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The Guilty - Recensione: la tensione al telefono - Torino Film Festival 2018

Un thriller d'azione in una stanza, fatto di sole chiamate al telefono, che tiene sulle spine egregiamente

The Guilty, presentato in concorso al 36° Torino Film Festival, è un film danese che riesce nella sua semplicità - a tratti fin troppo scontata - a costruire una messa in scena e una tensione davvero di buon livello.

 

 

 

Asger Holm è un poliziotto riassegnato al servizio emergenze telefoniche in seguito a un caso finito in processo di cui si scoprirà la natura solo alla fine del film.


Dopo alcune chiamate di poco conto riceve quella di una donna che dice di esser stata rapita: ovviamente, il leone in gabbia non aspettava altro, e si butta a capofitto sul nuovo caso.

Poco alla volta emergeranno una serie di nuovi dettagli: il rapitore è il marito della donna, a casa ci sono due figli lasciati a loro stessi e uno dei due è stato fatto a pezzi.

 

Più Asger si avvicina alla soluzione della vicenda più si sbottona con noi spettatori sul suo conto, sulla sua indole violenta e sulla facilità con cui è abituato a violare le regole. 

 

 

 


Alla fine, il caso si ribalta e scopriamo che in realtà il padre stava cercando di portare in cura la moglie che aveva ucciso il figlio, così come Asger rivelerà il motivo per cui l'indomani sarà in giudizio: ha ucciso un uomo sotto la sua custodia per punirlo del suo operato.

 

Sembrerebbe un classico thriller poliziesco, ma non ho menzionato il fatto che tutto questo avviene in un'unica stanza, con il poliziotto perennemente al telefono, mentre tutto il resto ci viene raccontato solo attraverso i suoni e le voci dall'altro capo della cornetta.

Proprio questo è il primo aspetto da notare: il regista Gustav Möller affida gran parte della riuscita del suo film al comparto sonoro, vincendo la scommessa in quanto il lavoro fatto è davvero ottimo, sia nella presa/ricostruzione dei suoni, sia nel missaggio che riesce nell'impresa di metterci costantemente (e contemporaneamente) all'ascolto di quanto avviene ai due capi della linea telefonica.

 

Il film gioca molto con il concetto di limiti e di impellenza dell'agire: Asper continua ad agire d'impulso, scavalcando regole, ruoli e protocolli e più agisce più appaga la sua voglia di azione, ma dall'altra aggrava e complica la situazione.

Alla fine la donna - che minacciava di suicidarsi - chiude la conversazione e la polizia sul campo dice all'operatore che non è saltata dal ponte.


Ma proprio qui si svela il seme del dubbio instillatoci da The Guilty: dopo aver creduto ad ogni parola pronunciata attraverso quei telefoni e dopo aver visto il poliziotto cercare inutilmente di fare qualcosa, non crediamo più alla notizia comunicata al protagonista.


Forse l'ha salvata, forse no: come noi, Asper si allontana pensando ai suoi problemi, ma senza provare alcun sollievo.

 

 

 

 

Pur essendo - per gran parte - un film con un uomo che parla ad un auricolare wireless, The Guilty mantiene costantemente in ascesa la tensione attraverso un ottimo montaggio (che alterna scatti di rapidità e spezzettamento assoluti a momenti di immobile e logorante attesa), il ritmo e tempi più che funzionali. 

 

Proprio in questi puri aspetti tecnici il film si esalta laddove, invece, a livello narrativo e contenutistico non convince completamente.

 

Resta di contorno (anche se sarebbe stato un tema molto interessante da vedere sviscerato più approfonditamente) la riluttanza delle forze dell'ordine nello svolgere il proprio dovere e cooperare tra di loro, sia al telefono, sia sul campo: tutti si muovono in autonomia, trattandosi male vicendevolmente e rifiutandosi persino di obbedire alla linea gerarchica.

 

The Guilty, sostanzialmente, è un film - tecnicamente e visivamente - davvero interessante, tenuto in piedi dal protagonista Jakob Cedergen che per 100 minuti tiene la scena con una performance perfetta.

 

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