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Dio è donna e si chiama Petrunya - Recensione: colpo di fulmine - Berlino 2019

Recensione di uno dei film rivelazione del Festival di Berlino

Berlinale, giorno quattro.

 

Ci alziamo presto, la prima proiezione è alle nove di mattina.

Si tratta di un film macedone, dal suggestivo titolo di Dio è donna e si chiama Petrunya. 

Al termine del film siamo tutti concordi nel dire che abbiamo fatto bene a mettere la sveglia.

 

Si applaude, si applaude a lungo, più di quanto fosse mai successo finora qui alla Berlinale. 

 

 



Petrunya è una ragazza sulla trentina, disoccupata, con una laurea in storia. La madre insiste perché riesca ad ottenere un lavoro, suggerendole di mentire sulla propria età, di vestirsi in maniera accattivante, di essere compiacente.

 

Ma Petrunya viene costantemente scartata, derisa, emarginata, anche a causa del proprio aspetto fisico un po' in sovrappeso, tristemente giudicato non "adatto" dai potenziali datori di lavoro. 

 

Un giorno, durante una tradizionale cerimonia religiosa locale nella quale viene lanciata una croce in un corso d'acqua e i partecipanti si sfidano a raccoglierla per primi, Petrunya si ritrova, fortuitamente e senza volerlo, a vincere.

Ma non si può. La tradizione vuole che solo un uomo, maschio, possa raccogliere la croce.

 

La folla è inferocita, Petrunya scappa: si monta uno scandalo, che arriva a coinvolgere persino le forze di polizia e i media.

Eppure non si tratta di un reato, nessuna legge è stata violata, nessun codice scritto.

 

Nonostante ciò Petrunya viene comunque portata in commissariato, dove viene detenuta senza alcuna giustificazione concreta, costretta a sfidare un maschilismo becero, figlio di una ignoranza radicata nel tempo, e a cui peraltro nemmeno la madre della ragazza si sottrae, avendola di fatto consegnata alle forze dell'ordine. 

 

Parallelamente una giornalista segue il caso. Supportando la causa di Petrunya prova a spostare, per quel poco che può, l'opinione pubblica nei suoi confronti, cercando di poter essere di aiuto alla ragazza.

 

Ma è un mondo, quello mostrato nel film, che non sembra essere fatto per le donne: superare il pregiudizio appare un'impresa quasi impossibie.

Quasi.

 

"Hai una laurea in Storia, quindi. Qual è il periodo storico che ti affascina di più? Alessandro Magno?" 


"La rivoluzione comunista cinese".

 

 



Petrunya si scopre forte, ribelle, consapevole di sé e della propria posizione.

 

Il suo riscatto, nei confronti di una società ancora ferma al Medioevo, come spesso ripete la giornalista co-protagonista del film, si consuma anche attraverso i taglienti scambi verbali con le rappresentanze ecclesiastiche e con gli uomini di polizia, che a poco a poco sembrano cautamente passare dalla parte della ragazza.

 

Ma la folla non è dello stesso avviso. La folla vuole la vendetta, l'ordine precostituito.

E calmarli non sarà semplice.

 

La critica sociale, e in particolare il tema più che mai attuale della condizione della donna, è trattata benissimo; la sceneggiatura è pulita, esatta, precisa, con un rigore logico ineccepibile, ed al tempo stesso empatica, molto umana. 

 

Dio è donna e si chiama Petrunya è un film che scorre via velocissimo, con molti momenti di simpatico humor che ben si inseriscono nella drammaticità della storia, rendendo la visione molto coinvolgente dal punto di vista emozionale ma, al tempo stesso, anche molto frizzante.

 

Sicuramente, per noi, uno dei migliori film visti finora in questa edizione della Berlinale.

 

[Tutte le immagini dell'articolo, compresa l'immagine di copertina, sono ©sistersandbrothermitevski]

 

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