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Woody and I: di quella volta che non capivo Woody Allen

Perché non dovete sentirvi in difetto se non amate o non capite, ancora, Woody Allen 

Perché non dovete sentirvi in difetto se non amate o non capite, ancora, Woody Allen e perché dalla visione cinematografica non possiamo sottrarre opinioni, idee e ego dell'autore ma dovremmo sopprimere quello del pubblico, almeno durante la visione.

 

Una delle esperienze più frustranti e al contempo interessanti dell'esperienza umana è lo stare a sentire le opinioni altrui.

 

In quanto esseri umani, in quanto esponenti della forma più evoluta sulla terra e la più egocentrica ed egomaniaca, siamo portati a pensare di essere sempre e comunque il centro di ogni cosa.

 

Se come me siete figli unici, smettetela di prendervela quando vi viene detto che i figli unici sono egocentrici e viziati, poiché le persone più egocentriche ed egoiste che conosco hanno fratelli e sorelle.

 

Se avete fratelli e sorelle e questa cosa vi offende, rilassatevi: non sto offendendo direttamente nessuno di voi ma, qualora la cosa vi toccasse, stareste dimostrando quanto l'essere umano non riesca mai a considerare di far parte di una moltitudine che popola la terra da migliaia di anni e che, oh Grande Giove, non sto puntando il dito specificatamente contro te che stai leggendo questo pezzo.

Calmino, né.

 

Questo difetto congenito della nostra discutibile specie ci porta anche a dare grande rilevanza non solo alla nostra persona ma al nostro pensiero, e molto spesso siamo convinti di essere portatori di una verità unica e rivoluzionaria, quando invece, molto probabilmente, qualcuno che vive nel nostro stesso quartiere la pensa esattamente come noi.

 

Nella società contemporanea questo fenomeno ha raggiunto proporzioni ridicole e l'egocentrismo dell'uomo si è fatto sagace commento di Facebook, in un tripudio di gruppi e pagine e commentatori sapienti che la sanno più di tutti e sbeffeggiano la qualunque, forti di essere membri esclusivi di un club di eletti portatori di verità che, fatevene una ragione, probabilmente non è tale, e se è tale è fallace quindi affetta da macroscopici e invalidanti difetti o minori e discutibili sbavature, portando comunque verso altri pensieri.

 

Le opinioni, contrariamente ai fatti, sono per loro stessa natura fragili e se fate parte di un sardonico e brillante club esclusivo di illuminati commentatori, ricordate che Groucho Marx disse

"Non vorrei mai far parte di un club che accettasse tra i suoi soci uno come me".

 

Pensateci e cercate di capire se voi vorreste far parte davvero di quel gruppo e, cortesemente, togliete le scarpe e mettetevi fermi in posizione eretta dove ci sono quelle impronte da clown, l'egometro - i commenti sagaci sono una grossa forma di corsa al riscatto sociale tramite pollicini, faccine e tutte quelle maledizioni del nostro tempo che ci portano via da un presente deludente che non riusciamo a sfondare... ruspa! 

 

 

[Il Death Stranding di Hideo Kojima, nel suo esasperare il concetto di like e spam della nostra presenza emoticosa sul web, è stato uno dei più feroci detrattori del fenomeno, ricordandosi però di mostrarne l'antidoto]

 

Eppure contiamo moltissimo sulle nostre opinioni e non vi è niente che ci irriti di più di uno starnazzatore saccente a cui importa più il suono della propria voce o la memorabilità del suo accattivamente commento, che l'effettivo peso che questo ha sul mondo.

 

Le nostre convinzioni sono il fondamento delle nostre giornate, la bussola che ci aiuta a disegnare la rotta che andiamo a tracciare nel nostro percorso di vita, definendo chi siamo e per via di questa fondamentale caratteristica identitaria, teniamo a sigillare le nostre convinzioni, barricandole dietro muri di gomma o solide strutture antiproiettili.

 

Cambiare convinzioni, significherebbe mettere tutto in discussione e questo porta inevitabilmente verso un drastico mutamento della persona, in certi casi a ri-calibrare la polarità alla nostra bussola, portandoci verso posti inesplorati e l'inesplorato è oggi quanto di più spaventoso ci sia a questo mondo, poiché la sicurezza e il comfort vengono prima di ogni cosa, soprattutto quando lo puoi emulare da uno stato di Instagram.

