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Lo scorso 7 gennaio, The Americans è stata premiata all’annuale cerimonia dei Golden Globes come miglior serie televisiva drammatica: era ora!
La sesta e ultima stagione è riuscita a portare a casa questo importante riconoscimento (soltanto sfiorato negli ultimi anni), a testimonianza della bontà di questo prodotto, creato da Joe Weisberg e trasmesso (negli States) da FX.
Chi scrive è un grande estimatore di questa serie e vuole perorare la sua causa, elencando cinque motivi per cui The Americans deve essere vista (senza spoiler).
[The Americans premiato ai Golden Globe]
Il contesto.
Il tema principale di The Americans - essendo una spy story - è la guerra fredda.
USA contro URSS, il sogno americano contro l’arretratezza sovietica: basta dare un’occhiata alle diverse scenografie che fanno da sfondo alla storia (a seconda dell’ambientazione, talvolta in uno o nell’altro stato) per capire il divario fra le due superpotenze.
Se gli americani sono i padroni del mondo, i russi aspirano a colmare il gap... E sono disposti a tutto pur di riuscirvi.
La ricostruzione storica è minuziosa e ben riuscita, perché location, beni di consumo e riferimenti socio-culturali contribuiscono perfettamente alla ricreazione minuziosa e verosimile degli anni ‘80 e delle sue atmosfere, in cui la storia si sviluppa.
[La famiglia Jennings, protagonista di The Americans]
I personaggi.
Protagonisti di The Americans sono i membri della famiglia Jennings: Philip ed Elizabeth (Matthew Rhys e Keri Russell, molto convincenti nei loro ruoli) i genitori, Paige (Holly Taylor, piacevole scoperta) e Henry i figli adolescenti.
La tipica e tranquilla famiglia americana; marito e moglie lavorano in un’agenzia di viaggi, i figli vanno a scuola, coltivando hobby e passioni usuali per degli americani modello.
Ma le apparenze ingannano: in realtà, Philip ed Elizabeth sono due agenti segreti del KGB, ai quali sono affidati pericolose missioni con lo scopo di carpire informazioni politiche e militari sul nemico, mentre i loro figli ignorano la loro reale natura.
Inoltre, i Jennings hanno per vicini di casa Stan Beeman (Noah Emmerich), agente dell’FBI che si occupa proprio di spionaggio: che ironia della sorte!
Riusciranno i nostri “eroi” a custodire il loro segreto?
Altro punto di forza, da questo punto di vista, è la dinamicità dei personaggi.
Non ci sono personaggi completamente buoni o completamente cattivi, ma tutti hanno le loro zone d’ombra, in particolare Philip e Stan: il primo è sempre in bilico fra il dovere e i suoi reali sentimenti, verso Elizabeth e la sua famiglia; il secondo è lavoratore instancabile e incorruttibile o quasi, poiché non disdegna di scendere a patti col nemico, se ciò è necessario per il proprio tornaconto personale.
[Philip insieme al "nemico" Stan Beeman]
Il realismo.
Dimenticatevi le prodezze degli 007 e delle altre spie cinematografiche (come Ethan Hunt, interpretato da Tom Cruise nella saga di Mission: Impossible): Elizabeth e Philip sono spie credibili alle quali vengono assegnati compiti credibili. Degli esempi?
Allacciare rapporti con funzionari americani o sottrarre progetti militari top-secret: non si tratta di salvare il mondo, semplicemente di favorire l’Unione Sovietica nella sua lotta contro il colosso americano.
I mezzi per riuscire nel loro intento intento sono molteplici: si va dalla seduzione fisica ai travestimenti (e un grande plauso va fatto ai costumisti e truccatori che hanno lavorato alla serie), passando per l’installazione di cimici in obiettivi sensibili, come uffici e sedi governative.
The Americans non punta sulla spettacolarità, ma sulla solidità: i ritmi sono blandi e talvolta le trame intricate, ma non mancano cliffhanger e colpi di scena.
Da tenere in considerazione anche il fatto che non di solo spionaggio vive la serie: essa può contare anche sull’aspetto psicologico, spesso trascurato in prodotti simili; prima di essere agenti segreti, Philip ed Elizabeth sono esseri umani e genitori, il cui rapporto coi figli è complicato (d’altronde, il conflitto generazionale è una costante di ogni famiglia).
Col trascorrere delle stagioni, proprio tale rapporto diventerà uno dei perni centrali della storia, venendo descritto con grande cura e attenzione.
[Philip ed Elizabeth sotto copertura]
La colonna sonora.
Lodevoli sono le scelte in materia musicale da parte degli autori di The Americans: ai momenti clou di ogni singolo episodio è abbinata la giusta canzone, pescate dai variegati repertori che gli anni ‘70 e ‘80 ci hanno lasciato in eredità: In the air tonight di Phil Collins, Goodbye yellow brick road di Elton John e With or without you degli U2 sono solo alcune delle numerose (e celebri) tracce che compongono la colonna sonora non originale della serie.
Della colonna sonora originale (composta da Nathan Barr, che si è occupato anche delle musiche di True Blood), si può dire che compie il suo lavoro dignitosamente, in quanto risulta non invasiva e adeguata alla storia narrata, aumentando la tensione e il pathos nei segmenti in cui si fa sentire.
L’accoglienza.
Se in patria The Americans ha riscosso un ottimo successo di pubblico e critica (ulteriormente certificato dal Golden Globe vinto pochi giorni fa), in Italia non è accaduto altrettanto.
O meglio: è possibile affermare come i critici e gli esperti nostrani abbiano sottolineato la sua qualità, ma la risposta del pubblico non è stata delle migliori, e raramente questa serie televisiva è citata fra le migliori degli ultimi anni, come invece è giusto che dovrebbe essere.
In breve, The Americans non è mainstream come Game of Thrones o The Walking Dead, pur avendo tutte le carte in regola per esserlo; a distanza di circa cinque anni dalla messa in onda italiana del primo episodio, è ancora apprezzata da una ristretta cerchia di appassionati.
Sono soltanto sei stagioni, per un totale di 75 episodi…
Perché non darle una chance? Potrebbe stupirvi senza far ricorso a mirabolanti effetti speciali!
p.s.: la chimica fra Keri Russell e Matthew Rhys non è evidente soltanto nella finzione, ma anche nella realtà: i due, conosciutisi sul set di The Americans, sono oggi sentimentalmente legati e dalla loro unione è nato (nel 2013) un bimbo di nome Sam.
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10 commenti
Luca Persia
4 anni fa
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Sasuke
4 anni fa
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Angela
4 anni fa
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Giulia Rossi
4 anni fa
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Federico Rossato
4 anni fa
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BKiddo
4 anni fa
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