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Insospettabili affinità tra personaggi distanti nel tempo

Guardando nel profondo tre film molto diversi si scoprono alcune preziose affinità, soprattutto nelle modalità di racconto e nell'approccio all'arco narrativo dei personaggi

The Killer, Napoleon e Killers of the Flower Moon: a volte capita che alcuni film, in frangenti di tempo delimitati e brevi, per chissà quale motivo, convergano incidentalmente in lavori affini.

 

Anche David Cronenberg lo aveva notato e nella bellissima intervista che fece con Enrico Ghezzi parlava appunto di una “misteriosa sincronia tra i film”

 

Nell’ultimo periodo ci sono state alcune uscite che potrebbero inserirsi sotto certi aspetti in questa dinamica, in particolare il riferimento è a tre titoli di tre grandi autori del Cinema hollywoodiano: The Killer di David Fincher, Napoleon di Ridley Scott e Killers of the Flower Moon di Martin Scorsese.

Seppure a un primo sguardo questi titoli appaiano come molto distanti e diversi - ed effettivamente in larga parte lo sono - c’è qualcosa che li accomuna. 

 

Più che di una vicinanza di storie o similarità tematiche, si fa qui riferimento a un meccanismo narrativo e stilistico che lavora analogamente in questi tre titoli per portare avanti il proprio discorso; delle affinità elettive nelle modalità con cui si veicola il senso.

 

 

 

 

Questioni di genere e orizzonti d'attesa

 

Tutti e tre i film costruiscono inizialmente un impianto di genere codificato e in cui lo spettatore si può riconoscere.

 

The Killer si muove all’interno del genere thriller e si connota attraverso una disposizione apparentemente canonica dei suoi elementi caratteristici, sia dal lato più visivo e di racconto - i toni cupi, la regia precisa, la tensione emotiva - sia per gli elementi della storia - un killer spietato, una revenge story.

Napoleon è un film storico che pone al centro la figura del grande condottiero Napoleone Bonaparte, con tutti i crismi che accompagnano queste narrazioni: le grandi battaglie epiche, il tono solenne, un protagonista carismatico.  

Infine, Killers of the Flower Moon è sostanzialmente un mob movie in cui si dispiegano uomini violenti, comunità in pericolo, abbozzi di detection e corruzione morale. 

 

In questa costruzione anche l’impatto di un immaginario preesistente non è da sottovalutare: considerando il retaggio autoriale dei tre registi (e in parte anche quello attoriale), i presupposti dei relativi generi sono rinsaldati da una filmografia che fornisce molteplici suggestioni e aspettative allo spettatore. 

 

Puntualmente nel corso dei tre film le aspettative, gli immaginari e le immagini dei protagonisti che ne conseguono verranno progressivamente sgretolate in virtù di un sovvertimento del canone che, tuttavia, non è mai totalizzante, bensì sempre sul filo, ricolmo di contrasti, varianze e personaggi atipici, pronto a inglobare più istanze e creare cortocircuiti, ad accogliere le contraddizioni piuttosto che rigettarle.  

 

[Il trailer di The Killer, di David Fincher]

 

 

The Killer ha una messa in scena cupa, seria e precisa che segue lo stile a cui il regista David Fincher ha ormai abituato il suo pubblico.

 

Il protagonista è inizialmente presentato come un killer infallibile (Michael Fassbender) e tutta la scena iniziale non fa che costruirne un’immagine idealizzata, che lo spettatore segue costantemente in ogni passo: i gesti precisi, le ritualità e la meticolosità.

È accompagnato da un voice over onnipresente che svela i segreti del suo mestiere col tono di una lucida e quieta saggezza da Maestro.

 

Al protagonista è così conferita una certa aura d’imbattibilità, un po’ anche attingendo dall’immaginario collettivo sugli spietati killer cinematografici.

 

 

[The Killer in attesa della vittima designata, i tratti disegnano un professionista: figura nell'ombra rispetto al mondo esteriore, guanti in lattice, mirino professionale]

 

Dopo i primi minuti in cui si assiste a un'introduzione perfetta e suggestiva, accade l’impensabile: il killer sbaglia e uccide un’innocente.

 

L’omicidio di una vittima collaterale e il fallimento della missione costituiscono il primo errore, che in realtà è parzialmente accolto e perdonato dallo spettatore nell’economia di una storia che in qualche modo si deve innescare; con l’incedere del racconto però si comprende che non si tratta di un caso isolato, perché il killer continua a compiere una serie di errori di valutazione che corrompono costantemente la sua immagine (quella che il personaggio ha di sé e quella che lo spettatore aveva inizialmente del personaggio).

Subito dopo il primo omicidio, malgrado il vissuto di quel mondo lo vorrebbe conscio delle conseguenze di un tale errore, ritorna ingenuamente a casa propria rischiando la vita.