 

Per questa ragione, quando uno starnazzatore prova arrogantemente a mettere in discussione i nostri fondamenti, reagiamo con violenza, indipendentemente dalla futilità dell'argomento - riservando a un campo differente il fuoco sacro che ci prende quando amiamo qualcosa, è tutt'altro discorso.

 

Al tempo stesso tendiamo a essere ancora più crudeli quando il disturbo è chiaramente figlio di una bertuccia senza dio e senza senno che blatera non pensiero al solo scopo di far sentire la propria presenza, costringendoci ad accorgerci di qualcosa che avremmo fatto a meno di notare.

 

La reazione violenta, intollerante e spesso esplosiva che soffochiamo in ulcere venefiche è il sale che ha condito una delle gag migliori della carriera di Woody Allen, un uomo che ha una grossa e ben precisa opinione e visione della vita, andando a formare quel capolavoro della commedia che è Io e Annie.

 

 

 

Le opinioni sui medium popolari sono quanto di più irritante ci possa essere, soprattutto se ci si addentra in complessità che il pubblico non è chiamato a comprendere e quando questo usa le proprie elevate considerazioni come metro per quella auto valutazione del suo passaggio su questo pianeta, benedetti voi che leggete e udite le sue opinioni.

 

Eppure il nostro ego non è sempre il nemico e una buona parte di ciò che facciamo, visibile o invisibile ai più, è spinto dal naturale istinto di soddisfare il nostro personale piacere, grattando un prurito.

 

Il lavoro del recensore è abbastanza ignobile e orribile, poiché se l'obiettivo non è quello di salire in cattedra e fare una lezione, ma di veicolare e raccontare un opera e le sue sfaccettature, il focus è stato trasmesso talmente male da portare il pubblico a insorgere contro una spocchiosa categoria e prendere controllo del mezzo in modo del tutto anarchico e aprire talmente tanto i cancelli alle invasioni barbariche da distruggere anche i lavori di approfondimento più sfaccettati e complessi.

 

Un Enrico Ghezzi oggi non verrebbe letto dal pubblico di Internet, quello più grande, bensì schernito perché questo ha deciso che la recensione non deve avere nessun vezzo e l'autore non può assecondare la propria voce autoriale: deve parlare per meme, utilizzare compartimenti stagni approvati dalla massa e sostanzialmente aderire al linguaggio e al pensiero che più piace all'utente finale, andando a confermare il gusto del pubblico e della moda per non sfidarlo mai.

 

Quando invece il critico può e deve essere punk e ribellarsi a qualcosa di desueto stancamente trascinato per i media d'intrattenimento o prendere una sonora cantonata criticando, magari di pancia, una nuova voce e fare il Roger Ebert della situazione, anche se è sempre preferibile un Gianni Canova.

 

Se non avete passione per qualcosa, se il vostro ego non vi spinge a coltivare l'ossessione per qualcosa che vi porterà a costruire un megafono per la vostra voce ed i vostri pensieri, non vi metterete a ideare lunghi e complessi approfondimenti per parlare di un'opera e delle sue influenze, sapendo che la maggior parte dell'utenza cercherà il voto o un semplice "è bello" o uno sguaiato "è una m&%da!" e che vi punirà quando la vostra voce e il vostro pensiero non sarà allineato al loro.

 

 

[Enrico Ghezzi non fa critica per come la s'intende ampiamente oggi, ma è quasi un poeta della scrittura critica, un uomo innamorato del cinema]

 

Se non ci fossero uomini e donne ossessionati dall'idea di raccontare storie, non esisterebbe il cinema, la letteratura, il fumetto, la musica e non ci sarebbero autori la cui vita è unicamente piegata al capriccio di un qualcosa la cui gestazione è spesso oltre le capacità di umana sopportazione.

 

Poiché è molto più comodo lavorare dalle 9 alle 17.30 piuttosto che spendere mesi o anni a lavorare alla realizzazione di qualcosa che, per essere realizzato, necessita di soldi e manovalanza, e soldi e manovalanza te li possono dare dei produttori ricchi, facoltosi e davvero motivati a moltiplicare il loro investimento mettendo te, creativo, con un certo peso sulle spalle.

