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Paternal Leave è un affresco lucido di un rapporto padre-figlia: Luca Marinelli interpreta Paolo, un uomo che si ritrova di fronte alla figlia quindicenne (Juli Grabenhenrich) che non ha mai voluto conoscere.
Un'opera che rimane dentro, fatta di parole ma soprattutto di silenzi, fatta di nebbia, di un freddo pungente che sembra di sentire attraverso lo schermo e di un'umidità che ti penetra le ossa.
Luca Marinelli e Alissa Jung sono una coppia nella vita reale e questa è la prima volta che sono anche una coppia artistica.
Presso il Cinema Anteo di Milano, durante l'incontro dopo la proiezione del film, hanno raccontato come è nata questa collaborazione: Alissa aveva in mente un'idea, voleva raccontare una storia su un padre e una figlia, aveva una domanda in testa: perché un padre non vuole conoscere sua figlia?
Jung e Marinelli si sono domandati: "Lo possiamo fare insieme?" e la risposta è stata un grande "sì!".
Marinelli ha raccontato:
"Vederla creare ed essere parte della sua creazione è stata un'esperienza molto forte per me.
Grazie al lavoro che lei ha fatto su di me e che abbiamo fatto insieme, ho potuto esplorare punti in cui non ero mai stato prima."
Leo non ha mai conosciuto suo padre e quando scopre dove vive decide di compiere un viaggio che dalla Germania la porterà a Marina Romea.
Lì si troverà di fronte a un uomo smarrito e completamente incapace di reagire, ma neanche lei sa come rapportarsi a lui, tanto che ha preparato una serie di domande da fargli, come fosse un'intervista per il giornale della scuola.
I due dovranno trovare un modo di comunicare (in tutti i sensi, perché parlano due lingue diverse) ma soprattutto di accettarsi e perdonare, prima di tutto se stessi.
Potremmo definire Paternal Leave un coming of age, ma sarebbe riduttivo perché è molto altro, in realtà.
Paternal Leave sfugge alle definizioni, è un affresco su una porzione di vita, anzi due porzioni di vita, che si ritrovano, si incontrano e si scontrano.
Due interpreti straordinari prestano volti, corpi, sguardi, silenzi a due personaggi molto complessi da mettere in scena; Luca Marinelli e Juli Grabenhenrich (al suo esordio come attrice sul grande schermo) lavorano per sottrazione senza mai esasperare reazioni, in un climax narrativo e emotivo misurato.
Se lui riesce a trasmetterci il profondo e sincero smarrimento di un uomo che sa trovare il suo posto nel mondo solo nella fuga, lei ci trasmette la frustrazione, l'incomprensione, la rabbia improvvisa di un'adolescente che non riesce - anche se vorrebbe tantissimo - a rispecchiarsi e riconoscersi negli occhi di suo padre.
Alissa Jung ha raccontato che prima di scegliere Juli come attrice ha fatto tantissimi provini, perché era fondamentale trovare la persona giusta, che avesse dentro quel tipo di sentimento, da qualche parte, e quella rabbia.
Lei ha fin da subito dimostrato una grandissima onestà nella recitazione e un grande coraggio: non aveva ancora mai lavorato per il Cinema, il che ha reso la sua prova attoriale in Paternal Leave ancora più sorprendente.
Anche per Marinelli è stato importante lavorare con questa attrice giovanissima, l'attore ha infatti aggiunto:
"Ha un talento, un coraggio e una onestà giganteschi, per me questo è stato il motore di un lavoro e di un impegno molto grandi."
Grabenhenrich e Marinelli riescono a assumere l'inquietudine del posto in cui si trovano, una Marina Romea invernale e quasi abbandonata.
La nebbia si posa su ogni cosa, anche sui personaggi, che inciampano ogni tre passi perché non ci vedono bene, il loro sguardo è appannato; per questo la scelta della location è perfetta: Alissa Jung ha raccontato che anni prima era capitata in zona un po' per caso, per questioni più che altro di lavoro e logistica - anche se a volte credo sia il destino, a portarci in certi luoghi.
Lì, in quel mare d'inverno - dove tipicamente ci si ritrova come ultimi uomini sulla terra in mezzo a negozi, bar, ristoranti chiusi e strade deserte - la regista nella sua immaginazione vede la figura di Paolo, e anche di Leo, e capisce che solo quel luogo può fare da sfondo alla storia che vuole raccontare.
Un luogo deserto come il protagonista di Paternal Leave, quasi il suo alter ego o, meglio, la sua rappresentazione in forma umana.
[Luca Marinelli e Alissa Jung sul set di Paternal Leave]
In Paternal Leave sono molto interessanti anche i personaggi secondari: meravigliosa a mio avviso Joy Falletti Cardillo nel ruolo di Emilia, la seconda figlia di Paolo, nata dalla sua nuova relazione.
Emilia è la figlia riconosciuta, accettata e voluta, ma anche da lei e dalla sua compagna Valeria (l'attrice di teatro Gaia Rinaldi) Paolo ogni tanto sente la necessità di fuggire e fare quello che noi oggi chiamiamo ghosting, molto demonizzato ma in fondo spesso molto comprensibile.
Il ghosting non è altro che l'espressione di un fortissimo disagio.
A colpire - tanto come personaggio, quanto come attore - è Edoardo (Arturo Gabbriellini), il fattorino con cui Leo stringe un immediato legame, di quelli estivi e spensierati, anche se qui non è estate e di spensierato non c'è proprio niente.