 

Spara al suo boss pensando di avere il tempo per interrogarlo, ma muore tra le sue braccia, sbaglia il dosaggio del sedativo per un cane da guardia, si fa sorprendere alle spalle e nella colluttazione dimostra di essere tutt’altro che infallibile.

 

 

[Le geometrie di Fincher in The Killer]

 

 

Questi sono alcuni dei tanti dettagli e delle svolte che incrinano la percezione del killer e lo umanizzano, rendendolo sempre più un everyday man che combatte con le proprie idiosincrasie.

 

I mantra iniziali che ripeteva con la freddezza di un Maestro si trasformano in un’ossessiva circolarità nella testa del protagonista, quasi come fossero un monito costante per se stesso piuttosto che una lezione impartita a un ipotetico ascoltatore, costantemente infranti e sempre in contrasto con ciò che accade sullo schermo: accade spesso infatti che il protagonista proclami l'importanza di rimanere calmi e lucidi mentre il panico s'insinua, oppure che promuova la freddezza a discapito della compassione per poi agire in senso opposto.

Quelle regole si dimostrano solo un’illusione.  

 

David Fincher costruisce un impianto di genere rigoroso e inserisce al suo interno un personaggio imperfetto, mediocre, ribaltando l’aspettativa.

 

I personaggi secondari nel canone di queste narrazioni sono solo macchiette pronte a cadere sotto un grilletto infallibile, ma qui a essere mediocre (“normie”, come dice lui stesso) è lo stesso protagonista, la cui revenge story è anche una storia di incontri con personaggi più interessanti e più carismatici di lui; ne è un esempio la scena con Tilda Swinton.   

 

 

[Il trailer di Napoleon, di Ridley Scott]

 

 

Napoleon, di Ridley Scott  

 

Il Napoleon di Scott è anch’esso una rappresentazione ricolma di frizioni.

In riferimento a quanto scritto in precedenza qui l’impianto stilistico di riferimento è quello storico delle grandi battaglie, quello solenne dei memorabili uomini della Storia, con una fotografia che vuole riportarne il peso e la grandeur.

In questo senso le conquiste di Tolone e di Austerlitz sono magistralmente messe in scena e portano il segno epico delle imprese di Napoleone Bonaparte. 

 

Ciò che però impreziosisce il racconto è che il film progressivamente spezza il racconto classico, epico e solenne che queste narrazioni tipicamente prediligono per mettere alcuni dubbi su una grande e tragica figura dell’immaginario popolare.

Napoleone (Joaquin Phoenix) è rappresentato come un uomo che tenta in ogni maniera di contribuire alla costruzione della propria immagine gloriosa e il film è anche una riflessione proprio su questo aspetto. 

Inizialmente riesce nel suo intento, perlopiù grazie alle conquiste militari e alla sua grande abilità nell’arte della guerra, ma progressivamente si inseriscono una serie di elementi e di dinamiche che creano preziosi cortocircuiti nell’uomo nascosto dietro l’icona della Storia.

 

Che sia nelle relazioni affettive o nella diplomazia con i potenti, è anzi spesso ridicolizzato, un po’ inebetito e insicuro nella socialità di tutti i giorni; oltre che goffamente attaccato al grembo di sua moglie.

 

 

[Napoleon: la battaglia di Austerlitz è narrata con gravità epica e con enfasi sulla genialità strategica di Napoleone]

 

C’è una costante collisione tra l’immagine che Napoleone vuole dare di sé, sgomitando per un posto nella Storia, e la mediocrità della sua vita privata, le insicurezze, i dubbi.

 

Anche le mummie sembrano scansarsi quando un po’ goffamente sale su un panchetto per raggiungerne simbolicamente la statura. Quella di Napoleone è una posa, una posa mantenuta nonostante tutto, una dignità perennemente messa a dura prova.  

 

C’è un momento cruciale nel film: Mosca viene incendiata dagli stessi russi e Napoleone si ritrova col fardello di dover scegliere se ritirarsi e scalfire la sua immagine o proseguire nel rigido inverno andando incontro a milioni di morti, nella vana speranza di rinsaldare l’eroicità della sua figura.

Non è certo un mistero quale sia stata la scelta di Napoleone. 

 

Ciò ha delle conseguenze significative anche sul discorso del film: quando l’esigenza militare perde il suo senso più pragmatico di conquista e l’unica cosa che rimane è la ricerca di un mantenimento (campagna di Russia) o una riabilitazione (Waterloo) della propria immagine, anche contro le possibilità militari e l’improbabilità di successo, puntualmente arrivano le rovinose sconfitte.   

 

[Il trailer di Killers of the Flower Moon, di Martin Scorsese]

 

 

Killers of the Flower Moon, di Martin Scorsese  

 

Le premesse di Killers of the Flower Moon, come i due titoli precedenti, gettano uno spettro di elementi formali e narrativi che suggeriscono l’entrata in un mondo di genere codificato, in questo caso simil-gangsteristico.