 

Se fosse facile, saremmo tutti Steven Spielberg.

Se fosse facile, saremmo tutti Gipi.

 

Queste imprese eroiche, queste volontà che portano alla nascita di un progetto artistico, sono possibili grazie all'ego dei loro autori, all'ossessione che questi nutrono, al pensiero che si forma dentro le loro teste, coltivando idee e le idee sono sostanzialmente mezzi a portare a qualcuno non soltanto le nostre fantasie ma anche le visioni sul mondo che vorremmo o che temiamo.

 

Le storie, molto spesso, sono metafore a veicolare lo sguardo dell'artista sul presente e questo può scegliere di farlo attraverso la fantasia o la realtà, declinata attraverso il proprio sguardo e di conseguenza, la propria opinione.

 

Le opinioni, ancora una volta, diventano il soggetto e l'oggetto di tutto, definendo l'idea di un autore, che sia questa tecnica o di temi e narrativa.

 

Come detto, sono però cose fragili, a volte effimere, e le opere derivate dal pensiero di un autore sono successivamente affidate al tempo, dividendosi in opere universali, immortali o soggette all'influenza del presente.

 

H.P. Lovecraft fu apostrofato come idiota per via delle sue visioni orrifiche oltre il suo tempo: solo con il passare delle generazioni l'umanità ha compreso i pensieri e gli incubi di uno scrittore che metteva in dubbio la natura stessa dell'uomo, dando grande rilevanza a tutto quello che era l'ignoto dietro la sua genesi e la potenza delle credenze che vi costruiamo sopra.

 

Charles Dickens scrivendo Canto di Natale ha crato un'opera seminale la cui morale e potenza metaforica riflette i sentimenti di una società la cui malattia e i cui errori sono universali e si applicavano nel 1843 tanto quanto nel 1988 che generò la reinterpretazione di Richard Donner, Scrooged e che ancora oggi ha una forte valenza.

 

 

[La potenza delle credenze e la fattura della realtà messa in dubbio da H.P. Lovecraft ha ispirato il magnifico Il Seme della Follia di John Carpenter]

 

Woody Allen è tutt'ora un autore che, nonostante il suo consolidato status di firma di rilievo del Cinema, ha attraversato diverse fasi e quando faceva Il Dormiglione e Il dittatore dello stato libero di Bananas, veniva visto come un buffone sinistroide che, invece, esprimeva i suoi dubbi e le sue nevrosi riguardo la società e il suo sviluppo da un lato, e le ingerenze della nuova deriva americana e le pieghe del mondo, dall'altra.

 

Eppure il suo segno cominciava ad essere ben chiaro e delineato e le sue idee sul mondo e sulla vita si stavano formando con forza, creando archetipi narrativi che avrebbe riutilizzato per tutta la sua carriera e quando il pubblico o la critica lo colpevolizza per questo, dovrebbe invece guardarsi allo specchio e colpevolizzarsi per il non avere una propria ben definita identità e per non evolverla mai, cosa che Allen, psicoanalizzandosi, fa.

 

Dopo essere stato chiamato giullare, dopo aver espresso la sua frustrazione in quel meraviglioso film che è Stardust Memories, Woody Allen ha virato sempre più verso la direzione dei precedenti Io e Annie e Manhattan, evolvendo il suo romanticismo, dinamismo comico e cinismo in Zelig, Broadway Danny Rose, Anna e le sue sorelle, Misterioso omicidio a Manhattan, Pallottole su Broadway, Hollywood Ending, Melinda e Melinda, Midnight in Paris, Blue Jasmine e molti altri film.

 

Una lunga strada a definire un pensiero univoco eppure mutevole in base alle stagioni della sua crescita, raccontando le sue opinioni sul mondo utilizzando simili archetipi ma nutriti da dei "come" più o meno brillanti ma, nonostante ciò, Woody Allen continua a rappresentare l'idiosincratico meccanismo delle opinioni del pubblico, che lo maltratta, lo infanga e lo usa come palletta anti-stress a sfogare una moralità a ore, definita più dal momento o da pensieri statici.

