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Falò all'alba - Recensione: la seria preparazione alla risata - RNFF 2019

Dal regista dei documentari su Chernobyl, Koichi Doi, un film di formazione alla teatralizzazione, Falò all'alba, presentato al Ravenna Nightmare Film Fest 2019

Falò all'alba (Yoake no takibi) di Koichi Doi è il primo film proiettato al Ravenna Nightmare Film Fest 2019 nella sezione dedicata al Cinema nipponico, Ottobre Giapponese.

 
Una mattina d’inverno la star del teatro Kyogen, Motonari Okura, parte in macchina da Tokyo con il figlio Yasunari, verso una baita in una remota zona montuosa del nord del Giappone, per una sessione intensiva individuale di studio.

 

La famiglia Okura è famosa per avere preservato e tramandato, da oltre 650 anni, la tradizione del Kyogen (teatro comico tradizionale) in Giappone.

 

[Il trailer di Falò all'alba]

 

 

Lo stesso Motonari e il fratello maggiore, da bambini, erano stati condotti dal padre in quella baita per ricevere il loro insegnamento, ma questa è la prima volta in cui Motonari si appresta a fare lo stesso con il figlioletto Yasunari, sottoposto allo spartano regime di faccende domestiche, cura della persona e rigide lezioni di teatro.

 

Il bambino, deluso e ferito dal severo trattamento paterno, sta sul punto di cedere, ma imparerà più di quanto si sarebbe mal aspettato.

 

 

[La fotografia rigorosa ed elegante di Falò all'alba]

 

 

Ancora una volta il teatro non cede completamente il passo al linguaggio filmico che, al contrario, si incarica di rappresentarlo e nobilitare la sua funzione più caratteristica, vale a dire quella di epurazione dei sentimenti più tipicamente umani tramite la gestualità plateale e la drammatizzazione della voce.

 

Yasunari imparerà a misurare e a disciplinare i propri gesti quotidiani per sublimarli in scena, ma al contempo a rendere la sua quotidianità imperniata dalla giocosità tipica della performance.

 

La disciplina a cui lo invita il padre non trova alcuna soluzione di continuità fra l'abitazione in cui si "allenano" e il palco, proprio come non ve ne è fra l'interno della stanza del tè e il giardino retrostante, divisi soltanto da una sottile porta scorrevole.

 

 

[Il regista Koichi Doi insieme ai due attori protagonisti di Falò all'alba]

 

 

Con Falò all'alba, il Cinema giapponese si dimostra ancora una volta maestro nell'arte di incarnare nelle scelte scenografiche l'essenza del pensiero di cui si nutre l'intero film.

Così come nei costumi.

 

Una lezione di comunicazione per il verboso occidente e la sua smania didascalica.

 

Dopotutto, come ha suggerito il regista - presente in sala - a noi spettatori: questa forma di teatro nipponico presuppone un forte impegno all'immaginazione da parte del fruitore, che di rimando si sente nobilitato dalle intenzioni dell'artista e non aggressivamente plasmato. 

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