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Inizio subito ripetendo quanto scritto nel titolo con un moto d’orgoglio nazionale: la Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia nacque nel 1932 ed è il festival cinematografico più antico del mondo.
Sarebbe anche la prima ad aver istituito un premio al Miglior Film, se non fosse per quella semi-sconosciuta premiazione chiamata Academy Awards, che forse alcuni di voi hanno sentito nominare come Premi Oscar, che nacque appena 3 anni prima.
Ma ancora oggi quella di Venezia è riconosciuta come la più autorevole e prestigiosa, assieme alla sorella francese di Cannes e a quella tedesca di Berlino.
Il primo film ad essere proiettato il 6 agosto 1932 fu Il Dottor Jekyll, di Rouben Mamoulian, sulla terrazza dell’Hotel Excelsior al Lido di Venezia e quella prima edizione vide titoli del calibro di A me la libertà di René Clair, Proibito di Frank Capra, Frankenstein di James Whale, oltre ai film di grandi nomi come Mario Camerini, Alessandro Blasetti, Howard Hawks, Ernst Lubitsch, Maurice Tourneur, King Vidor.
Ma si trattava ancora di una rassegna dove non si assegnava nessun premio.
[La locandina ufficiale di Venezia 76]
Si cominciò con l’assegnarlo dalla seconda edizione e, data la particolare situazione storica dell’Italia in quel periodo, il premio al Miglior Film era chiamato Coppa Mussolini e prendeva il nome da quell’ometto con il cranio lustro che amava fare discorsi da un balcone di Roma, a Palazzo… Venezia.
Ma tu pensa le coincidenze.
La Coppa Mussolini era l’antenata dell’odierno Leone D’oro e si assegnò dal 1934 al 1942 premiando il Miglior Film Italiano e il Miglior Film Straniero: su 8 edizioni, il premio al Miglior Film Straniero andò 5 volte a film prodotti dall’allora Germania nazista.
Le eccezioni furono il britannico L’Uomo di Aran di Robert Flaherty, l’americano Anna Karenina di Clarence Brown e il francese Un Carnet da Ballo di Jean Duvivier; le restanti edizioni videro appunto vincitori i film tedeschi compreso Olympia di Leni Riefenstahl: il monumentale lavoro di 3 ore e 40 minuti della regista berlinese che raccontava le Olimpiadi di Berlino del 1936 tanto care al Reich.
[Una tuffatrice alle Olimpiadi di Berlino 1936, ignara del fatto che a quelli le braccia tese piacevano, ma una alla volta]
Nel 1937 la decisione della giuria di Venezia di non premiare La grande illusione di Jean Renoir fece scoppiare un’enorme polemica oltre a rischiare un vero e proprio incidente diplomatico.
Il film racconta la storia di due prigionieri francesi che scappano da un campo di prigionia tedesco durante la Prima Guerra Mondiale: come potete immaginare il film fu proibito in Germania (fino al 1948) e l’amicizia che correva tra il Reich e l’allora Governo Italiano potrebbe aver influito sulla scelta finale, dato che la motivazione che spinse i giudici a non assegnargli la Coppa fu che era un film
“Eccessivamente pacifista”.
Il regista francese lanciò quindi un “j’accuse” - era francese, ci sta - nei confronti della Mostra e la cosa mise in moto le istituzioni transalpine.
Jean Zay, l’allora ministro francese dell’istruzione e delle belle arti, ricevette la richiesta da parte di 3 giudici francesi della giuria internazionale della Mostra di Venezia e di due importanti rappresentanti del Cinema americano e britannico in Francia che avevano deciso di boicottare la rassegna italiana: gli venne quindi chiesto di istituire un “festival cinematografico del mondo libero”.
Louis Lumière, uno dei due famosissimi fratelli “inventori” della Settima Arte, accettò di diventare il Presidente della prima edizione che si sarebbe dovuta svolgere a Cannes dal 1° al 20 settembre 1939, e la Metro-Goldwyn-Mayer si era già assicurata il noleggio di un transatlantico per trasportare oltreoceano le sue stelle, tra cui Tyrone Power e Gary Cooper.