 

Lo spettatore sembra entrare in forte conflitto con ogni segno autoriale del cinema, poiché in fondo sembra rivivere lo stesso disagio di quando nella stanza c'è qualcuno dalla forte personalità che si impone, non obbligatoriamente con prepotenza, con la propria voce - ma in fondo gli artisti fanno esattamente questo - o quando si trova a sentire un pensiero che non gradisce, sollevato da un provocatore il cui scopo è esattamente quello di spezzare la routine del pensiero comune che non cerca confronti.

 

Al contempo, il pubblico sembra a volte non riuscire ad entrare nelle trame di un autore e chiede spesso aiuto quando cerca di capirne la logica, trovando a domandarsi,

"Perché è bello e perché io non lo gradisco?!

Ho qualcosa di sbagliato?!"

 

Una perplessità che ho visto molte volte esprimere, anche su CineFacts.it, quando si parla di Woody Allen.

 

La risposta a questa questione è: no!

Caro mio lettore, so di averti magari ammorbato, ma entriamo novamente nel campo delle opinioni e posso dire di essere stato in quelle stesse scarpe.

 

 

[Molti di noi, come il Woody Allen di Stardust Memories, corrono disperatamente cercando un senso e riponendolo volontariamente anche in cose effimere per poi continuare a provarci mentre altri, semplicemente, si godono le mongolfiere]

 

Una delle idee, egomaniache, tipiche dell'essere umano è generata dai falsi ricordi che c'imponiamo.

 

Molti di noi sono incapaci di guardare indietro e ammettere di essere stati ingenui, superficiali, stupidi.

Alcuni sono convinti di essere sempre stati in cima al loro personale tabellino di miticalità.

Non è vero.

 

Siamo stati tutti stupidi e tornassimo indietro in alcuni momenti specifici della nostra vita, ci metteremmo in un angolo e ci picchieremmo selvaggiamente con brutale violenza.

Io vorrei farlo con il mio io sedicenne.

 

Alcuni sono invece convinti che il loro io sedicenne fosse un vincente e un tipo con le idee tutte al posto giusto.

Fatevi curare, poiché se avete preso delle strade giuste all'epoca molto probabilmente è stata pura fortuna o forse poché sotto un determinato aspetto eravate già piuttosto consapevoli, ma punterei tutto sul poco affascinante tiro di dadi dettato dal caso.

 

Al tempo stesso ci è molto difficile ammettere di essere stati immaturi e ignoranti e questo moto di revisione del passato digitale a cercare vendetta di commenti e dichiarazioni e azioni compiute da un giovane che si credeva furbo a dire certe cose, conformi al suo tempo, è nazismo-delle maniere che non aiuta.

 

Molti di noi non vogliono ammettere che la vita è un RPG nel quale si sale di livello solo ed esclusivamente maturando e allenando delle abilità.

Come può il nostro caro Magister Teo essere un VAR dei tecnicismi di certe sfere di Hollywood?

 

Razionalmente parlando, una vita intera passata in fissa totale sull'argomento lo ha portato a maturare quel tipo di conoscenze, spingendolo a documentarsi riguardo qualsiasi cosa ruotasse attorno alla questione - un po' amore, un po' ossessione e un po' voglia di saperne a pacchi.

 

Questo level up, questa costante ricerca, non serve solo al raggiungimento di traguardi e alla costruzione culturale di un individuo, ma anche a maturare opinioni e convinzioni riguardo il cinema, la musica, il fumetto, l'economia, la cucina, la coscienza politica ecc.

 

Nessuno di noi diventerà Carlo Cracco guardando Masterchef.

Nessuno di noi diverterà Stanley Kubrick guardando qualche essey di The Nerd Writer, su YouTube.

 

Nessuno di noi saprà mai cosa non va nella sua nazione se lo sguardo non va oltre la convenienza di malriposti sentimenti d'insoddisfazione e riscatto sociale.

 

Quando avevo sedici anni, oltre ad essere in procinto di abbandonare i lunghi capelli figli della mia fissazione per i Red Hot Chili Peppers e la musica punk, iniziavo ad intuire la mia passione per lo storytelling e il cinema, ma non ne ero davvero padrone.

