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Ride - Recensione: buon esordio per Valerio Mastandrea - Torino Film Festival 2018

Un'opera genuina, drammatica e allo stesso tempo divertente, che fotografa l'elaborazione del lutto di una giovane moglie di un operaio morto in fabbrica

Valerio Mastandrea è un habitué del Torino Film Festival: qualche anno fa è stato presidente della giuria internazionale e negli ultimi anni ha partecipato a svariati film visti qui a Torino (Tito e gli Alieni, La felicità è un sistema complesso, Ogni maledetto Natale).

 

Ride è il suo primo film da regista e, probabilmente, non c'era festival più adatto per il suo esordio, che ha visto come produttori gli stessi con cui aveva collaborato sul set di Non essere cattivo di Claudio Caligari e con i quali aveva condiviso tutta quella particolarissima vicenda.  

 

 


 

Ride è la storia del giorno prima del funerale di Mauro Secondari visto dalla prospettiva della vedova Caterina, di suo padre Cesare e del figlio Bruno.

 

È morto sul lavoro, in fabbrica - la stessa in cui anni prima lavorava suo padre, combattendo le sue battaglie a suon di picchetti e scioperi - lasciando moglie e figlio nella sciagurata situazione di dover gestire la stampa per la risonanza di una tragedia simile, l'organizzazione del funerale e il lutto.

 

Questo ultimo aspetto è proprio quello che riesce meno a Caterina che, dalla notizia della morte di Mauro, ancora non è riuscita a piangere: lei "ride".

 

Attorno alla sfida di Caterina seguiremo da una parte le vicende di Bruno, che con un amico si prepara alle possibili interviste durante il funerale, vissuto ingenuamente come un modo per far colpo su una ragazza, e dall'altra quelle di Cesare il quale si interroga sui risultati delle sue battaglie in fabbrica con nuovi e vecchi operai.

 

Nonostante i presupposti tragici, il film è pervaso da un'ironia di fondo molto affine al personaggio Valerio Mastandrea e a molte delle sue interpretazioni, la comicità spontanea di quasi tutti i personaggi di Nettuno - paesino di mare fuori Roma - è tagliente e costante, ma non per questo risulta sguaiata o inappropriata. 

 

Questa caratteristica non copre soltanto la linea narrativa di Bruno, più adatta a un taglio simile, ma anche le vicende di Cesare e di un ex-collega che ha avuto un ictus, o ancora quelle di Caterina e della truccatrice impersonata da Milena Vukotic.

 

 


 

La grande forza di Ride è la scrittura dei personaggi.

 

In particolare Mastandrea è capace di farci empatizzare sin da subito con i familiari di Mauro senza mai mostrarci il defunto e riesce, poco alla volta, a costruirli con una profondità e tridimensionalità davvero mirabile.

Contribuisce molto il fatto di aver ristretto gli eventi e gli altri personaggi al minimo, così da poterci lasciare per grandissima parte del tempo soli con Caterina, Cesare, oltre che con Bruno e il suo amico.

 

Come detto dallo stesso regista, il film inizialmente doveva coprire l'arco temporale di una settimana, ma questo tempo era troppo dilatato, sia per i mezzi, sia per la volontà stilistica alla base di questo prodotto. 

 

Nonostante la patina dolceamara data dal contrasto tra la tristezza per l'addio ad un proprio caro e l'ironia dei personaggi, il film si ritaglia lunghi spazi per un'analisi sociale sull'eredità di una generazione di lavoratori che hanno combattuto per tutta una vita e che oggi si trovano a guardare cosa hanno conquistato attraverso le loro guerre, interrogandosi se davvero sia cambiato qualcosa nonostante la loro abnegazione.

 

Caterina, spesso lasciata volutamente sola nella sua casa ormai vuota, è al centro del film e le vengono dedicate diverse scene in cui la regia di Mastandrea la esalta prendendosi più di un rischio attraverso sequenze musicali e movimenti di macchina tutt'altro che scontati.

 

L'interpretazione di Chiara Martegiani è promossa a pieni voti: il senso di tenerezza per un'amica che non sappiamo come aiutare, di tristezza per una donna in difficoltà e la rabbia per una madre lasciata sola in terra straniera (nessuno le sarà mai ostile, ma non è un caso che sia l'unico personaggio non di Nettuno) scaturiscono sin dal primo attimo e non ci abbandonano fino al pianto liberatorio.

 

Il film è segnato anche dalla presenza di Nicola, fratello di Mauro, che rende ancor più lampante la critica di Mastandrea a una società in cui o chini il capo e muori in fabbrica o ti ritrovi abbandonato dal mondo ed esiliato dai tuoi cari.

 

La rabbia dell'unico figlio rimasto verso il padre che ha spinto il fratello nel suo stesso inferno è dirompente e la sua esplosione, con conseguente minaccia di morte a Cesare, è uno dei momenti più profondamente drammatici del film, forse uno degli eccessi che non convincono completamente.

 

 



La bara vuota che, con gli operai, blocca l'ingresso della fabbrica in una delle ultime scene è simbolo della vena combattiva del sottotesto di questo film, che non vuole solo osservare una situazione ingiusta, ma vuole anche spingere a riflettere e a ribellarsi contro questo malcostume.

 

Dall'altra parte si ha invece la dimensione più prettamente familiare - sulla quale il film si chiuderà - con la giovane madre che finalmente piange, insieme al figlio, in un eccesso registico - quasi fantasy - di una pioggia nel bel mezzo di un salotto, espressione della vena semi-favolistica e intima di questo film.

 

Non mancano gli eccessi e le scelte azzardate, aspetti tipici delle opere prime, ma il film risulta comunque un esordio davvero interessante per un artista arrivato tardi alla regia e che, in questa nuova veste, potrà regalare ancora tante opere meritevoli al mondo del Cinema.

 

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