["1° settembre 1939"... dove ho già sentito questa data? Ah, già]
Purtroppo però il 1° settembre di quell’anno fu anche il giorno in cui le truppe naziste entrarono in Polonia dando il via alla Seconda Guerra Mondiale, e il Festival del Cinema di Cannes poté iniziare soltanto nel 1946.
Ma al di là di questi tristi avvenimenti la Mostra di Venezia è stata in 87 anni il Festival del Cinema per eccellenza, fatto di grandissime anteprime e memorabili scandali.
Nel 1934 gli spettatori veneziani poterono assistere al primo nudo cinematografico di sempre: in Estasi, di Gustav Machatý, Hedy Lamarr svelava le sue grazie come mai nessuna aveva fatto prima di allora; quello che si vedeva nel film era un nudo integrale da dietro e un topless frontale, una di quelle cose che adesso si vedono tranquillamente in seconda serata sulle TV locali, ma girò subito voce che l’attrice avesse girato la scena completamente nuda, in mezzo a una troupe formata da soli uomini.
Non solo: il film era anche il primo a mostrare la scena di un orgasmo femminile e a mostrarlo addirittura in primo piano; in seguito l’attrice dichiarò che l’espressione di piacere divenuta poi famosa era in realtà una smorfia di dolore causata dallo spillo con il quale il regista Machatý le pungolava il sedere.
Il film fu proibito in Italia, fu criticato dal papa e diede luogo anche a un buffo aneddoto: il marito di Lamarr, geloso e furente per la prova della moglie, tentò di acquistare tutte le copie della pellicola per evitare che venissero divulgate e proiettate, ma invano.
[A sinistra l'espressione della Lamarr nel primo orgasmo cinematografico, a destra l'espressione della Lamarr mentre il marito compra le copie del film]
A causa della Seconda Guerra Mondiale le edizioni del 1940, 1941 e 1942 si svolsero lontano dal Lido e vengono oggi considerate “mai avvenute” a causa dell’eccessiva presenza di film propagandistici italiani e tedeschi.
Una volta finito il conflitto e dopo che le sorti del Governo Mussolini si capovolsero - ah! - nel 1946 la Mostra di Venezia riprese a pieno ritmo.
I restanti anni ’40 furono la culla del Neorealismo Italiano e assieme ai grandissimi autori nostrani come Roberto Rossellini, Alberto Lattuada e Luchino Visconti a Venezia arrivavano registi internazionali come Orson Welles, John Huston, Fritz Lang e David Lean, assieme ad un incredibile successo di pubblico: nel 1947 erano 90mila gli spettatori che a Palazzo Ducale, in Piazza San Marco, assistettero alla proiezione di Io ti salverò di Alfred Hitchcock.
[Parte dei 90mila spettatori in Piazza San Marco nel 1947: non si hanno notizie sul numero di piccioni presenti nello stesso momento, ma si suppone fossero altrettanti]
Il decennio successivo fu quello della consacrazione della Mostra di Venezia e del suo riconoscimento culturale a livello mondiale, nonché quello delle partecipazioni del gotha del Cinema italiano con Federico Fellini e Michelangelo Antonioni e dell’affermazione del Cinema giapponese di Akira Kurosawa e Kenji Mizoguchi.
Ma fu anche il teatro di storie d’amore che hanno fatto epoca.
Nel 1949 il regista Roberto Rossellini ricevette una lettera da Ingrid Bergman, già musa di Hitchcock e vincitrice di un Oscar per Angoscia, che recitava così
"Caro Signor Rossellini, ho visto i suoi film “Roma Città Aperta” e “Paisà” e li ho apprezzati moltissimo.
Se ha bisogno di un’attrice svedese che parla inglese molto bene, che non ha dimenticato il suo tedesco, non si fa quasi capire in francese, e in italiano sa dire solo ‘ti amo‘, sono pronta a venire in Italia per lavorare con lei."