 

 

[Molti non lo sanno o non lo ricorderanno, ma prima di casa Marvel, Tom Hiddleston è stato Francis Scott Fitzgerald per Woody Allen in Midnight in Paris: un film che se la prende con la nostalgia e che in questo momento storico ha ancora più valenza]

 

 

A sedici anni iniziai a guardare Woody Allen con interesse e in quell'anno, quasi contemporaneamente, mentre riflettevo sui diari di Kurt Cobain senza capirli davvero, iniziavo a scoprire Henry Miller, Scott Fitzgerald, Charles Bukowski e molti altri autori cult della letteratura che mi avrebbero spinto a odiare Federico Moccia.

 

Dando sfogo a stupidi istinti punk di ribellione e repulsa verso certe mode, capendo solo anni e anni dopo che sarebbe stato utile studiare quei fenomeni per capire perché molte ragazze mi consigliavano di leggere Fabio Volo; per me che leggevo Hugo Pratt, Frank Miller, i sopracitati giganti del '900, e tornavo ad apprezzare le storie di Dylan Dog scritte da Tiziano Sclavi, quelle che da ragazzetto non avevo compreso a pieno, era inaccettabile e basta.

 

Nonostante ciò, il mio gusto cinematografico era piuttosto acerbo e se Criminali da Strapazzo e La maledizione dello scorpione di giada mi divertirono molto e mi fecero avvicinare verso una diversa comicità, Manhattan mi lasciò un po' spiazzato, trovandomi disorientato al cospetto di un cinema che per quanto visivamente maestoso, non era fatto per dialogare con me e con il mio io di quel presente.

 

Woody Allen era il mio nuovo eroe ma non lo capivo davvero appieno e da li alla spocchia il passo è piuttosto breve ma per mia fortuna fu l'amore per il cinema popolare, quello di John Carpenter, ad esempio, a tenermi sui binari, scoprendo contestualmente anche quel bontempone di Mel Brooks ed eleggendo Frankenstein Junior a mia nuova ossessione.

 

Woody Allen non lo avevo capito.

 

Il suo cinema rifletteva su parti della vita che io non avevo incontrato e non conoscevo e solo le opere più vicine ai suoi esordi, quei film incentrati sulla radice comica dell'autore, m'intrattenevano davvero, pur trovando una certa fascinazione per il romanticismo che metteva in Io e Annie, lo stesso Manhattan o Anything Else.

 

Woody Allen mi stregava con Il dittatore dello stato libero di Bananas, Misterioso omicidio a Manhattan, Il Dormiglione o Tutto quello che avete sempre voluto sapere sul sesso (e non avete mai osato chiedere).

 

Il tutto si legava direttamente al mio bagaglio emotivo e culturale e la mia maturazione divenne un po' più completa quando adando al cinema a vedere Midnight in Paris mi resi conto di essere riuscito a leggere molti dei significati che Woody Allen aveva impresso nel film, rimanendone affascinato e ossessionato, ma ancora lontano dal poterne parlare, entrando in una profonda analisi del come il buon Woody aveva, in una notte di scrittura, steso le sue visioni e i suoi turbamenti sul mondo presente e sulla voglia di scapparvi per preferire una diversa epoca, infarcendole di tutte quelle influenze che per lui inestimabili.

 

Se non apprezzate Woody Allen oggi, probabilmente è per via del vostro bagaglio e percorso emotivo, poiché non avete ancora maturato le tematiche che l'autore tratta nelle sue opere.

 

Parallelamente può capitare che non lo apprezzerete nemmeno domani, poiché le vostre idee e le vostre esperienze non vi hanno portato a toccare, o vivere, quelle inclinazioni, formando gusti e opinioni riguardo la vita e il vuoto universo.

 

 

[Anything Else è un film ingiustamente demonizzato e molto pubblico lo odiò poiché trascinato in sala dalla presenza di Jason Biggs, eroe del franchise demenziale American Pie]

 

Molto banalmente, fui aiutato non solo dal mio approccio auto-inflitto alla filmografia di Woody Allen, ma dalla scoperta, grazie all'avvento di Sky e della tv satellitare che finalmente entrava in casa mia, del David Letterman Show.

 

La comicità di David Letterman, quel gigante che aveva portato su un nuovo piano lo show televisivo creando il Late Show come lo conosciamo oggi e sdoganando una comicità più sottile e una satira che in Italia non esisteva - e che sarebbe rimasta aliena nonostante il maldestro tentativo di Luttazzi e che ancora oggi arranca, ma che è diventata più diffusa - mi aveva portato a formare un gusto comico che avrebbe contribuito alla mia emarginazione sociale.

