[Werner Herzog a proposito della Foresta Amazzonica, durante la lavorazione di Fitzcarraldo]
Lo scontro fra le visioni dei due protagonisti della narrazione è violentissimo, da una parte il romanticismo e la sensibilità di Tim e dall’altra la realtà cinica e feroce di Werner.
Il risultato finale è qualcosa di semplicemente magico.
Grizzly Man è cinema allo stato puro.
All’interno del film ci sono riprese e immagini che definire meravigliose è a dir poco un eufemismo (i contatti di Treadwell con gli Orsi, le corse e i giochi con “volpi addomesticate” e la bellezza della flora dell’Alaska sono qualcosa che toglie letteralmente il fiato), ma soprattutto resta di una pregevolezza disarmante il discorso-scontro fra i due poli della pellicola.
Herzog sembra voler condurre lo spettatore a parteggiare per Treadwell, per poi portarlo a un’abiura immediata di fronte alla follia-ingenuità-genio di un uomo che convisse per un lungo periodo con uno dei predatori più feroci esistenti al mondo, rifiutando la sua natura di essere umano - le sue convenzioni sociali e i suoi dogmi - cercando di trasfigurarsi in orso.
Impietoso, a tratti, il commento di Herzog sembrerebbe esprimersi attraverso la testimonianza di uno dei soccorritori che trovarono il cadavere di Tim (Timothy Treadwell è stato ucciso, brutalizzato e sbranato da un Grizzly insieme alla fidanzata Amie Huguenard nel 2003):
“Ha avuto quello che meritava… quello che cercava…
Era come convinto di avere a che fare non con veri orsi ma con esseri umani travestiti da grizzly…
Probabilmente loro lo accettavano perché pensavano che fosse una qualche sorta di ritardato… finché uno di loro non deve aver pensato
‘Hey… He might be good to eat!’”.
In mezzo a tutto questo Herzog ha anche modo di raccontarci la sua visione di cinema.
Nel materiale girato da Treadwell, spiega il regista, esistono delle sequenze catturate “inconsapevolmente” che sprigionano tutta la potenza di paesaggi e situazioni che affondano le loro radici nella storia della Terra.
Dentro di esse è possibile individuare chiaramente quello splendido, orribile, misterioso alone di misticismo e ancestralità proprio della natura selvaggia.
Impreziosito da una colonna sonora a dir poco perfetta, Grizzly Man rappresenta uno dei più importanti prodotti cinematografici degli ultimi anni.
In tutte le sue piccole imperfezioni (l’artificiosità di certe interviste è più che evidente, e probabilmente anche voluta) questo film racchiude in sé tutta la magia, la potenza visiva ed emotiva del mezzo cinematografico, stillate con maestria dal regista tedesco fino all’ultima goccia.
- Grizzly Man, di Werner Herzog, 2005
Fate un favore a voi stessi: guardatelo.
È uno di quei film che fa sorridere il cuore per tutta la sua durata… e anche oltre.
Buonanotte, verdi formiche sognatrici.
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15 commenti
Marco Natale
4 anni fa
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Adriano Meis
6 anni fa
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Adriano Meis
6 anni fa
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Adriano Meis
6 anni fa
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Adriano Meis
6 anni fa
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Eugenio
6 anni fa
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Adriano Meis
6 anni fa
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Adriano Meis
6 anni fa
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Adriano Meis
6 anni fa
Aguirre assolutamente. È il manifesto del pensiero Herzogghiano. Non che Fitzcarraldo non lo sia, ma Aguirre ha una storia (parlo sia della realizzazione che dello script) pazzesca (anche qui, non è che una nave issata su per una collina non abbia fascino, eh). Mi sentirei di spingerti verso il cinema documentario di WH...è l’essenza della settima arte. Ma magari ne riparlerò nella rubrica (o ci penserà qualche collega redattore 😉)
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Adriano Meis
6 anni fa
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Luca Ernandes
6 anni fa
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Adriano Meis
6 anni fa
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Adriano Meis
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Adriano Meis
6 anni fa
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Adriano Meis
6 anni fa
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