Voi cosa avreste fatto?
Rossellini decise che la parte in Stromboli (Terra di Dio) già assegnata alla sua compagna Anna Magnani doveva andare all’attrice svedese e andò a girare il film nelle isole Eolie: nacque così una delle storie d’amore più famose della Storia del Cinema, osteggiata sia in Italia che in America.
Criticata da noi perché entrambi erano già impegnati in una relazione e negli Stati Uniti perché non videro di buon occhio che una delle loro più grandi star venisse “rapita” da un altro paese che di Cinema ne sapeva abbastanza, diciamo.
Rossellini e Bergman ebbero tre figli, tra cui la famosa Isabella che sarà protagonista 36 anni dopo di un altro “scandalo veneziano”, ma ci arriverò a tempo debito.
Anna Magnani, ovviamente, non la prese benissimo ed affrettò l’inizio delle riprese di Vulcano sull’isola di Lipari, a neanche 20 chilometri di distanza da Stromboli, nello stesso periodo.
Il film di Rossellini fu presentato a Venezia e il regista fu accolto dai fischi dei fan dell’attrice romana, il cui film invece era uscito in sala mesi prima godendo di un’incredibile pubblicità dovuta al triangolo amoroso e a quella che in seguito la stampa definì La guerra dei vulcani.
Nel 1953 Federico Fellini vinse il Leone D’argento con I Vitelloni e cominciò così a farsi conoscere anche all’estero: il film ottenne una nomination agli Oscar.
L’anno successivo il regista riminese portò a Venezia La strada che vinse un altro Leone D’argento e che tre anni dopo ottenne il primo dei suoi 4 Oscar come Miglior Film in Lingua Straniera, ma il rapporto idilliaco tra Venezia e Fellini non era destinato a durare.
Nel 1955 Fellini si presentò alla Mostra di Venezia con Il bbidone e l’accoglienza fu talmente deludente che il regista disertò la kermesse per i successivi 14 anni, rompendo il silenzio con il fuori concorso di Fellini Satyricon.
La Mostra tentò di salvare la faccia conferendogli il Leone d’oro alla carriera nel 1985, ma Fellini non le perdonò mai lo sgarbo di trent’anni prima.
["Lo vedi il mio sorriso tirato, Venezia? Lo percepisci il mio malcelato disprezzo, Venezia?"]
Nel 1957 Venezia fu il teatro di un altro storico incontro: durante una delle tante feste che animano il Lido durante la Mostra: Maria Callas conobbe il miliardario Aristotele Onassis, iniziando così un amore disperato che cambiò per sempre la vita della soprano.
L’anno dopo fu Brigitte Bardot a infiammare gli animi e le penne dei giornalisti specializzati, quando abbandonò la manifestazione non appena seppe che Sophia Loren aveva vinto quella Coppa Volpi per la Migliore Attrice che riteneva già sua, mentre nel 1960 i fischi furono i protagonisti della premiazione finale: il pubblico esigeva che a vincere fosse Rocco e i suoi fratelli di Luchino Visconti al posto di un anonimo Il passaggio del Reno di André Cayatte.
La Storia del Cinema, in effetti, diede poi ragione ai fischi.
Gli anni ’60 per Venezia furono forse i più “artistici”, grazie al cambio di direzione che prediligeva le opere senza guardare la mondanità, la politica o le pressioni politiche degli Studios, e fu così che Venezia si riempì dei capolavori di Ingmar Bergman, Pier Paolo Pasolini, Robert Bresson, Akira Kurosawa, Roman Polanski, François Truffaut, Roberto Rossellini, Jean-Luc Godard, Carl Theodor Dreyer, Miloš Forman, Carmelo Bene, Luis Buñuel...