 

Non so voi, ma nella mia realtà di provincia fatta di piccoli centri da 7000 abitanti, quando era grasso che colava, sviluppare un gusto per la risata alla Saturday Night Live, alla Woody Allen, o alla Bill Murray, era il corrispettivo, Giordano Bruno edition, del sentirsi come Lenny Bruce su un palco di un club per commedianti, mentre un poliziotto lo aspetta per portarlo in cella per oltraggio al pubblico pudore.

 

La gogna sociale era il sale a condire ogni mio pensiero, perché alieno a certi ragionamenti e, con il passare del tempo, con lo spostarsi del mio pensiero e dei luoghi, la situazione non è ancora così rosea.

 

Questo ragionamento, questo filo che collega il nostro pensiero e la formazione dei nostri gusti e delle nostre opinioni, che passa attraverso come e cosa usufruiamo e cosa viviamo nel nostro presente, si applica al gradimento che potreste avere verso Woody Allen, tanto quanto verso altre personalità.

 

Poiché le nostre opinioni, il nostro vissuto, il nostro pensiero, sono la materia della nostra persona e formano la sensibilità che ci permette di piegarci o meno alle logiche di un racconto, del testo di una canzone o delle immagini e la messa in scena di un film.

 

Una parte di me crede fortemente che chi parla durante un film o chi deve commentare cosa succede nei punti cardine di una serie, o che deve guardare il cellulare a tutti i costi, soffre non tanto di una grossa mancanza di capacità di attenzione, ma anche di una forma di egocentrismo talmente potente da impedirgli di sottrarsi per qualche ora o una manciata di minuti, per lasciarsi sovrastare dalla voce di qualcun altro.

 

I film, come sosteneva Stanley Kubrick e come sostiene David Lynch, devono essere vissuti con la complicità del pubblico e la sua capacità di lasciarsi affondare nella narrazione - premesso che lo storyteller riesca a costruire una buona illusione capace di renderlo possibile.

 

Tornando a Woody Allen, anche un film come Criminali da strapazzo, una commedia molto semplice ma molto ben strutturata, ha assunto molto più senso quando ho iniziato a cogliere diversi risvolti sociali e le idee del regista che, per sua natura, è un anti-divo che gradisce la sua regia ben definita in pochi solidi e collaudati stilemi visivi, per darsi una mossa e andare tutti a casa a guardare la partita - parafrasando lo stesso Allen.

 

 

[Guardando Manhattan è impossibile non innamorarsi di New York]

 

Il mito di New York, lo sguardo romantico che il regista ha per la sua Manhattan, il modo in cui analizza le relazioni uomo/donna e la complessità di personaggi isterici, affetti da psicosi di un mondo moderno fatto di molte inutili complicazioni e nevrosi capaci di farci ammalare, le superficialità di certa società e in generale la voglia di raccontare uomini e donne difettosi.

 

Come lo scanzonato e innamorato jazzista Emmet Ray di Accordi e Disaccordi, che piange ascoltando i dischi del suo idolo Django Reinhardt; la doppia faccia di Melinda Robicheaux di Melinda e Melinda; il cinico e pragmatico Boris Yelnikoff di Basta che funzioni e più ampiamente sono affascinato dalla maschera del personaggio alleniano archetipico.

 

Quel maschio beta un po' insicuro e sostanzialmente disilluso dalla vita, un po' fuggevole e troppo spesso futile, resa meravigliosa dal cinema, dallo sport, dalla letteratura, dalla musica, dalle donne.

 

Una maschera consapevole della sua mortalità, dei suoi limiti e delle sue mancanze e in un certo senso dominato da esse.

 

Woody Allen ha sempre avuto questa capacità di disegnare romantiche sensazioni a schermo, alterando i sentimenti, rendendo tutto più isterico, facendo della comicità chaos e mettendo tutto, anche l'amore, sopra le righe, ribadendo e rinnovando costantemente i suoi pilastri, mettendo sesso e decesso al centro di tutto e ricordando di tanto in tanto tutte quelle intuizioni che ama; si potrebbe citare la scena degli specchi di Misterioso omicidio a Manhattan omaggio a La signora di Shanghai di Orson Welles.