Eppure nelle loro uscite un po' causali, nel loro raggiungersi e farsi da spalla, nel motorino, gli occhiali rosa, e i conflitti con i genitori, nei bagni in mare improvvisati: in tutte queste piccole ma gigantesche cose ci sono quella spensieratezza che a volte è possibile trovare anche nei luoghi e nei momenti più bui.
[Juli Grabenhenrich e Arturo Gabbriellini in una scena di Paternal Leave]
Paternal Leave - come racconta anche Alissa Jung - non è un film che mette a confronto generazioni diverse.
In scena ci sono solo esseri umani che provano a vivere, è un'opera che risuona e risuonerà in moltissime persone perché è universale.
Sempre più genitori e sempre più figli si ritrovano a vivere situazioni simili (qui certamente estremizzate ed esasperate per questioni narrative) e Paternal Leave ha l'enorme pregio di riuscire, senza mai scadere nella retorica, a toccare corde profonde che sono di ognuno di noi, che siamo figli e a volte anche genitori, che ci siamo sentiti almeno una volta nella vita non amati, o persi, o arrabbiati, confusi, incapaci di prendere decisioni o di fare la scelta giusta.
E magari ci siamo fatti un tatuaggio invece che esserci.
Come fa Paolo, che non resta, ma fugge, però si incide sul petto una stella, che significa che quella bambina in qualche modo, nella sua maniera - forse una maniera sbagliata e anche molto stupida - se l'è portata addosso per quindici anni.
Luca Marinelli racconta che appena finita la lettura della sceneggiatura ha sperato di poter "suonare" questo personaggio il prima possibile, per usare una metafora: "Volevo recitare questa assenza in presenza."
Perché Paolo, anche quando è di fronte a sua figlia, non c'è.
Non c'è neanche di fronte a se stesso.
Paternal Leave parte senza dubbio dall'idea di voler raccontare una storia su un rapporto padre-figlia, ma finisce per parlare di accettazione di se stessi e del fatto che nella vita si può sbagliare, ma si può anche rimediare.
"Ho scritto una storia di silenzi", ha raccontato la regista, perché Paternal Leave è un film fatto di parole ma anche e soprattutto di silenzi, e di gesti.
Ci sono alcune scene scritte in modo magistrale che senza usare una riga di dialogo riescono a parlare e a esprimere tantissimi stati d'animo; prima fra tutte quando padre e figlia si ritrovano a guardare il mare e il suo orizzonte, uno a fianco all'altra, e senza dirsi niente iniziano a dondolare sul posto avvicinandosi sempre di più, volendo un contatto fisico ma senza sapere come comunicarlo.
Abbracciarsi a volte è un atto troppo coraggioso, però il corpo parla anche se non è comandato dal cervello.
L'amore in Paternal Leave non arriverà mai con le parole, bensì con i gesti.
In quest'ottica la scelta di far parlare ai due protagonisti due lingue diverse è coerente, perché rende la loro incomprensione e la loro lontananza ancora più dura.
Quando si comunica in una lingua che non è la propria si hanno a disposizione meno strumenti, meno strategie, meno doppi sensi e quindi si arriva prima al dunque, si parla in modo più diretto.
"Noi parliamo anche con uno sguardo, una distanza del corpo, un abbraccio", ha detto Alissa Jung, che ha fatto cercare e poi trovare a tutto il cast la sua "lingua del corpo".
Quindi che cosa è Paternal Leave?
Un dramma familiare, un coming of age? È così importante definirlo, in fondo?
Paternal Leave è una storia, un affresco, un immersione nelle vite degli altri, un onesto e universale spaccato di genere umano.
In questo è molto lucido il pensiero di Luca Marinelli, che ha dichiarato "In qualche maniera Alissa è riuscita a fare a sua insaputa una specie di commedia all'italiana.
Potremmo definirla una commedia europea all'italiana."
[Luca Marinelli in Paternal Leave]
Paternal Leave ha in effetti dentro di sé tutti quegli elementi tipici della commedia all'italiana, soprattutto un protagonista che potremmo ritrovare in uno dei film di quel filone: Paolo non è un mostro, nessuno di noi fa solo bene o male nella vita, è un uomo spaventato che fugge.
Il realismo della cosa ci potrebbe far pensare al Domenico Soriano (Marcello Mastroianni) di Matrimonio all'italiana di Vittorio De Sica, un uomo incapace di cambiare, che non sa reagire di fronte al male provocato ma che allo stesso tempo non ha intenzioni maligne.
Non si può, in chiusura, non citare la colonna sonora, precisa e struggente in ogni sua scelta.
In Paternal Leave è come se anche la colonna sonora compisse un arco di trasformazione, perché anche la musica è un crescendo che segue la storia per arrivare sul finale a distruggere ogni tentativo di trattenersi, tanto dei personaggi quanto degli spettatori.
Solo per gioco di Giorgio Poi sui titoli di coda, cantata da Luca Marinelli stesso, è l'apertura della diga: tutto fluisce con lei, con gli accordi e le parole della canzone, con la voce di Marinelli, con le nostre lacrime che non possono più aspettare.
Una ninnananna che ci accompagna fuori da questa storia, anche se in realtà ci rimarremo dentro ancora per un bel po'; forse per sempre.
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