Dal 1963 al 1966 il Leone D’oro andò a 4 film italiani uno dopo l’altro: Le mani sulla città di Francesco Rosi, Il deserto rosso di Michelangelo Antonioni, Vaghe stelle dell’Orsa di Luchino Visconti (per la felicità del pubblico di 5 anni prima) e La battaglia di Algeri di Gillo Pontecorvo.
Sembrava tutto bellissimo, e invece… no.
Le contestazioni studentesche del 1968 nei confronti della Biennale di Venezia, accusata di essere figlia del fascismo e di rispondere a logiche tutt’altro che artistiche, si ripercuoterono anche sulla Mostra con il risultato di cancellare la competizione e renderla più semplicemente una rassegna cinematografica senza nessun premio.
Fino al 1980 non venne quindi assegnato il Leone D’oro, e addirittura la Mostra di Venezia non si tenne nel 1973, nel 1977 e nel 1978.
[L'artista Gastone Novelli mentre scrive sul retro delle sue opere "La Biennale è fascinosa"? Oppure "La Biennale è fascicolare"? Indovinate voi]
Ma le edizioni degli anni ’70, seppur con tutti i problemi e le difficoltà del caso, sono comunque passate alla Storia per i film presenti alla rassegna, titoli che sottolineavano la rabbia che stava montando anche nel Cinema e che avrebbe portato alla nascita di nuove correnti e nuovi stili.
Nel 1971 ci furono Domenica, maledetta domenica di John Schlesinger, I diavoli di Ken Russell e in anteprima nazionale Attenzione alla puttana santa, lo scandaloso film di quel Rainer Werner Fassbinder che lascio descrivere a Graziano Arici, uno dei più illustri fotoreporter ‘veneziani’:
"L’ho visto bere per sette, otto ore, aveva sempre il bicchiere pieno.
Beveva senza interruzione, rum e cola, gin, cocktail vari: è probabilmente il personaggio più dirompente mai passato per il Lido, completamente fuori dagli schemi."
L’anno dopo un’altra grande anteprima nazionale: Arancia Meccanica di Stanley Kubrick, film che immancabilmente diede luogo a una coda incredibile di polemiche.
Il Leone tornò nel 1980, ma senza Leone D’argento né Coppe Volpi agli attori, in un’edizione formata da appena 16 film e con una vittoria ex aequo per John Cassavetes con Gloria e Louis Malle con Atlantic City, USA, e il decennio successivo vide la rinascita della Mostra di Venezia che si aprì anche ai film più commerciali e di facile presa sul pubblico.
La New Hollywood partita dalla voglia di rompere gli schemi si era già trasformata nella Hollywood che mescolava l’autorialità al botteghino facile.
Furono gli anni in cui gli Stati Uniti partecipavano in concorso con le opere di Robert Altman e David Mamet ma contemporaneamente portavano in anteprima fuori concorso I predatori dell’arca perduta, Blade Runner, L’impero colpisce ancora, E.T. - L’extraterrestre, Poltergeist, Il ritorno dello jedi, Zelig, Untouchables - Gli intoccabili, Aliens - Scontro finale, L’ultima tentazione di Cristo fino ad arrivare a Chi ha incastrato Roger Rabbit.
La dimostrazione che Venezia voleva continuare a proporre Arte, ma attirando il pubblico.
[Nel montaggio del film proiettato a Venezia al posto dell'idolo c'era un Leone d'oro. No, non è vero: scherzavo. Però sarebbe stata una bella idea, dai]
Potevano mancare le polemiche anche in questo decennio?
Figuriamoci.
Nel 1986 l’allora direttore Gian Luigi Rondi decise di escludere dalla Mostra di Venezia l’attesissimo Velluto Blu di David Lynch, dichiarando che i nudi e le scene scabrose di Isabella Rossellini (eccola!) avrebbero offuscato e offeso la memoria della madre Ingrid Bergman.
L’attrice dichiarò
“Mi aspettavo dei dissensi, ma non avrei mai pensato che quelle scene, indispensabili per il film, diventassero oggetto di polemica”
In sintesi: se vi chiamate Rossellini e avete una relazione con il regista del vostro film, forse è meglio che evitiate di andare a Venezia.