 

 

[Fatevi un favore e recuperate il film di Woody Allen tanto quanto quello di Orson Welles]

 

Woody Allen in un certo senso ha contribuito a formare il mio gusto e le mie opinioni e crescendo ho iniziato a rivedere nelle sue pellicole un valore al quale non ero preparato con la "sensibilità", come dicono molti, che aveva il mio odiato amato me sgargiullo.

 

Per chi scrive, come avrete ormai intuito dal persistente stressare del concetto, non si tratta di sensibilità ma di una matassa fatta di esperienze e accrescimenti culturali che vanno a formare le nostre idee, opinioni e la nostra sensibilità, portandoci su un gradino oltre, non rispetto ad altri ma rispetto al nostro livello di partenza - sempre riprendendo la metafora videoludica fatta in partenza.

 

Il Cinema, come la letteratura, vale molto per sensazione e parla parecchio facendo leva sulla condizione di partenza dello spettatore, poiché è sicuramente vero che il blateratore in coda al cinema di alleniana memoria, equivale a quell'opinionista borghese che non ha esperienza ma molto sentito dire e mezzi di approfondimento culturale che lo potrebbero portare oltre ma che lo privano del diretto contatto con il mondo, formando quello che potremmo chiamare un colossale imbecille.

 

Il Cinema si muove quindi davvero sotto la pelle e spesso quello che ci forma ci crea delle fascinazioni.

Allucinazioni sensoriali che ispirano chi crea e spingono la voce del loro ego a prevalere, arrivando a raccontare una storia, e che spinge noi a divenire schiavi di certe intuizioni.

 

Io, facendo un piccolo gioco di ruolo, se potessi vivere per una notte in un film vivrei in Collateral di Michael Mann.

 

 

[Ehi Max, un uomo sale sulla metropolitana qui a Los Angeles e muore, pensi che se ne accorgerà qualcuno?]

 

Trovo quel film formalmente perfetto e ammantato di una speciale aura che lo rende romantico nella sua spietata e desolante descrizione di una Los Angeles notturna spaventosa, neon, fluo, nella quale un lupo dall'elegante pelo grigio si muove come un fantasma tra una scena e l'altra, senza lasciare traccia ma lasciando molto allo spettatore e a Max, il suo involontario compagno di viaggio.

 

Vincent, il sicario di Collateral, e le dinamiche filosofiche e morali che mette in gioco con il pavido e socialmente incatenato Max, del quale sfida proprio la struttura morale figlia di un certo perbenismo e di gabbie sociali, sono meravigliose, ma di quel film entrano in gioco le sensazioni della fotografia, l'idea di una Los Angeles notturna spenta e pericolosa, senza traffico e crudelmente quieta quando la morte sale su un taxi giallo per riscattare le sue anime e volare verso casa.

 

Amo la notte, amo stare fuori quando tutti dormono e quando le superstizioni dell'uomo, anche quello moderno, vengono fuori.

 

Ho amato la notte da sempre e di notte ho lavorato per anni, incrementando le mie vibrazioni verso qualcosa che mi affascina tremendamente.

 

Le nostre opinioni ci governano e ci mettono in ginocchio e in definitiva se non amate Woody Allen non siete sbagliati: potreste soltanto non aver catturato il suo pensiero, non ancora o forse non lo farete mai, e non vi è nulla di sbagliato in tutto ciò.

 

Salvo che voi non siate un sagace idiota nascosto dietro convinzioni in prestito, inchiodato al fondo di un oceano freddo e inospitale da una pietra che altro non è che la vostra paura di nuotare. 

 

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2 commenti

Ciao Francesco, grazie per il commento.
Sì in effetti quella è la chiave.
Nell'articolo ho cercato di dare una lettura universale, anche se non è possibile nello spazio dato, ma provare a comprendere cosa ci ha trasformato e accettare la possibilità di poter cambiare le nostre visioni è fondamentale per noi come persone, anche nella fruizione di opere cinematografiche e non.

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Ciao Giorgia, ti ringrazio per il commento.
Hai centrato il punto dell'articolo.
I nostri gusti e le nostre idee mutano nel tempo e quanto detto per Allen vale per molti altri autori - sia nel cinema che in altri campi.

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