 

Ovviamente non si sta parlando del genere in senso canonico, sia perché l’ambientazione non rispecchia propriamente quel gangster movie/mob movie tipicamente urbano, sia perché queste figure non vivono quel tipo di ruolo in senso stretto; tuttavia c’è una tendenza verso quel filone che è suggerita dalle modalità e dalle personalità che abitano questo microcosmo.

 

C’è un gruppo criminale organizzato e violento che agisce nell’ombra e che ordisce trame contro i nativi del posto, senza scrupoli e con modalità non dissimili dal mob movie: l'eliminazione sistematica di nemici, la scomparsa di testimoni, la corruzione, lo scontro con la legge.  

 

 

[Robert De Niro e Leonardo DiCaprio in Killers of the Flower Moon]

 

Da sottolineare come in generale - soprattutto nel Cinema di Martin Scorsese - i due protagonisti maschili sono interpretati da attori (Robert De Niro e Leonardo DiCaprio) che portano con loro una serie di suggestioni e riferimenti a ruoli passati.

 

Ciò dà vita a un racconto che, come i precedenti, prende piede da un genere codificato, uno stile riconoscibile e da un immaginario condiviso e intuibile che soggiace alla percezione del film. 

Tutte queste premesse verrano tuttavia disattese nel dispiegarsi della storia, nel suo passo narrativo e nella definizione dei suoi protagonisti.

 

Killers of the Flower Moon introduce velocemente un mondo in cui in realtà l’enfasi si scopre ridotta all’osso, gli omicidi sono spesso lasciati fuoricampo o sono scevri di linfa epica, le soluzioni e le idee dei personaggi sono banali, degradando così la mitologia di riferimento verso un’ordinarietà di noia e mediocrità.

Ernest Burkhart e William Hale non sono altro che la manifestazione della banalità del male, di un male mediocre, privo di fascino e carisma; Scorsese aveva già sviluppato un discorso affine in Mean Streets - Domenica in chiesa, lunedì all'inferno.

 

Anche il passo non accelera mai, anzi, vive di lunghi respiri e si prende il proprio tempo; se l’azione è dosata col contagocce, il film si costruisce invece su un’abbondanza di campi e controcampi che privilegiano il dialogo.   

 

 



Conclusione

 

Seppur le riflessioni dei singoli film siano diverse e nonostante la consapevolezza che simili accostamenti soffrano del "peccato originale" dell'arbitrarietà, sembra interessante che tre film di tre grandi registi statunitensi, usciti in un lasso di tempo ravvicinato, abbiano delle dinamiche così affini nella costruzione del racconto.

 

Ciò che accomuna questi film è un impianto discorsivo che gioca con delle strutture codificate e con immaginari preesistenti e in qualche modo li ribalta, pur rimanendo all'interno di quella morsa.

In The Killer l’aura da thriller cupo è spezzata da errori inaspettati che generano momenti comici stridenti - addirittura quasi slapstick se si pensa alla colluttazione in casa - così come l’impianto solenne delle narrazioni storiche di Napoleon si contraddice con la resa delle nevrosi e delle insicurezze della sua figura privata, in una lotta costante per l’affermazione di uno status. 

 

Killers of the Flower Moon infine gioca con l’immaginario per disattenderlo con svolte narrative languide, con la banalizzazione del male e con una narrazione compassata.

 

 

[Poco prima della battaglia di Waterloo, le vedette nemiche scorgono col cannocchiale che Napoleone sta dormendo]

 

Tutti e tre i film sono poi attraversati da personaggi bene o male idealizzati o mitizzati, che subiscono un processo di umanizzazione che collide con le dinamiche che presuppone il genere e va a renderli, alla fine, degli everyday men senza qualità. 

 

Tutti i racconti abbracciano una tendenza alla stasi piuttosto che all’enfasi e, verso la fine, all’anticlimax piuttosto che al climax; tutto ciò ha a che vedere con la scelta di sovvertire le aspettative del genere: assopire i protagonisti in un mondo che in realtà vive anche di pause, noia, quotidianità.

 

Così il killer di David Fincher non uccide il mandante del suo omicidio, colui che ha inseguito per tutto il film; il Napoleone di Ridley Scott a Waterloo è sornione, si addormenta attendendo la battaglia e la scena ha l’afflato tragico di una sconfitta in cui però non c’è suspense narrativa.

La sconfitta arriva per tutti, anche nell’ultimo atto del film di Martin Scorsese, dove il personaggio di William Hale è condannato ed Ernest Burkhart non completa la propria espiazione, senza un crescendo emotivo, ma anzi con i tempi che si dilatano, le decisioni che vengono rimandate, le scelte che cambiano. 

 

Tutto sembra essere una lenta discesa nell’ordinario. 

 

[articolo a cura di Matteo Salvetti]

 

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1 commento

Andrea Zanini

2 mesi fa

Analisi interessante. Un'affinità a cui non avevo fatto caso

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