La Mostra fece poi con Lynch quello che fece con Fellini: oltre a chiamare il regista come presidente di giuria nel 1994 gli conferì il Leone D’oro alla carriera nel 2006: ti amo e poi ti odio e poi ti amo.
[I Rossellini e Venezia: un rapporto difficile. ps: sì, quello con il maglione in faccia è David Lynch]
Il decennio si concluse con la certezza di aver portato alla Mostra di Venezia grandissimi nomi dello show business e contestualmente aver lanciato registi come Pedro Almodóvar, Nanni Moretti e Peter Greenaway, senza dimenticare di aver proiettato in anteprima nazionale un film epocale come C’era una volta in America: l’ultimo capolavoro di Sergio Leone, il quale girò la famosa scena della cena al ristorante tra Noodles e Deborah proprio all’Hotel Excelsior di Venezia, là dove mezzo secolo prima era iniziata la Mostra.
Siamo così arrivati all’altroieri: gli anni ’90 furono gli anni della consacrazione del cinema orientale e del ritorno delle superstar americane in laguna, gli arrivi in barca di Jack Nicholson, Dustin Hoffman, Al Pacino, Robert De Niro, Harrison Ford, Bruce Willis, Kevin Costner, Mel Gibson, Nicole Kidman, Tom Hanks, Denzel Washington si mescolano ai Leoni D’oro assegnati a Zhang Yimou, Tsai Ming-liang, Tran Anh Hung e Takeshi Kitano, e si concludono con un altro grande film in anteprima, un altro ultimo capolavoro di un grande Maestro.
Il 1° settembre 1999 fu per Venezia la sera di Eyes Wide Shut, del gigante Stanley Kubrick morto appena sei mesi prima.
Ma non posso passare agli anni successivi senza citare la doppia parentesi trash delle edizioni 1995 e 1996.
Nel 1995 Tinto Brass ebbe la geniale idea di autoinvitarsi in laguna per promuovere il suo Fermo Posta Tinto Brass arrivando su un battello in compagnia di 8 attrici seminude tra palpatine e ammiccamenti, ottenendo nell’ordine: l’attenzione di tutta la stampa internazionale, una pubblicità incredibile e un processo per atti osceni in luogo pubblico - che venne poi derubricato e trasformato in semplice multa.
[Il sobrio sbarco di Tinto Brass e delle sue eleganti attrici a Venezia]
L’anno dopo il regista spagnolo Bigas Luna fu invitato nella sezione Notti Veneziane con il suo Bambola: film definito di “epocale bruttezza” con una Valeria Marini che cavalca mortadelle e ha amplessi con un’anguilla; l’agenzia di stampa adnkronos descrisse così la proiezione:
"Ogni scena è stata accolta dal pubblico del Lido con ovazioni da stadio (…) il pubblico ha gridato, scandito slogan e cori all’indirizzo della Marini: già dai primi fotogrammi sono volati epiteti e inviti espliciti all’indirizzo dell’attrice, i più carini dei quali erano “nuda nuda” e “spojate”. (…)
Gli applausi più lunghi comunque se li sono guadagnati la capretta di Valeria Marini e l’anguilla, la cui apparizione sul grande schermo è stata un vero e proprio trionfo."
Gli anni 2000 della Mostra di Venezia confermano il trend delle ultime edizioni, mescolando nomi altamente commerciali fuori concorso ad opere spiccatamente autoriali in concorso e l’attenzione si sposta su un’altra grande area del Cinema internazionale: in 10 anni vincono il Leone D’oro un iraniano (Jafar Panahi con Il cerchio), un’indiana (Mira Nair con Monsoon Wedding) e un israeliano (Samuel Maoz con Lebanon) ma si chiudono, neanche a dirlo, con una bordata di fischi.
Fischi che accolsero il presidente della giuria del 2010 Quentin Tarantino quando annunciò il Leone D’oro a Somewhere di Sofia Coppola, film ritenuto notevolmente inferiore rispetto ad altre opere in concorso quell’anno come 13 assassini di Takashi Miike, Essential Killing di Jerzy Skolimowski, Ballata dell’odio e dell’amore di Alex de la Iglesia o Il cigno nero di Darren Aronofski.
Gli ultimi 10 anni hanno visto 6 paesi vincere il loro primo Leone D'oro: dopo il già citato Israele nel 2009 con Lebanon di Samuel Maoz, nel 2012 fu la volta della Corea del Sud con Pietà di Kim Ki-duk, nel 2014 la Svezia con Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza di Roy Andersson - già: per Ingmar Bergman ci fu solo quello alla carriera nel 1971 - nel 2015 il Venezuela con Ti guardo di Lorenzo Vigas, nel 2016 le Filippine con La donna che se ne è andata di Lav Diaz e l'anno scorso il Messico con Roma di Alfonso Cuarón.
I paesi che hanno vinto più Leoni D’oro?
[Alfonso Cuarón con il Leone D'Oro per Roma: fu il primo premio vinto dal film, al quale se ne sarebbero aggiunti altri 210 su 398 nomination compresi i 3 Oscar: robetta, insomma]
L’Italia è a pari merito con la Francia, con ben 11 leoncini: i cugini d’oltralpe hanno vinto con autori dal nome importante come Jean-Luc Godard, Louis Malle, Eric Rohmer, Alain Resnais, Agnès Varda, Krzysztof Kieślowski, Henri-Georges Clouzot, André Cayatte, René Clément e Luis Buñuel.
Noi rispondiamo con i nostri Mario Monicelli, Roberto Rossellini, Gillo Pontecorvo, Michelangelo Antonioni, Luchino Visconti, Ermanno Olmi, Valerio Zurlini, Renato Castellani, Francesco Rosi, Gianni Amelio e Gianfranco Rosi, l’ultimo a vincerlo nel 2013.
Quest’anno in concorso a Venezia ci sono sei film francesi e cinque film italiani: due di questi sono però co-prodotti dai due paesi, ovvero Martin Eden, di Pietro Marcello con Luca Marinelli, e L'Ufficiale e la Spia, il nuovo attesissimo film di Roman Polanski.
Quindi se dovesse vincere il Leone D'Oro uno dei due, noi e i francesi resteremmo appaiati al primo posto.
Gli Stati Uniti sono il paese che di Leoni ne ha vinti 9, e che quest'anno a Venezia si presentano con quattro film, tutti potenzialmente delle bombe anche se per motivi diversi.
Ad Astra, film fantascientifico di James Gray con Brad Pitt, l'iper chiacchierato Joker di Todd Phillips con Joaquin Phoenix, il politico Panama Papers di Steven Soderbergh con un cast che vede in testa due esseri mitologici come Meryl Streep e Gary Oldman e Storia di un matrimonio, il nuovo film di Noah Baumbach con due star del calibro di Scarlett Johansson e Adam Driver.
La Mostra si è aperta il 28 agosto con Le verità, di Hirokazu Kore'eda, e si chiuderà il 7 settembre con la co-produzione italoamericana del nuovo film di Giuseppe Capotondi The Burnt Orange Heresy, che vede nel cast Donald Sutherland e Mick Jagger.
Chi vincerà quest'anno a Venezia?
Avremo sorprese, scandali, rivelazioni, conferme?
Non resta che aspettare e godersi la rassegna più antica ed affascinante del mondo dedicata alla Settima Arte, sita in un luogo magico e ricolmo di Storia dove cielo ed acqua si incontrano e si mescolano come nei migliori film, tra un rilassante salto in spiaggia e una devastante festa notturna, tra un’assonnata proiezione mattutina e un aperitivo con l’immancabile spritz al bar che sta accanto al Palazzo del Cinema.
Che, manco a dirsi, si chiama proprio Al Leone D’oro.